dure polemiche in aula sulla severità delle norme Approvato il decreto antimafia ma scompare il fermo di polizia La Camera approva il decreto antimafia; ora tocca al Senato per gli ultimi ritocchi. Come ha voluto il governo, la lotta alla criminalità organizzata si fa più stringente. Nei processi per mafia entreranno come prove anche i verbali di interrogatorio o le testimonianze videoregistrate di pentiti. Si puniscono anche i politici che cercano i voti mafiosi. Non si reintroduce, invece, il fermo di polizia. A cantare il «de profundis» per la norma è il ministro dell’Interno, Nicola Mancino, de. In risposta alle sollecitazioni del pds, che approva il senso generale del decreto, ma non il fermo di polizia, e che nella votazione finale si è astenuto, il responsabile del Viminale è pragmatico. «Così come è stato formulato – spiega Mancino questo cosiddetto fermo di pohzia non accontenta nessuno. Non è certo il fermo com’era previsto dalle leggi antiterrorismo di Cossiga. Prevede soltanto la possibilità da parte delle forze dell’ordine di accompagnare qualcuno negli uffici di polizia. Insomma, ha una portata assai limitata. E il governo non insiste per l’approvazione». Detto fatto, la Camera ha cancellato l’articolo a stragrande maggioranza (434 contro 9). E resta scornato il sindacato autonomo di polizia, che invece su quella misura ci contava parecchio. Protesta il Sap: «Denunceremo con nomi e cognomi tutti quei parlamentari che non vogliono combattere la mafia e credono di risolvere il problema con le parole di sempre». Botta e risposta polemica anche tra il pri e Mancino: «Sull’emendamento relativo al fermo di pohzia – dice il partito di La Malfa -, il pds ha ingaggiato una battaglia che riecheggia motivi di altri tempi e che sarebbe degna di miglior causa. Anche il governo ci ha messo del suo dando vita a quella che è sembrata una divisione tra Martelli e Mancino». Ma risponde subito Mancino: «Nessuna divisione. Sul ferrmo di polizia le opinioni sono state coincidenti, non si dica che è stato abbandonato il fermo ma piuttosto che il fermo come ipotizzato nel testo non avrebbe sortito effetti positivi». Ma anche se il governo ha lasciato cadere il fermo di polizia, resta fermo l’impianto generale del decreto. La stretta, specie nei Erecessi e nelle carceri, è sensiile. Ed ecco che sul fronte opposto si fa sentire la voce dei garantisti. Si alza Alfredo Biondi, ad esempio, vicepresidente della Camera e liberale. Da buon avvocato, Biondi condivide la battaglia dei penalisti italiani che stanno scioperando contro questo decreto. Si rivolge verso Claudio Martelli: «Qui muore lo Stato di diritto e nasce lo Stato di polizia. Lo dico da liberale, di faccia e di profilo». Applausi dalla sinistra estrema e dai radicali. Rispósta immediata del ministro di Grazia e Giustizia: «Di faccia e di profilo, Biondi sta facendo una gran confusione». La votazione, ieri, del decreto antimafia è stata lunga e faticosa. Il governo non ha posto il voto di fiducia. «Ed è una decisione che ha indubbiamente un significato politico e costituisce un ampliamento della maggioranza», spiega Mancino. Le discussioni in casa de state sospese. E fin dalla mattina, in aula si è schierato il governo a difesa delle sue norme. Da una parte la maggioranza risicata di quadripartito, più missini e leghisti che hanno votato quasi sempre con il governo. Dall’altra i gruppi di rifondazione comunista, radicali e ver- di. In mezzo, votando una volta a favore e una contro, pri e pds. Sul problema dell’Alto commissariato antimafia, ad esempio, che viene soppresso con due anni di anticipo rispetto al previsto e sciolto all’interno della Dia, il vicecapogruppo del pds Luciano Violante si è allineato al governo. Oppure sul problema dei giudici di sorveglianza: Martelli ha insistito perché il giudice sia sollevato dalla sua discrezionalità nel decidere se conferma- re o ritirare, su indicazioni della polizia, i benefici ai detenuti mafiosi. In molti hanno gridato allo scandalo. «E’ una misura da Stato di polizia», ha tuonato Tiziana Maiolo, deputata di rifondazione. Nella foga della discussione, il ministro Martelli ha replicato a muso duro: «Non è affatto vero che la discrezionalità sia una regola aurea della giustizia». Ma anche l’ex magistrato Violante ha appoggiato il Guardasigilli: «Il problema esiste, inutile nasconderlo. Sul singolo magistrato le pressioni sono forti; meglio far decidere un collegio di giudici. Ma ci sono rischi analoghi anche per il singolo commissario di polizia che deve stilare il rappòrto». Si riaprono, intanto, i termini per decidere il futuro capo della Superprocura. Il governo ha introdotto modifiche che di fatto escludono Agostino Cordova dalla corsa. Francesco Grignetti Saranno puniti anche i politici che chiedono voti ai boss Scompare l’alto commissariato Sopra, il segretario del pri La Malfa e, a fianco, il ministro dell’Interno Mancino. LA STAMPA