. Dalla deposizione al Borsellino Quater “Facemmo delle simulazioni per provare i telecomandi che dovevano azionare l’autobomba circa 15 giorni prima della strage di via D’Amelio. Li provammo vicino viale Regione Siciliana. SEGUE Allora non sapevo ancora che l’obiettivo era il giudice Borsellino”. Ascoltato in qualità di teste assistito, il pentito ha parlato anche del compito che ha svolto nel giorno dell’attentato ovvero quello di telefonare a un numero di cellulare per segnalare l’arrivo in via D’Amelio del corteo delle auto di scorta del giudice Borsellino. “Eravamo io, Salvatore Biondino e Giuseppe Graviano – ha detto in aula – quest’ultimo mi lasciò un bigliettino con scritto un numero di telefono. Il giorno della strage io mi trovavo a pattugliare via Belgio e dovevo avvisare del passaggio delle auto. Diversi anni dopo, quando eravamo entrambi arrestati, Giuseppe Graviano mi disse che se mi chiedevano della telefonata fatta in via D’Amelio dovevo dire che avevo parlato con una donna. Ma la voce all’altro lato del telefono era quella di un uomo”. Rispondendo alle domande di pm ed avvocati FERRANTE non è riuscito a chiarire i motivi che lo portarono a fare ben quattro telefonate a quel numero che gli diede il capomafia di Brancaccio (dalle indagini è emerso che apparteneva ad un altro boss, Fifetto Cannella ndr), una dopo la mezzanotte (“probabilmente per segnarmi il numero sul cellulare”, ha detto Ferrante), due al mattino (alle 7.36 ed alle 9.46), e l’ultima al pomeriggio alle 16.52, dalla durata di sette secondi. Fu proprio quest’ultima, con ogni probabilità, la telefonata fatta per avvisare del passaggio della vettura del dottor Borsellino. Altro fatto “anomalo” è anche l’utilizzo di una cabina telefonica, sempre in via Belgio, per compiere un’ulteriore telefonata. “Non ero sicuro di aver trasmesso l’ordine – ha raccontato Ferrante – e così chiamai dalla cabina”. Circa le indagini sulla strage ha aggiunto: “Parlammo con Salvatore Biondo e Salvatore Biondino delle stragi e dell’arresto di questo Pietro Scotto. Si commentò che si stava prendendo una direzione sbagliata nelle indagini sulla 126. Si parlava di questo collaboratore che raccontava cavolate sulla 126. A me dissero che erano presenti dei fusti di calce con dentro l’esplosivo. Quando parlai di queste cose all’autorità giudiziaria? Lo dissi da subito ma la Palma mi disse che la pista della 126 era corretta”. Ha ricordato poi un altro dialogo con Filippo Graviano: “Con lui mi trovavo al carcere dell’Asinara. Si parlava di Salvatore Vitale. Mi disse che non c’entrava niente con la fase deliberativa della strage. Poi seppi che abitava proprio dove stava Borsellino. Così compresi che Filippo Graviano sapeva della strage”. Un altro particolare importante, raccontato oggi in dibattimento, riguarda il riferimento alla possibile caduta del muro nei pressi di via D’Amelio a causa dello scoppio. “Biondino mi disse che con lo scoppio questo sarebbe potuto cadere addosso a chi avrebbe premuto il telecomando”. Del muro aveva fatto cenno anche i Fabio Tranchina parlando di un’affermazione di Giuseppe Graviano durante un sopralluogo in via D’Amelio: “Graviano disse ‘Va bene, mi accomodo nel giardino'” che si trova proprio coperto da un muretto nelle vicinanze del luogo della strage.