Da Caltanisetta, anzi da lì vicino, il paese di San Cataldo, una pista per le stragi di Capaci e via D’Amelio. A fornirla è ancora quel «pozzo senza fondo» che si chiama Leonardo Messina, uno degli ultimi pentiti di Cosa nostra.
Si deve in parte alle sue rivelazioni l’operazione «Leopardo», che ha portato in carcere più di 200 affiliati alla cosiddetta «mafia del Vallone».
L’eliminazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino potrebbe essere stata pianificata nell’ambito di una strategia complessiva di Cosa Nostra che prevedeva una reazione dura e violenta alla «stretta» governativa concretizzatasi prevalentemente col «cambio di clima» alla Corte di Cassazione.
Da qui una serie di omicidi, a scadenza bimensile: Salvo Lima, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Ignazio Salvo.
L’apporto logistico alla realizzazione delle stragi potrebbe essere stato assicurato dalle organizzazioni criminali del Siracusano, in stretto contatto con Giuseppe «Piddu» Madonia, recentemente catturato in Veneto.
Da lì, infatti, sono partiti due telecomandi. Destinazione: Caltanissètta, «famiglia» di Piddu Madonia.
A che servivano quei congegni elettronici? Sono stati usati per Falcone e Borsellino? E’ presto per tirare conclusioni, ma i giudici di Caltanissètta non negano di dare molta importanza alla nuova pista. Cosa dice Leonardo Messina?
Il suo è un racconto che parte da lontano e si articola in tanti «puzzle» ad incastro. Comincia con la notizia di una riunione importante di mafia avvenuta nella zona tra Enna e Caltanissètta. Una riunione della «cupola».
Il giovane non racconta impressioni, parla per esperienza diretta. E’ il mese di febbraio e Leonardo Messina si reca a trovare un suo amico avvocato «organico» alla mafia. Questi lo riceve ma gli dice immediatamente che ha poco tempo perché «c’è la riunione della Regione». Cioè la mafia di tutta la Sicilia si dava appuntamento. Messina sa che Cosa nostra si riunisce solo per prendere decisioni importanti, ma non chiede perché le domande non sono consentite dalle regole della mafia. Passa qualche giorno, forse due settimane e a Palermo viene ucciso l’ex sindaco Salvo Lima.
C’è un nesso con quella riunione? E’ ciò che gli investigatori dovranno cercare di capire. Il secondo tassello del «puzzle» riguarda i telecomandi. Messina riferisce quanto ha ap: preso da tale Giuseppe Di Benedetto, detto «piattaro», detenuto nella sua stessa cella, nel carcere di Caltanissètta.
«Mi rivelò racconta il pentito – che Pino Cammarata, capo mandamento di Riesi e persona di fiducia di Madonia e Cataldo Terminio, consigliere della Provincia di Caltanissètta e soldato della mia famiglia, avevano potuto ottenere la consegna di due telecomandi che erano stati espressamente richiesti». Secondo Messina, a fornire i congegni era stato tale «Agostino Urso, che è stato ucciso previo appuntamento preso con costui tramite Valentino Salafia, fratello di Nunzio». L’omicidio di cui parla Messina è del 28 giugno, poco più di un mese dalla strage di Capaci. Aggiunge Leonardo Messina che, dopo l’omicidio Falcone «nella mia cella si brindò» e «il Di Benedetto, nel comune corridoio che si attraversa per andare all’aria, mi fece le congratulazioni, facendomi intuire che pensasse che l’attentato al magistrato era stato commesso con l’uso di quei telecomandi e con il concorso della mia “famiglia”».
La mafia di Caltanissètta, dunque, potrebbe aver avuto un ruolo di primo piano nella realizzazione degli attentati. I sospetti cadono prevalentemente sul capo di quella zona, «Piddu» Madonia. Anche perché sembra che il boss, se sono vere le voci raccolte dalla polizia, nel periodo immediatamente precedente alla strage di Capaci, fece rientro in Sicilia rinunciando alle sue abitudini e ai suoi nascondigli sparsi per l’Italia. E Madonia, tanno osservare gli investigatori, è al vertice di Cosa nostra ed agisce in strettissimo contatto col capo dei capi, don Totò Riina. Francesco La Licata Diretti al clan di Madonia ì due timer usati dai killer. LA STAMPA