della Polizia di Stato: ”Mi ordinarono di interrompere la registrazione di VINCENZO SCARANTINO il collaboratore doveva parlare con i magistrati” AUDIO
“ Nel primo periodo in cui fui di servizio a San Bartolomeo a Mare per seguire Scarantino ricordo che ad un certo punto il collega Di Ganci mi fa:‘Dobbiamo andare a staccare il registratore perché Scarantino deve parlare con i magistrati’. Non so con quale magistrato. Andiamo ad Imperia, dove si faceva il servizio di ascolto. Lui stacca, c’è la telefonata e poi riattiva l’intercettazione”. E’ questa la rivelazione che l’ispettore di Polizia Giampiero Valenti. “Al tempo mi risposi che era normale che dall’ufficio non avessero interesse alle conversazioni tra Scarantino e un magistrato. All’epoca, non mi sembrò una cosa illecita a chi dovevo fare una relazione di servizio? Al mio ufficio, che mi aveva chiesto di staccare quella intercettazione?”.
“Voglio parlare senza condizionamenti” ha detto ancora rivolgendosi alla Corte e rispondendo alle domande dei pm Gabriele Paci e Stefano Luciani che hanno chiesto come mai, soltanto dopo così tanti anni si è deciso a riferire questi elementi. Ed il teste si è giustificato sfogandosi anche tra le lacrime: “Certe cose mi sono venute in mente da quando sono finito sotto indagine. Io con questa storia non c’entro proprio nulla. Io sono finito indagato, definito depistatore, servo infedele. Quando Scarantino ha sbagliato il mio cognome. Il Giampiero di cui parlava non ero io, ma un altro collega (Guttdauro), che si presentava col mio nome. Tempo dopo ho anche saputo che un episodio simile era accaduto ad un altro mio collega, Francesco Trippodo. Mi raccontò che Giacalone (altro membro del gruppo Falcone e Borsellino) si era presentato con il suo nome a Candura”. Ma non è solo questo l’elemento nuovo emerso nel corso del lungo esame. Perché Valenti, pur riconoscendo la firma nel verbale conclusivo in cui si attestava l’attività di intercettazione all’utenza di Scarantino, ha dichiarato: “Io non ho redatto quel verbale. Riconosco la mia firma ma non credo proprio di essere più tornato al Tribunale di Imperia per quell’attività. Solo nel primo periodo mi sono recato lì. Il mio compito era quello di gestire la famiglia di Scarantino e le loro esigenze: la spesa, i bambini da portare a scuola; mi è capitato pure di accompagnare lui o la signora a Imperia per una visita oculistica. Non ricordo esattamente dove si trovasse il telefono in quella casa. Quando poi finì l’attività di intercettazione ci chiesero di firmare dei brogliacci. Riconosco la mia firma ma nego di conoscere quella che è l’attività di intercettazione”.
“Sono stato uno stupido perché non avevo alcuna esperienza. Non capisco perché questo verbale non lo firmò chi gestiva l’attività e lo fecero firmare all’ultima ruota del carro. Tutto quello che veniva fatto all’interno del gruppo era opera di Ricerca e Maniscaldi, che erano i superiori. Ripeterò fino alla morte che riconosco la mia firma ma non conosco quell’attività di indagine”. “Ricordo di aver visto Arnaldo La Barbera quando portammo a Roma Scarantino per i confronti con i collaboratori di giustizia”. Ha poi riferito di un interrogatorio di Scarantino che vi sarebbe stato con la dottoressa Palma (“C’era un registratore e ricordo anche che vi fu una pausa perché la dottoressa doveva fumare”).9