Il procuratore PIETRO GIAMMANCO lascia Palermo

Arriva il via libera del Csm Sarà consigliere di Cassazione ROMA. A Palermo cade la terza testa, Dopo il questore e il prefetto, a poco più di due settimane dalla strage di via D’Amelio se ne va anche il procuratore. La terza commissione del Consiglio superiore della magistratura ha deciso ieri all’unanimità il trasferimento di Pietro Giammanco, procuratore della Repubblica del capoluogo siciliano. Andrà a fare il consigliere di Cassazione, come aveva chiesto. Ma non è un ricambio indolore e fisiologico. L’organo di autogoverno dei giudici ha deciso di accogliere la richiesta del magistrato in base alla «oggettiva situazione di grave turbamento dell’ufficio». La commissione del Csm ha fatto la sua scelta in poche ore, quattro voti favorevoh’ su quattro. Già lunedi prossimo il plenum dovrebbe ratificare il trasferimento, e si aprirà il concorso per la guida dell’avamposto giudiziario della lotta alla mafia, la Procura di Palermo, indicata come la vera Superprocura. E’ quanto auspicato dal ministro Martelli all’indomani dell’omicidio Borsellino, e ciò che consideravano necessario gli 8 sostituti che si erano dimessi dalla Dia. Una settimana fa, quando s’era presentato a palazzo dei Marescialli per l’audizione che apriva il nuovo «caso Palermo», Giammanco aveva con sé molti documenti e una lettera in cui chiedeva il trasferimento. «Ecco la mia domanda – aveva detto -, decida il Csm». L’ultima parola spetta al plenum, ma per ora il Consiglio ha deciso che è saggio rimuovere il procuratore. Nella seduta generale non dovrebbero esserci sorprese. Per il trasferimento di Giammanco, ieri, hanno votato il «laico» democristiano Ruggiero e quello socialista Marconi, il «togato» di Unicost Santamaria e quello di Magistratura democratica Marasca. «L’istanza di trasferimento hanno spiegato i consiglieri che l’hanno proposta – appare ispirata all’apprezzabile intento di ricostruire un clima di serenità dell’ufficio». A Giammanco si ri¬ conoscono «alti meriti, indiscussa imparzialità ed indipendenza, ragguardevoli attitudini professionali», ma a capo della Procura in prima linea nella lotta alle cosche non può rimanere. Le dimissioni degli otto sostituti e quanto emerso dalle audizioni della settimana scorsa avevano determinato la convinzione che fosse necessario un ricambio e – spiegano ancora i quattro del Csm – «l’alto senso di responsabilità» di Giammanco «ha rimosso ogni ostacolo alla risoluzione non traumatica della vicenda». Dalle testimonianze degli otto sostituti «ribelli» e di altri giudici della Procura chiamati a rapporto, così come dall’audizione di Maria Falcone – sorella del giudice assassinato nella strage di Capaci -, era emerso un quadro nel quale sarebbe stato difficile lasciare le cose com’erano. La sorella di Falcone aveva raccontato che il giudice antimafia veniva «umiliato» da Giammanco, e che Falcone aveva deciso di trasferirsi a Roma perché a Palernmo, sotto la guida di Giammanco, non «poteva più fare il suo lavoro». Altri giudici hanno spiegato che pure con Borsellino il procuratore aveva avuto dei contrasti sulla conduzione delle indagini. Inoltre – hanno detto in molti – Giammanco si occupava solo «burocraticamente» delle indagini e della sicurezza dei suoi sostituti. Pietro Giammanco è rimasto due anni alla guida della procura palermitana, e fin dalla sua nomina c’erano state polemiche per la sua amicizia con l’ex-presidente della Regione siciliana Mario D’Acquisto, democristiano della corrente di Andreotti. Rientreranno ora le dimissioni dei «giudici ribelli»? Tutto fa pensare che la prossima mossa sarà proprio il ritiro di quelle domande, anche se ieri nel palazzo di giustizia di Palermo si diceva che «restano aperti i problemi della sicurezza; le vere misure da prendersi infatti non sono state ancora definite dai responsabili». Giovanni Bianconi LA STAMPA