Il Museo Borsellino di Marsala
Il 19 gennaio 2024, giorno in cui Paolo Borsellino avrebbe compiuto 84 anni, a Marsala è stato inaugurato il “Museo Borsellino” su iniziativa promossa e condivisa dalla Sottosezione ANM di Marsala.
Lo spazio espositivo è stato realizzato nell’ufficio del vecchio Palazzo di Giustizia che dal 4 agosto dell’86 al 5 marzo 1992 fu destinato al Procuratore Borsellino: sono state utilizzate la sua stanza e l’antisala recuperandone gli arredi del tempo – poltrona, scrivania, divani, libreria, foto alle pareti ed anche i pacchetti delle sue immancabili sigarette – insieme ai faldoni in originale di alcuni procedimenti penali da lui promossi a Marsala.
È proprio tra queste carte poste sulla scrivania della stanza museo che il visitatore attento potrà trovare la misura di prevenzione personale e patrimoniale che, nel gennaio 1990, fu proposta a firma del Procuratore della Repubblica nei confronti di Francesco Messina Denaro, padre di Matteo. Si tratta di una delle prime applicazioni della normativa antimafia in materia, testimonianza della nuova attenzione investigativa nei confronti della criminalità organizzata che l’arrivo di Paolo Borsellino avrebbe comportato su quel territorio.
Paolo Borsellino si insedia alla Procura di Marsala una volta conclusa l’esperienza al Pool dell’Ufficio Istruzione di Palermo, dove, con Giovanni Falcone, aveva predisposto e sottoscritto l’ordinanza-sentenza nei confronti di “Abbate Giovanni + 706” che diede vita al grande processo a “Cosa nostra” – unico ed irripetibile nella storia giudiziaria italiana – passato alla storia come Maxiprocesso per il numero elevatissimo – 475 – di imputati con vari capi d’accusa tra cui quello di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Il suo “essere magistrato” si era immediatamente caratterizzato per il piglio rivoluzionario rispetto al contesto, sia interno che esterno alla magistratura di allora: pool, organizzazione mafiosa, criminalità economica, accertamenti bancari, riscontri a dichiarazioni eteroaccusatorie e condivisione professionale non erano termini solitamente usati già dentro i Palazzi di Giustizia.
Paolo Borsellino – così come Rocco Chinnici, e come anche tutti coloro che con lui composero il Pool antimafia, Giovanni Falcone, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello – furono dei veri innovatori per l’intera magistratura, capaci di stabilire regole deontologiche prima che professionali, di far prevalere il NOI sull’IO, superando così gelosie, protagonismi, vittimismi e soprattutto, di svolgere l’attività con curiosità investigativa e riscontri necessari, nel segno di una cultura di indagine dove la prova sovrasta la cultura del sospetto o del pre-giudizio.
Ed è con tale spirito che le attività investigative si arricchiscono, attraverso scambio di notizie ed informazioni, sia all’interno dell’ufficio che con altre Procure, adottando un metodo che, soprattutto in ambiti di fenomeni delittuosi pervicaci e di organizzazioni criminali che operano senza distinzione di competenze e/o territori, diventa chiave di successo affermando il principio che processi e indagini non appartengono al singolo Pubblico Ministero o al singolo magistrato, ma sono (o dovrebbero essere) – patrimonio comune.
L’esempio che il Procuratore Borsellino ha fornito alla Procura di Marsala – testimoniato il 19 gennaio scorso dai preziosi e commossi ricordi di Alessandra Camassa, Giuseppe Salvo e Luciano Costantini tra i protagonisti del gruppo marsalese di quel periodo – invita a rifiutare il ruolo del magistrato-burocrate, attendista e superficiale, appiattito al formale rispetto dell’orario di lavoro o delle “carte a posto” (oggi, “numeri e dati statistici a posto”!) o del magistrato isolato nella sua torre eburnea o al contrario, di quello che gareggia all’interno di una scenografica arena incoraggiando tifoserie, dimentico di “essere” un servitore dello Stato.
Egli ha svolto il ruolo di Procuratore, di coordinatore di indagini, senza schermarsi dietro formalismi o rispetto del “quieto vivere”, operando a tutela dei colleghi e, al tempo stesso, con l’autorevolezza derivata dalla sua professionalità e dall’impegno etico nel rispetto assoluto delle norme su assetto organizzativo e strutturale della Procura, individuando itinerari investigativi rispettosi delle norme e del doveroso coordinamento tra i vari organi investigativi, senza ingerenze o stress test di natura aziendale sul corretto sviluppo delle indagini.
Il suo agire si caratterizzava per il modo di affrontare le indagini: indagare “senza se e senza ma”, penetrando nel circuito criminale grazie agli strumenti normativi del processo e del diritto penale, facendo emergere fenomeni delittuosi di non facile e immediata acquisizione; egli infatti, ha indagato dove altri non indagavano nel rispetto del principio di autonomia e indipendenza della magistratura, riconosciuto costituzionalmente non quale prerogativa e privilegio di libertà da vincoli, ma, piuttosto, come principio che ne contraddistingue e delimita competenze e ruoli rispetto agli altri poteri dello Stato.
Così Paolo Borsellino è stato al servizio dello Stato e della Giustizia, protagonista indiscusso e autorevole della nostra storia giudiziaria senza scrivere libri su indagini svolte, né esibire od ostentare il proprio servizio; senza tessere relazioni con poteri estranei alla magistratura alla ricerca di vacui consensi o di prebende e incarichi; ha svolto le indagini nel rispetto della legge, senza esitazioni né personalismi, svelando sacche di impunità e facendo emergere reti di protezione o clientele, senza tatticismi o titubanze, preoccupazioni o retropensieri.
Egli ha acquisito credibilità, autorevolezza e riconoscimento solo indossando la toga per entrare nelle aule di Giustizia; non ha fatto ricorso a scorciatoie, raccomandazioni, relazioni per far valere il suo “essere” magistrato.
Tutto ciò Paolo Borsellino l’ha fatto mantenendo sempre quel sorriso accogliente e trasparente che mostra nelle foto esposte nel Museo, luogo di doverosa memoria, aperto a studenti, a marsalesi, a cittadini e a tutti coloro che hanno voglia di “vedere” i luoghi di questa illustre storia, per recuperare e meglio comprendere il valore che rappresentano questi Uffici non per (o almeno non solo per) statistiche, buone prassi, monitoraggi – più facilmente riferibili alla produttività aziendale – ma, piuttosto, per la capacità di condurre e sviluppare indagini che, nel rispetto delle regole penali e processuali e di fronte a prove verificate, configurino ipotesi di reato senza sacrificare le reali esigenze della persona sottoposta alle indagini e della persona offesa da sottoporre al vaglio del Giudice nel contraddittorio tra le parti.
Paolo Borsellino è stato un dirigente innamorato della funzione requirente in un momento storico nel quale tale figura cominciava ad essere al centro di polemiche tempestose degenerate in ingiuste e irragionevoli delegittimazioni, poiché molteplici sono stati e continuano ad essere i tentativi di assoggettare la Procura della Repubblica allo scopo di esercitare poteri di controllo e condizionamento o peggio, di indurre a forme di obbedienza.
Oggi a destare le preoccupazioni maggiori sono le preannunciate linee di fondo del progetto di riforma della giustizia penale che mirano a coinvolgere (o forse, a sconvolgere) l’assetto costituzionale che è proprio del Pubblico Ministero proponendo in modo ossessivo la separazione delle carriere giudicanti e requirenti, l’istituzione di due distinti Csm, l’incremento della percentuale della componente non togata in entrambi a scapito di quella togata, la prova psicoattitudinale, l’introduzione di un nuovo meccanismo disciplinare, un diverso rapporto tra polizia giudiziaria e pubblico ministero, in balia di un legislatore frenetico e allo stesso tempo contraddittorio perché sempre orientato a sanzionare esclusivamente in sede penale – con delega diffusa al P.M. e al Giudice penale – ogni accadimento ritenuto illegittimo o in contrasto con le regole democratiche.
In tal modo, viene svilito il ruolo del Pubblico Ministero additandolo come il male di tutti i guai del valore Giustizia, tristemente affermando una palese sfiducia nel suo operato con il desiderio di delegittimarlo.
Il Museo dedicato a Paolo Borsellino, riecheggiando il convincimento proustiano secondo il quale “la memoria è l’unico strumento in grado di cogliere le trasformazioni che il tempo causa alle cose e alle persone; conservare la memoria, quindi, significa conservare l’identità” ci aiuta a recuperare il reale significato della funzione della Procura: ricca, appassionata, capace di intervenire in favore della vittima e nel rispetto della persona indagata, affermandone l’identità secondo il principio di un’azione della magistratura inquirente svolta dentro la cultura della giurisdizione e della prova, distante ed estranea – per il bene della collettività – a ogni forma di controllo e influenza, diverse da quelle fisiologiche delle regole del Processo.
L’auspicio è che il Museo diventi, in tal senso, anche un luogo di riflessione attenta, dove, attraverso oggetti della memoria, possa cogliersi l’essenza di “esser magistrato” di una Procura della Repubblica che, nella sua, apparentemente, semplice quotidianità, nasconde fatica, impegno, passione, riuscendo a realizzare risultati che possono aiutarci “a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Fernando Asaroo 4
8.2.2024 AVVISO
“E’ una giornata molto particolare per me e le mie sorelle.
Non ho parole per ringraziare chi ha avuto l’idea di realizzare un museo alla memoria di mio padre.
E sono contento che un magistrato come Fernando Asaro sia oggi al suo posto”. L’ha detto Manfredi Borsellino, visibilmente emozionato, all’inaugurazione, nell’ex palazzo di giustizia di Marsala, del museo dedicato alla memoria di Paolo Borsellino, che oggi avrebbe compiuto 84 anni.
L’iniziativa è stata della sottosezione di Marsala dell’Anm, presieduta da Fabrizio Guercio.
Ed è stata sposata da Comune, Tribunale e Procura.
“Qui – ha proseguito Manfredi Borsellino – mio padre ha vissuto cinque anni e mezzo da uomo libero”. Il museo è nella stanza, al secondo piano dell’ex Procura, che dal 4 agosto 1986 al 5 marzo 1992 fu l’ufficio di Borsellino. Borsellino é rappresentato su una parete da un’opera dell’artista marsalese Fabio Ingrassia.
“A Marsala – ha affermato il procuratore Asaro – Borsellino ha portato l’esperienza dell’ufficio istruzione di Palermo. Lui fu l’autore di una vera rivoluzione culturale e professionale.
Rivoluzione anche per il concetto di pool. Non più io, ma noi. Senza gelosie nell’affrontare le indagini. Borsellino ha avuto il coraggio d’indagare dove altri non l’hanno fatto e non frequentando salotti”.
Sulla scrivania del suo ufficio sono stati posti alcuni dei fascicoli sui quali Borsellino ha lavorato: quello delle misure di prevenzione per il boss di Castelvetrano Francesco Messina Denaro, padre di Matteo, e le dichiarazioni del pentito Rosario Spatola.
“Questo museo – ha aggiunto Asaro – deve essere anche la nostra casa, dove venire a ispirarci”. All’inaugurazione erano presenti anche alcuni dei sostituti che Borsellino ebbe a Marsala: Alessandra Camassa, attuale presidente del Tribunale di Marsala, Luciano Costantini, presidente del Tribunale di Livorno, Francesco Parrinello e Giuseppe Salvo.
“Su tavolo del suo ufficio – ha ricordato Costantini – c’era l’agenda rossa. Borsellino aveva dei valori non negoziabili. E non tutti tifavano per lui”. Presenti a Marsala, tra gli altri, il presidente del Tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini, la presidente della Commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo. ANSA
Museo “Paolo Borsellino” inaugurato nell’ex tribunale di Marsala
(ITALPRESS) – Inaugurato a Marsala, nel trapanese, il Museo “Paolo Borsellino”. La sede museale è l’ex ufficio del magistrato, al secondo piano dell’ex Palazzo di Giustizia, dove svolse le funzioni di Procuratore della Repubblica di Marsala dal 4 agosto 1986 al 5 marzo 1992, anno in cui fu ucciso dalla mafia. Il progetto nasce con la collaborazione del Tribunale e della Procura della Repubblica di Marsala, l’Amministrazione comunale di Marsala e l’Associazione Nazionale Magistrati-sottosezione di Marsala. Dopo la scopertura della targa e la visita al museo, è stata presentata al pubblico l’opera pittorica raffigurante Paolo Borsellino realizzata dall’artista marsalese Fabio Ingrassia. “E’ una giornata per me molto particolare, per le mie sorelle che non sono potute venire”, ha dichiarato nel corso del suo intervento Manfredi Borsellino, visibilmente commosso. “Sono entrato in quell’ufficio che non avevo neanche compiuto quindici anni per cui potete immaginare. Per noi ha un valore enorme questa iniziativa e quello che avete realizzato”, ha sottolineato il figlio del magistrato, aggiungendo: “Posso solo dirvi che il periodo trascorso da mio padre in questa città, che lo allontanava da Palermo, gli ha permesso di vivere da uomo libero per cinque anni e mezzo ed è il periodo più bello della nostra vita perché mio padre, grazie all’esperienza marsalese, ci ha regalato forse gli ultimi anni di vera libertà”.
PAOLO BORSELLINO – Marsala 4 luglio 1992. Il saluto dei suoi Sostituti e collaboratori
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Sabato 4 luglio 1992, ovvero quindici giorni prima di essere assassinato da Cosa nostra, Paolo Borsellino si reca per l’ultima volta al Tribunale di Marsala per la cerimonia di saluto che era già stata rinviata altre volte dopo il trasferimento a Palermo. Borsellino parla a braccio, ricorda i sacrifici che i magistrati devono affrontare per assicurare alla nazione il servizio della giustizia e riceve una bellissima lettera di saluto dai “suoi” sostituti, i giovani pm cresciuti sotto la sua guida negli anni delle inchieste marsalesi: Giuseppe Salvo, Francesco Parrinello, Luciano Costantini, Lina Tosi, Massimo Russo, Alessandra Camassa.
IL SUO COMMIATO DALLA PROCURA DI MARSALA
«Grazie a tutti quelli che sono intervenuti, grazie alle forze dell’ordine, al personale dell’Ufficio, ai colleghi, agli avvocati, ai membri del Tribunale. Questo incontro avviene dopo diversi mesi che io sono andato via dalla Procura di Marsala; avviene così tardi per colpa mia, perché il lavoro che mi ha preso pesante e impegnativo a Palermo ha fatto sì che io più volte pregassi i colleghi che volevano farmi questo saluto a postergarmi una data. E purtroppo in questo periodo è avvenuto qualcosa che fa sì che io oggi vi ringrazio per queste parole di affetto.Vi ringrazio, vi ringrazio per questi doni che mi ricorderanno per sempre il vostro affetto. Vi ringrazio come uomo profondamente cambiato nonostante siano trascorsi pochi mesi da quando sono andato via dalla Procura di Marsala.
Voi lo sapete perché, lo immaginate perché sono profondamente cambiato, perché abbia detto con convinzione i nuovi commenti che ho sentito di dover fare dopo questa tragedia che ha sconvolto la nostra Patria, la nostra Sicilia e noi tutti, tragedia che, come ho detto, mi ha fatto temere e mi fa temere ancora di aver perduto l’entusiasmo.
Spero che questo entusiasmo mi ritorni e ritengo che oggi mi abbiate dato un aiuto per questo, perché ritrovarmi con le persone con le quali ho passato la bellissima avventura della mia permanenza a Marsala mi ricorda l’entusiasmo con cui l’ho vissuta, e spero che questo entusiasmo, nonostante quello che è successo e che mi ha così profondamente colpito, mi ritorni anche nel nuovo incarico, perché ne ho molto bisogno.
Recentemente in questi mesi ho avuto l’avventura di leggere alcune pagine di un libro che parla anche della mia permanenza a Marsala, e ho scoperto, attraverso le parole che non sto qui a commentare perché non lo meritano, che io sono venuto a Marsala per farmi i bagni di mare, perché volevo la Procura di mare.
Io sono venuto a Marsala, come ho detto il 4 agosto del 1986, per poter continuare un lavoro che avevo iniziato a Palermo con Giovanni Falcone; sono venuto a Marsala e, nonostante è vero che ami profondamente il mare, al di là di qualche serata struggente passata in riva allo Stagnone parlando di lavoro con colleghi, poliziotti o carabinieri, delle bellezze di Marsala ne ho viste poche.
Non credo che ci siano molti in grado di dire sinceramente di avermi visto passeggiare per Marsala: sono venuto per lavorare, ho amato questa città, ma l’ho dovuta guardare e vedere quasi da lontano, attraverso il prisma che me la allontanava dai vetri blindati della mia macchina e del mio ufficio.
Sono venuto a Marsala per lavorare, ritengo di aver lavorato; i miei colleghi sanno, tutti sanno, vorrei dire, che la mia Marsala non è stata una permanenza di posteggio. Normalmente i Procuratori della Repubblica che mi hanno preceduto in questo Ufficio sono stati un paio d’anni, io sono stato sei anni e sarei rimasto ancora, sarei rimasto ancora perché vi erano profonde ragioni – a cui ora accennerò – se sono andato via.
Tutti i colleghi sanno che sono andato via perché temevo di non poter continuare qui a Marsala un lavoro nel quale ritengo di aver acquisito grande esperienza, e pertanto pensavo che questa esperienza non potessi conservarla, non potessi metterla da parte, e dovevo pertanto tornare a Palermo.
Me ne sono andato in punta di piedi, quasi non credendoci. Tutti sanno che per ben tre mesi sono stato applicato a Palermo, sono rimasto appena due giorni alla settimana a Marsala e l’avrei continuato a fare a lungo, l’avrei continuato a fare sino a oggi, se a Palermo non fossi stato preso dal mio lavoro pesantissimo, e se non fosse successo quello che è successo.
Debbo ringraziare tutti per l’aiuto che mi avete dato durante la mia permanenza a Marsala, dove io non ho preso bagni di mare ma ho lavorato, come le cronache di tutta la stampa di tutta Italia sanno; non è vero che io mi ero pentito di venire a Marsala perché l’attenzione me la riservava soltanto Telescirocco, come ho letto in quel libro; sono venuto a Marsala per lavorare e tutti se ne sono accorti, perché grazie all’aiuto del mio ufficio, dei miei colleghi, dei miei Carabinieri, della mia Polizia, “mia” in senso affettivo, Marsala è andata alla ribalta della cronaca nazionale, come uno degli uffici dove il lavoro si faceva meglio e se ne faceva di più. E di questo vi ringrazio tutti.
In discorsi del genere è facile dimenticare taluno, io non dimentico nessuno; penso a tutti voi: i funzionari, i poliziotti, i Carabinieri, gli avvocati, i colleghi, tanta gente della popolazione di questa città che è venuta a trovarmi, è venuta a parlare con me, e che ha trovato sempre la porta aperta e si meravigliava anche della facilità con cui io cercavo di ricevere tutti.
Non fosse avvenuta quella tragedia che è avvenuta a fine maggio, oggi vi potrei dire qui che io sono ritornato a Palermo non soltanto arricchito dall’esperienza di Marsala, ma dalla convinzione che questa esperienza mi impegnavo a portarla a Palermo per trasformare, utilizzare in un ambito più vasto ciò che qui avevo sperimentato.
Purtroppo, quello che è avvenuto a fine maggio mi induce, e ritengo ci induca tutti a una riflessione, perché ancora forse neanche più sappiamo quello che facciamo dopo, che faremo dopo.
Io non lo so quello che farò dopo perché la morte di Giovanni Falcone mi ha talmente colpito come magistrato, ma soprattutto – consentitemi – come uomo che ha vissuto con lui la sua vita sin da bambino, che oggi tanti sono gli interrogativi ai quali io non so dare risposta.
Ma vi prometto, che questi sei anni che abbiamo vissuto insieme e questi momenti così commuoventi che oggi, per me – ma ritengo anche per voi – che oggi stiamo vivendo assieme avranno sicuramente un peso, un peso determinante nella risposta che io dovrò dare. Grazie».
Paolo Borsellino
IL TESTO DELLA LETTERA DEI SUOI SOSTITUTI
Carissimo Paolo, al di là dei saluti ufficiali, anche se sentiti, un momento privato, un colloquio tra noi. Noi tutti siamo qui a Marsala con te fino dal tuo arrivo, ma ognuno di noi porta nel suo cuore un pezzetto di storia da raccontare sul lavoro a Marsala, nella procura che tu hai diretto.
Ci piacerebbe ricordare tante situazioni impegnative o tristi o buffe che ci sono capitate in questa esperienza comune, ma l’elenco sarebbe lungo e, allo stesso tempo, insufficiente.
Possiamo comunque dirti di aver appreso appieno il significato di questo periodo di lavoro accanto a te e le possibilità che ci sono state offerte: l’esperienza con i pentiti, i rapporti di un certo livello con la polizia giudiziaria, sono situazioni rare in una procura di provincia, e la tua presenza ci ha consentito di giovarci di queste opportunità.
Abbiamo goduto, in questi anni, di un’autorevole protezione, i problemi che si presentavano non apparivano insormontabili perché ci sentivamo tutelati.
Qualcuno ci ha riferito in questi giorni che tu avresti detto, ironizzando, che ogni tuo sostituto, grazie al tuo insegnamento, superiorem non recognoscet.
Sai bene che non è vero, ma è vero invece che la tua persona, inevitabilmente, ci ha portati a riconoscere superiore solo chi lo è veramente.
Ci sono state anche delle incomprensioni, e non abbiamo dimenticate nemmeno quelle: molte sono dipese da noi, dalle diversità dei caratteri e dalla natura di ognuno; altre volte, però, è stata proprio la tua natura onnipotente a vedere ogni cosa dalla tua personale angolazione, non suscettibile di diverse interpretazioni.
Tuttavia, anche in questo sei stato per noi un “personaggio”, ti sei arrabbiato, magari troppo, ma con l’autorità che ti legittimava e che mai abbiamo disconosciuto.
Anche nel rapporto con il personale abbiamo apprezzato l’autorevolezza e la bontà, mai assurdamente capo, ma sempre “il nostro capo”. E poi te ne sei andato, troppo in fretta, troppo sbrigativamente, come se questo forte rapporto che ci legava potesse essere reciso soltanto con un brusco taglio, per non soffrirne troppo.
Il dopo Borsellino non te lo vogliamo raccontare: pur se uniti tra noi, in tantissime occasioni abbiamo sentito che non c’eri più, e in molti abbiamo avvertito il peso, talvolta eccessivo per le nostre sole spalle, di alcune scelte, di importanti decisioni. E adesso il futuro, il tuo, ma anche il nostro.
Noi ti assicuriamo, già lo facciamo, siamo all’erta, sappiamo che cosa vuol dire “giustizia” in Sicilia ed abbiamo tutti valori forti e sani, non siamo stati contaminati, e se è vero che “chi ben comincia…”, con ciò che segue, siamo stati molto fortunati. Per te un monito: è un periodo troppo triste ed è difficile intravederne l’uscita.
La morte di Giovanni e Francesca è stata per tutti noi un po’ la morte dello stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo stato in Sicilia è contro lo stato, e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello stato.
I ”tuoi sostituti”
Dai suoi collaboratori
Ingrandisci il testo originale
da pagina FB di GIOVANNI PAPARCURI
ALESSANDRA CAMASSA RAI NEWS
LUCIANO COSTANTINI
IL RICORDO DEI COLLEGHI DI MARSALA
SALVO BEPPE
Associazione Magistrati: “A Marsala un Museo alla memoria di Paolo Borsellino”
Via D’Amelio, 31 anni dalla Strage. Un murale per Borsellino all’ingresso dell’ospedale di Marsala