La vittima uccisa proprio nel suo “regno”. Il procuratore De Francisci non esclude che il delitto arrivi da un altro mandamento. “In questo caso saremmo di fronte a movimenti a livello apicale nell’ambito di Cosa nostra”
Adesso giudici e investigatori sono preoccupati per il ritorno del sangue in città. Per questo, dopo l’omicidio di ieri sera, sono proseguiti per tutta la notte gli interrogatori dei parenti e dei conoscenti di Giuseppe Calascibetta, 60 anni, l’ex capo mandamento della cosca di Santa Maria Di Gesù.
Gli inquirenti hanno ricostruito alcune fasi del delitto: i killer hanno aspettato che Calascibetta arrivasse sotto casa, con la sua minicar, e gli hanno scaricato addosso un caricatore di 7,65. Il boss stava ritornando a casa dopo aver comprato il pane. Indossava una maglietta e un paio di jeans, era uscito per poche altre faccende familiari. Non ha avuto il tempo di fuggire, forse conosceva i suoi sicari. Forse aveva un appuntamento con loro.
Giuseppe Calascibetta è rimasto inchiodato al sedile della sua vettura. Il cadavere è stato scoperto dopo una decina di minuti da un passante, che ha chiamato il 118. Alcuni testimoni hanno riferito di aver sentito il rombo di una moto, ma nessuno ha saputo o voluto dare altre indicazioni sugli assassini. Giuseppe Calascibetta è stato ucciso a pochi metri da casa sua, in via Bagnera. Nel suo regno. Visto che nei diversi processi di mafia è sempre stato accusato di essere un influente uomo d’onore del potente mandamento di Santa Maria di Gesù. “Quello di ieri sera è un segnale allarmante – dice il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci a Repubblica – non è esclusa la possibilità che la mano del delitto sia arrivata da un altro mandamento. E in questo caso, saremmo di fronte a movimenti a livello apicale nell’ambito di Cosa nostra palermitana”.
Calascibetta era stato condannato a dieci anni per la strage di via D’Amelio, in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. L’omicidio, segue di pochi giorni la svolta nelle indagini sulla strage del 19 luglio del ’92 dopo la richiesta di revisione del processo. Era stato il pentito Vincenzo Scarantino ad accusare Calascibetta di aver ospitato un summit dove i boss misero “nero su bianco” la strage di via D’Amelio. Un’accusa che però non convinse i giudici e infatti l’uomo era tornato in libertà. Calascibetta ufficialmente era tornato a una vita normale. Gestiva una piccola azienda che commercializza gesso. I suoi precedenti per mafia risalivano ormai ai primi anni ottanta, quando era scattata una condanna per associazione a delinquere. Recentemente però ci sono state nuove dichiarazioni dei pentiti: prima Giuseppe Di Maio, poi Maurizio Spataro, infine Manuel Pasta. E a Calascibetta avevano dato un ruolo di vertice nel mandamento di Santa Maria di Gesù. Ma nell’ultimo blitz Calascibetta non è stato coinvolto, ormai aveva la sua piccola azienda di gesso. Anche se, alla luce del delitto di ieri si ipotizza che l’attività imprenditoriale potesse essere il classico specchietto per le allodole che nascondeva attività mafiose. PALERMO TODAY