Via d’Amelio, il fragile potere della memoria dei magistrati in audizione in Antimafia

Dopo l’audizione dei magistrati, emerge l’importanza di affidarsi (e magari studiarli) ai documenti per una comprensione accurata degli eventi. Ecco alcuni episodi che dicono cose diverse dalle testimonianze influenzate dal tempo

Nelle scorse settimane, in commissione Antimafia, ci sono state le audizioni dell’ex magistrato Gioacchino Natoli dell’allora procura di Palermo. Ha giustamente chiesto di essere convocato per replicare alla ricostruzione data dall’avvocato Fabio Trizzino, genero di Paolo Borsellino, relativa alla questione dell’archiviazione sulle indagini riguardanti i fratelli Buscemi, mafiosi di rango, nate sotto la segnalazione dell’allora procuratore Augusto Lama di Massa Carrara.
Natoli ha seguito personalmente quell’indagine, per cui rimane l’incognita del perché Borsellino – che ha ricevuto la seconda informativa da Massa Carrara ad aprile 1992 – non avendo la delega delle indagini palermitane, l’abbia consegnata agli ex colleghi Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone, e non a Natoli stesso.
L’ipotesi più probabile è che parliamo dei magistrati titolari del dossier mafia appalti, nel quale erano già stati indicati gli affari dei Buscemi con la Ferruzzi-Gardini. D’altronde, Borsellino conosceva perfettamente il contenuto del dossier, avendo richiesto una copia quando guidava la procura di Marsala.

Ipotesi a parte, Natoli ha affermato di non aver seguito il procedimento mafia-appalti. Nonostante ciò, ha voluto comunque fornire una ricostruzione basandosi sulla famosa relazione al Csm – nata a seguito delle feroci polemiche generate dalla stampa – fornita dalla procura di Palermo sotto la guida di Giancarlo Caselli.
Ma qui evitiamo di entrare nel merito. Ci sono però dei fatti oggettivi che non vanno trascurati. L’ex magistrato Natoli evidentemente non li conosce, ma va dato atto che probabilmente non è l’unico, perché i commissari della commissione guidata dalla presidente Chiara Colosimo non hanno fatto alcuna replica, denotando scarsa conoscenza dei fatti. Eppure sarebbe stato interessante un confronto costruttivo, anche per Natoli stesso, che ha dimostrato di essere una persona aperta al dialogo.

Il deputato Giuseppe Provenzano del Partito Democratico ha posto un’ottima domanda sul dossier mafia-appalti. In particolare, ha chiesto a Natoli se sa come Giovanni Falcone visse le polemiche riguardanti la gestione dell’indagine. Natoli, con onestà intellettuale, ha risposto di non saperne nulla. Tuttavia, la stessa domanda è stata riproposta dal senatore Sandro Sisler di Fratelli d’Italia, che ha aggiunto se è a conoscenza del fatto che il giudice ucciso a Capaci sia stato promotore del dossier.
A quel punto Natoli ha risposto: «Falcone, per quello che io so, di mafia e appalti non se n’è occupato, perché di mafia e appalti, qualora se ne sia occupato nella fase originaria delle indagini, quindi prima che venga depositato il fascicolo il 16 febbraio 1991, io non so nulla perché non sono in procura. Giovanni se ne poteva essere occupato, ed era la cosa che, ad esempio, io avevo sentito così, da giudice istruttore, quando lui era ancora giudice istruttore, per l’omicidio Taibbi, per la collaborazione del professore Giaccone, quindi di due fascicoli che c’erano all’Ufficio Istruzione quando eravamo ancora giudici istruttori».
Incalzato nuovamente, ha risposto seccamente: «Relativamente a come nasce mafia-appalti e a che cosa fa Giovanni Falcone su mafia e appalti non so nulla. In questo caso veramente neppure de relato, perché queste cose non sono emerse o, almeno, a mio ricordo non sono emerse».

Ora, in una commissione antimafia, sarebbe stato interessante condividere conoscenze, e magari replicare con i fatti documentati.
Punto primo. Giovanni Falcone seguiva costantemente l’indagine dei Ros, e infatti non solo ha ricevuto e firmato il dossier depositato, ma precedentemente ha ricevuto e sottoscritto le informative precedenti. Che lo ritenesse di importanza primaria emerge dalle sue esternazioni pubbliche come il convegno dedicato alla criminalità e appalti organizzato il 15 marzo del 1991 presso Castel Utveggio sul monte Pellegrino a Palermo. Ma anche riservate, quando Falcone assieme a tutti gli altri colleghi della procura di Palermo, viene sentito il 22 giugno del 1990 dalla commissione Antimafia nazionale venuta apposta a Palermo per ascoltarli (come emerge anche dallo stralcio che pubblichiamo). E di cosa parlerà Falcone? Proprio dell’importanza dell’indagine dei Ros, elogiandoli, sugli appalti, anticipando che sarà presto depositata l’informativa. Sicuramente a Natoli sarà sfuggito, ed è comprensibile visto che sono passati 34 anni, ma c’era anche lui tra i magistrati auditi.

Per dare risposta alla giusta domanda del deputato Provenzano, è importante aggiungere ulteriori elementi che chiariscano come Falcone percepisse il clima all’interno della Procura riguardo al famigerato procedimento, anche considerando il periodo in cui era già al ministero della Giustizia. Sia chiaro, quello che Il Dubbio elenca sono verbali e atti che evidenziano il pensiero critico di Falcone nei confronti della Procura.

Il primo è un verbale di assunzione di informazioni del 1997 riguardante Liana Milella, all’epoca giornalista del Sole 24ore. È stata sentita avendo, all’indomani della strage di Capaci, pubblicato sul giornale una parte di annotazioni dei diari di Falcone che lui stesso le aveva consegnato. Alla domanda se avesse avuto confidenze da Falcone sulla gestione di quel dossier, Milella ha risposto che lei scrisse più di un articolo critico sulla gestione di quel procedimento da parte della Procura e del fatto che fossero stati arrestati “pesci piccoli”. Inoltre, la giornalista ha aggiunto: «Falcone, in più occasioni, ed in particolare dopo gli arresti, aveva commentato, con grande delusione, gli sviluppi di quell’inchiesta dicendomi che riteneva riduttiva la scelta di arrestare solo certe persone».

L’altro verbale è del 1998 e riguarda la testimonianza dell’ex ministro Claudio Martelli. L’argomento è sempre mafia-appalti ed è stata posta la domanda se Falcone mai ne parlò con lui, relativamente alla gestione del procedimento. «Quel che ricordo – ha raccontato Martelli – è che Falcone osservò che Giammanco aveva trascurato o insabbiato quell’indagine. Quando poi è sorto un certo clamore (i giornali critici, ndr), allora il procuratore di Palermo aveva avuto la bella pensata di venire a Roma e, con un atto irrituale, di consegnare al ministero quella documentazione. Per questo Falcone mi suggerì di non incontrare Giammanco. Non escludo che vi sia traccia formale della decisione mia o degli Uffici, di considerare irrituale e irricevibile la trasmissione di quegli atti dalla Procura di Palermo». A questo si aggiungono le numerose testimonianze di Liliana Ferraro, amica e collaboratrice di Falcone al ministero, in cui spiega quanto fosse arrabbiato con Giammanco per come stava gestendo quell’indagine.

Inutile aggiungere cosa ne pensasse Borsellino, anche se per pura casualità, tutti i magistrati auditi in commissione antimafia lo ricordano solo vagamente. Tuttavia, va anche dato atto che sono passati 32 anni dalla strage: un periodo così lungo in cui i ricordi inevitabilmente sbiadiscono.
Ad esempio, lo stesso Natoli, nel raccontare come avvenne la riunione del 14 luglio del ’92 in procura, ricorda Borsellino vicino a una porta aperta, mentre fumava, ed entrava e usciva. Eppure, rileggendo le audizioni al Csm (a pochi giorni dalla strage di Via D’Amelio), i magistrati forniscono descrizioni diverse. Domenico Gozzo afferma: «Borsellino era seduto due sedie dopo di me», mentre Vincenza Sabatino dichiara: «Ero seduta accanto a Borsellino durante tutta l’assemblea». Questo per dire che siamo nel 2024, e non ha più alcun senso ascoltare testimonianze in cui i magistrati sono costretti a ripercorrere fatti di decenni fa, specialmente quando in commissione manca la capacità di stimolare la memoria attraverso le repliche. Concordo con Natoli quando, in più occasioni, ha affermato: «Bisogna far parlare le carte». Tiriamole fuori, anche quelle ancora tenute nei cassetti, e facciamo sì che siano loro a parlare.

DAMIANO ALIPRANDI 13 febbraio, 2024 • IL DUBBIO

 

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