L’indagine di Milano ha svelato il modello di collaborazione tra le mafie. Un Consorzio nel quale gli aderenti hanno pari dignità. Ecco tutti i dettagli.
Operazione Hydra: questo è il nome dell’indagine durata tre anni e condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Milano e Varese che hanno certificato, tra l’altro, almeno 21 summit tenuti nel periodo 2020-21, avvenuti principalmente nell’hinterland di Milano.
Ci sono i nomi di 153 indagati nell’inchiesta della procuratrice aggiunta Alessandra Dolci e della pm Alessandra Cerreti (in foto) che ipotizzano una “struttura confederativa orizzontale” fra esponenti di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra in cui “i vertici operano sullo stesso livello” come dimostrerebbero le 54 diverse società in comune che si occupano di ristorazione, noleggio, logistica, edilizia, parcheggi aeroportuali, importazione di materiale ferrosi, sanità e piattaforme e-commerce.
Operazione Hydra e Consorzio tra mafie, l’indagine
L’inchiesta è nata dal monitoraggio sulla riattivazione della locale di ’ndrangheta a Lonate Pozzolo e si è allargata seguendo un caso di lupara bianca, la scomparsa di Gaetano Cantarella, legato al clan Mazzei di Catania, che, secondo il pentito Emanuele De Castro, era collegato a Massimo Rosi che stava riattivando la locale di Lonate su ordine del boss Vincenzo Rispoli. Rientrato a Catania il 3 febbraio 2020, e dopo aver incontrato Gioacchino Amico, Cantarella scompare per sempre. Il fatto fu ritenuto rilevante, tanto che aprì nuovi scenari alla Procura che iniziò a ricostruire le diverse componenti del cosiddetto Consorzio.
Non più dunque diverse associazioni, ma un’unica super-associazione al cui tavolo milanese siedono, con pari dignità, i rappresentanti più influenti di Cosa nostra, ’ndrangheta e Camorra. Come si evince dalle intercettazioni, un vero e proprio “Consorzio” delle mafie, termine non nuovo perché già usato negli anni ‘90 proprio per descrivere un’altra federazione mafiosa, anche quella nata e cresciuta all’ombra della Madonnina. Il pentito Salvatore Annacondia, detto “Manomozza”, riferendosi a quel periodo disse che “il Consorzio era la mamma di tutti i gruppi. Una realtà che andava oltre la ’ndrangheta e ricomprendeva ’ndranghetisti, pugliesi, siciliani, campani. Milano e la Lombardia erano la terra di elezione di questo Consorzio”. Al tempo si trattava di quintali di droga, oggi di milioni di euro. I protagonisti di questo nuovo patto hanno in testa un solo obiettivo: fare soldi senza creare allarme sociale, e intimidendo solo quando è assolutamente indispensabile.
Operazione Hydra, le cinque teste del Consorzio
La prima è quella palermitana rappresentata da Giuseppe Fidanzati, detto Ninni, figlio del defunto Gaetano, già a capo del mandamento dell’Arenella, e da suo zio Stefano Fidanzati, ritenuto oggi il reggente del clan a Palermo. La componente trapanese porta il nome di Bernardo Pace e dei suoi due figli.
E poi c’è quella di Castelevetrano legata all’ex latitante Matteo Messina Denaro, catturato il 16 gennaio scorso a Palermo e morto in carcere a L’Aquila il 25 settembre, rappresentata dal suo parente, Paolo AurelioErrante Parrino, boss di vecchio stampo che da decenni dirige i suoi affari dai tavoli del bar “Las Vegas” di Abbiategrasso e che qui incontrerà, con MMD ancora latitante, Antonio Messina, detto l’avvocato, uomo vicinissimo all’ex primula rossa che, stando alle indagini, era coinvolta direttamente nella gestione degli affari lombardi, come suggerito da un lato dalla vicinanza diretta di Errante ai familiari del boss e dall’altro dai diversi incontri che si tennero in Sicilia tra i protagonisti principali del Consorzio e Antonio Messina.
Come quello, ad esempio, che si tenne a Campobello di Mazara al bar “San Vito”, a poco meno cento metri dal luogo che poi si scoprirà essere uno dei covi di Matteo Messina Denaro. Nel novero dei sodali ci sono anche gli imprenditori Rosario e Giovanni Abilone, che mettono a disposizione del cartello oltre duecento società, anche estere, per riciclare denaro e accumulare milioni di euro con crediti fittizi, anche loro di Castelvetrano.
Poi ci sono i fratelli Nicastro, legati alla mafia di Gela, da anni presenti nella zona di Varese, i catanesi della famiglia Mazzei, già collegati alla ‘ndrangheta, in particolare alla locale di Lonate Pozzolo, rinata per volere del boss Vincenzo Rispoli, oggi in carcere, e grazie all’opera di Massimo Rosi. La parte reggina è rappresentata dalla famiglia Crea, Santo e il figlio Filippo, legati alla cosca Iamonte originaria di Melito Porto Salvo, storicamente insediata nell’area brianzola di Desio. Infine la parte romana, la più numerosa, rappresentata da Vincenzo Senese, figlio di Michele e presente a Milano in moltissime occasioni, dallo stesso Gioacchino Amico e da Giancarlo Vestiti, che prima del suo arresto era l’uomo-cerniera per tenere assieme tutti i gruppi. Tanto che Filippo Crea gli dirà: “Guardate che voi siete al centro, voi siete l’epicentro di molti equilibri, per i figlioli, per noi per tutti!”.
Gli affari
Gli affari in generale, ma anche il bonus facciate, il cosiddetto 110%, gestito per conto del gruppo dal siciliano Pietro Mannino, persona vicina ai Fidanzati. Tra i vari lavori eseguiti dal Consorzio troviamo anche quelli nel carcere di Vigevano, grazie alla conoscenza dei Crea con l’ex vicesindaco Antonello Galiani, che non risulta indagato, da poco nominato vice commissario regionale per Forza Italia. E sempre grazie ai contatti di Galiani, i Crea, per conto del Consorzio, progettano la ristrutturazione di oltre duemila alloggi popolari in Piemonte.
In via generale, le parole intercettate di Gioacchino Amico, siciliano con residenza lombarda, chiariscono ulteriormente il quadro: “Faremo l’immobiliare, acquisteremo tutte le cose che ci va a costare, asse non asse… costruiremo tutto… sempre dove con i proventi di Milano, Milano… con i proventi di Roma, Roma… con i proventi di Calabria, Calabria… con i proventi di Sicilia, Sicilia… certo così noi sul territorio non abbiamo discordanze… tu prendi i soldi da Milano da investire a Roma”.
E poi ci sono crediti fittizi con l’erario, venduti con denaro incassato in contanti e frutto di fatture per operazioni inesistenti emesse dagli imprenditori lombardi. Su questo fronte, l’epicentro è l’ufficio di Cinisello Balsamo, riconducibile alla famiglia Pace. Più che un ufficio, si tratta di una vera e propria banca clandestina, dove i carabinieri filmano centinaia di mazzette che passano da una mano all’altra e finiscono ai Pace e, in parte, ai fratelli Abilone: in quattro giorni oltre centomila euro. Gli stessi Pace, a dimostrazione di una forte rete di rapporti, prometteranno di corrispondere il 10% degli incassi mensili a Paolo Errante Parrino, il cosiddetto boss silenzioso. Proprio grazie ai crediti d’Iva gli stessi Abilone creeranno il gioiello societario da mettere a disposizione del nuovo sistema mafioso lombardo. Si tratta della “International Petroli spa” con sede spostata da Milano a Roma e nelle cui casse, come capitale sociale, sono accreditati oltre 300 milioni di euro, frutto di crediti d’iva in mano agli stessi Abilone.
L’ipotesi dell’accusa è stata bocciata dal giudice per le indagini preliminari Tommaso Perna che, nella sua ordinanza emessa il 25 ottobre scorso, ha accolto solo undici richieste di arresto sulle 153 proposte dalla Procura in una richiesta di oltre 5mila pagine. Sono finiti così in manette Gioacchino Amico, Francesco Bellusci, Rosario Bonvissuto, Giacomo Cristello, Giuseppe Fiore, Pietro Mazzotta, Dario e Francesco Nicastro, Massimo Rosi, Sergio Sanseverino, Giuseppe Sorce.
I reati contestati agli indagati dell’operazione Hydra, a vario titolo, sono: porto d’armi, due estorsioni aggravate dal metodo mafioso, una minaccia aggravata, traffico di droga, spaccio ed evasione fiscale. Il gip ha inoltre disposto il sequestro di oltre 200 milioni di euro e sono state eseguite centinaia di perquisizioni.
Nelle oltre duemila pagine di ordinanza il Gip indica una “mancata esistenza di un accordo stabile e duraturo” e ritiene che “il solo coinvolgimento di più soggetti facenti parte di gruppi criminali storicamente riconosciuti in attività economiche” non è sufficiente a “dimostrare l’esistenza di un’associazione trasversale”. Il giudice per le indagini preliminari rimarca inoltre che, in alcuni casi, le prove sarebbero “del tutto carenti” e che le integrazioni alle indagini di “poche pagine”, presentate fra maggio e giugno, sono “scarsamente argomentate” confermando alcuni reati di droga, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, minacce e frodi fiscali.
Operazione Hydra e futuro dell’indagine, parola al Tribunale del Riesame
La pm Alessandra Cerreti, l’aggiunta Alessandra Dolci e il procuratore Marcello Viola hanno già fatto ricorso al Tribunale del Riesame. Ci vorranno non alcune settimane, ma almeno due o tre mesi, perché il Tribunale del Riesame fissi le udienze in cui dirimere le opposte valutazioni giuridiche della pm Alessandra Cerreti e del gip Tommaso Perna. La ragione è che il Riesame, che si occupa di tutti gli arresti e sequestri di tutto il distretto giudiziario, ha solo un presidente e sei giudici, che tra non molto rimarranno quattro perché due sono stati destinati dal Csm altri ruoli. Il Procuratore di Milano, Marcello Viola, lo aveva già detto alla Commissione parlamentare antimafia nello scorso mese di agosto quando, nel corso dell’audizione, dichiarò che nel territorio milanese si stava assistendo alla “creazione e consolidamento di reti criminali trasversali” con “accordi stabili, duraturi, rapporti comuni di capitali, predisposizione di mezzi, risorse umane, la costituzione di società” definendolo un “network criminale evoluto” basato su “accordi” che si saldano sugli “affari” affermando che “le mafie si incontrano” perché hanno scoperto che “la pace è più produttiva della guerra”.
In realtà quanto svelato dall’indagine milanese dimostra che si tratta di una mimetizzazione evolutiva attuata per sfuggire alle confische della legge “Rognoni La Torre”, prevedendo la sovrapposizione occulta dei padrini nella gestione e nelle attività economiche di aziende e perfino di società professionali insospettabili. Già nel 2017 la Direzione Investigativa Antimafia denunciò il fenomeno definendolo un “sottosistema criminale”. Si tratta di un salto di qualità delle mafia, che si sono specializzate nell’infiltrazione del sistema economico. Obiettivi privilegiati oggi sono la scalata azionaria d’istituti di credito, finanziarie, aziende di recupero credito, società di assicurazioni che si aggiungono ai tradizionali interessi e inoltre ammiccano ai modelli economici evolutivi di nuova generazione che vivono nel web e nel dark-web. QdS Roberto Greco