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La scrisse il 20 dicembre 1993 Fausto Cardella che fece parte del pool di magistrati che indagò subito sulla strage. A tirarla fuori è stata l’avvocato Giuseppe Panepinto, che difende Mario Bo, uno dei tre poliziotti imputati per concorso in calunnia aggravata a Cosa nostra
Al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio spunta a sorpresa una lettera di elogio del pm Fausto Cardella, il magistrato che fece parte del pool di pm che indagò sulla strage di via D’Amelio, all’ex capo della Squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera e a tutto il gruppo investigativo ‘Falcone e Borsellino’, che indagava sulla strage, cioè Claudio Sanfilippo, Mario Bo, Salvatore La Barbera, Lilia Fredella. A tirarla fuori, alla fine della deposizione del Procuratore generale di Perugia Fausto Cardella, è stato l’avvocato Giuseppe Panepinto, che difende Mario Bo, uno dei tre poliziotti imputati per concorso in calunnia aggravata a Cosa nostra, insieme con Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei.
Durante il controesame, l’avvocato Panepinto chiede al teste Fausto Cardella, che viene sentito come persona informata sui fatti, di confermare il contenuto di quella lettera di elogio al gruppo ‘Falcone e Borsellino’. Ma la lettera non è agli atti del processo e il pm Stefano Luciani si è alzato e si è opposto con fermezza alla domanda posta a Fausto Cardella. Ma il Presidente del Tribunale Francesco D’Arrigo ha replicato che la domanda era ammessa. Luciani ha poi continuato a ribadire che è “vietato” fare una domanda su un documento che non è agli atti del processo. A quel punto il documento, di tre pagine, è stato mostrato alle parti e allo stesso teste Cardella, che ha confermato il contenuto. E l’udienza è proseguita regolarmente. Ma cosa c’era scritto nella lettera a firma di Cardella e inviata al Procuratore capo di Caltanissetta di allora Giovanni Tinebra il 20 dicembre del 1993? Una lettera che viene scritta alla fine del periodo di lavoro svolto da Cardella a Caltanissetta, applicato per indagare sulle stragi mafiose, dal 2 novembre 1992 fino a dicembre 1993.
“A conclusione del mio periodo di applicazione a questa Dda sento di evidenziare gli eccezionali meriti del dottor Arnaldo La Barbera nelle indagini sulle stragi di Capaci e via D’Amelio”, si legge. Il “dottor La Barbera ha seguito costantemente tali indagini, prima come dirigente della Mobile di Palermo, poi come responsabile dello speciale gruppo investigativo, costituito ad hoc”. “L’impulso positivo alle indagini dal dottor La Barbera inizia fin dai primissimi atti”, scrive ancora Cardella. E lo definisce “sagace, paziente, incisivo, acuto, ricco di fiuto nel proporre nuovi temi investigativi”. “Tenace nel seguire le piste che ritiene interessanti, onesto e pronto nel riconoscere quelle rivelatesi infondate”.
E il magistrato cita nella lettera inviata al Procuratore capo Tinebra tutti i componenti del gruppo tra cui l’imputato Mario Bo, presente all’udienza di oggi.
“Ha saputo scegliere e circondarsi di persone di valore tra le quali devo menzionare specialmente Claudio Sanfilippo, Salvo La Barbera, Mario Bo, e più di recente Lilia Fredella. “I suoi uomini lo amano anche se impone ritmi di lavoro massacranti perché per primo li impone a se stesso” e poi Fausto Cardella ricorda che “i mafiosi lo temono e lo rispettano”. “Io stesso ho potuto cogliere questi atteggiamenti degli uomini d’onore di Cosa nostra in diverse occasioni”. “Essi si alzano in piedi quando entra il dottor La Barbera e tengono verso di lui un atteggiamento rispettoso, quale si riserva all’avversario temuto ma leale” e conclude: “Considero un privilegio avere lavorato con il dottor La Barbera”.
Il Procuratore generale di Perugia conferma, quindi, di avere scritto quell’elogio per la squadra investigativa che si occupava delle indagini sulla strage di via d’Amelio. E poi, parlando in particolare di Mario Bo, dice: “Ricordo che il dottor Bo arrivò nel gruppo dopo un certo periodo di tempo. Io trovai lì il dottor la Barbera, Sanfilippo della Catturandi e poi della numerosa schiera che non saprei riconoscere . La figura di apice era La Barbera. Bo arrivò in un momento successivo, non so quanto tempo dopo il mio arrivo perché la figura dominante era Arnaldo La Barbera. Credo che il dottor Bo, e spero che non me ne voglia, avesse un ruolo minore, non era il nostro riferimento diretto. Sapevamo che c’era, si era instaurato un rapporto di cordialità e stima, però non era un nostro punto di riferimento. Non so neanche se rimase tutto il tempo, lo stimo”.
I tre poliziotti sotto processo sono accusati di aver contribuito a creare il falso pentito Vincenzo Scarantino, che per anni ha tenuto lontana la verità sulla strage Borsellino. PALERMO TODAY