21.10.2020 – FABIO TRIZZINO: “Questa sentenza aggiunge un ulteriore tassello, restano da ricostruire le convergenze d’interessi che causarono la stagione stragista del 1992”.

 

Lo dice all’AGI l’avvocato Fabio Trizzino che, assieme al collega Vincenzo Greco, ha rappresentato i familiari del giudice Paolo Borsellino nel processo in cui la corte d’Assise di Caltanissetta ieri, poco prima id mezzanotte, ha condannato all’ergastolo il latitante Matteo Messina Denaro con l’accusa di essere tra i mandanti anche delle stragi di Capaci e via d’Amelio del ’92. “Messina Denaro era l’ultimo dei grandi soggetti di Cosa nostra che finora era sfuggito alle sue responsabilità – dice il legale all’indomani della sentenza, nel rappresentare il pensiero della famiglia – sicuramente in quel momento storico vi sono state delle situazioni in qualche modo di convergenza rispetto a questa strategia politica di Cosa nostra: adesso bisogna ricercare gli eventuali mandanti esterni”. Nel corso del processo la Corte ha ascoltato decine di collaboratori di giustizia, ma anche investigatori dell’epoca, nel tentativo di ricostruire il contesto criminale e politico di quegli anni. “Nel corso della requisitoria, nella definizione dello scenario, vari elementi convergono in una cointeressenza di vari ambienti per la destabilizzazione del Paese – continua l’avvocato Trizzino parlando con l’AGI – e da operatori del diritto dovremmo cercare le prove di coinvolgimenti esterni”.
Oltre alle nuove prove – tra cui le intercettazioni in carcere di Totò Riina e le dichiarazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina – il processo si è basato su una rilettura di alcuni episodi, incrociando elementi emersi nelle sentenze passate in giudicato. “Questo processo dimostra che la valorizzazione di elementi già agli atti può portare alla ricostruzione di quei fatti da sottoporre al giudizio di un giudice, io credo che ci siano disseminati qua e là – anche a dimostrazione dei vari processi svolti in 28 anni – elementi il cui approfondimento può portare alla rivalutazione di alcuni episodi che sono stati sottovalutati”.
Durante la requisitoria il pm Paci ha scandagliato i giorni precedenti all’attentato di via d’Amelio, riconoscendo una ‘accelerazione’ nelle fasi di organizzazione dell’omicidio. “L’accelerazione c’è stata e ce lo dice chiaramente Giovanni Brusca. C’è qualcosa di straordinariamente importante tra l’incarico di uccidere Mannino, a Brusca dato i primi giorni di giugno e ritirato da Riina il 20 di quel mese: in quel periodo va cercata la ragione reale dell’accelerazione”, aggiunge l’avvocato dei familiari del giudice ucciso il 19 luglio 1992. “Secondo la nostra analisi, abbiamo individuato un particolare interesse del giudice Borsellino nei confronti dell’intreccio mafia e appalti – conclude Trizzino – e l’ipotesi che questa abbia determinato la sua morte”. (AGI)