ad accusarlo è stato il pentito LEONARDO MESSINA, di cui lasciò la difesa Accusato di essere amico e non soltanto avvocato di mafiosi, Salvatore Montana, 54 anni, notissimo penalista di Caltanissetta, si è ucciso lanciandosi da un balcone del suo studio, al quinto piano di un edificio in via Regione Siciliana, ad una cinquantina di metri dal Palazzo di Giustizia. Ha scritto in fretta un messaggio alla moglie Nellina Sillitto e alle fighe Chiara e Francesca, liceali, che adorava. Poi ha trangugiato mezzo bottiglia di whisky per intontirsi, per farsi coraggio ed è uscito sul balcone. Ha scavalcato la ringhiera e giù, fra le urla terrorizzate di numerosi passanti. La morte è stata immediata. «Si è sfracellato», ha detto il medico legale confermando che nessuno avrebbe potuto salvare l’avvocato dopo il tremendo impatto con l’asfalto. Montana non ha retto al sospetto di essere uno dei contigui alle cosche di Caltanissetta, Enna e Agrigento, uno degli insospettabili in qualche modo collegati ai boss e sempre pronti a dare loro copertura, consiglio, ogni tipo di aiuto. Un’insinuazione scagliata come una bomba contro di lui dal «pentito» di San Cataldo Leonardo Messina. «L’avvocato Montana – aveva dichiarato il “pentito” – normalmente svolge per conto di Cosa Nostra il compito di controllare il con- tenuto delle dichiarazioni che rendono i vari uomini d’onore e riferirlo a coloro ai quali ciò può interessare». Questo gli era valso una comunicazione giudiziaria per associazione mafiosa nell’istruttoria che nei giorni scorsi ha reso possibile l’«operazione Leopardo»: 203 ordini di custodia cautelare in carcere e 106 avvisi di garanzia. Fino a qualche tempo fa Montana era stato uno dei legali di Messina. Fra i suoi clienti erano Giuseppe Madonia, catturato dopo nove anni di latitanza il 6 settembre a Longare vicino a Vicenza, e indicato come il numero due della mafia subito dopo Salvatore Riina, e il boss trapanese latitante Antonio Minore. Venerdì scorso l’avvocato Montana in corte d’assise d’appello aveva parlato in difesa di Minore condannato all’ergastolo in primo grado per l’assassinio del giudice di Trapani Giangiacomo Ciaccio Montalto. E sorprendendo tutti, e allarmando i colleghi che ora parlano di «suicidio annunciato», Montana aveva cominciato l’arringa affermando: «Ho iniziato in questa aula la mia carriera di penalista e qui ora la concludo». Il sostituto procuratore generale Marianna Li Calzi a questo punto l’aveva interrotto: «Ma, avvocato, cosa intende dire?». E lui: «Sì, la concludo». Ieri mattina l’avvocato Montana era atteso in strada dal collega Orazio Campo, venuto da Palermo per assumere la sua difesa. Ordinario di procedura penale, già presidente della camera penale palermitana, lunedì pomeriggio Campo aveva avuto un lungo colloquio col Montana e la moglie Nellina che stava facendo il possibile perché si uscisse al più presto dall’imbarazzante situazione. L’avvocato Campo era già andato a parlare con il giudice per le indagini preliminari Sebastiano Buongiorno e contava in mattinata di sviluppare l’azione difensiva in tribunale. «Sto scendendo», ha detto al citofono Montana, quando l’avvocato Campo l’ha chiamato dalla portineria, e prima di andare nel bar di fronte a prendere il caffè. Pochi attimi e il tonfo del corpo in strada, tra la costernazione dei presenti. «Non posso crederci», ha ripetuto, le lacrime agli occhi, l’avvocato Campo, fra i primi ad accorrere accanto al cadavere. Da quando aveva ricevuto la comunicazione giudiziaria, Montana era apparso tormentato, stravolto. «Assistimi, salvami», aveva chiesto giorni fa all’avvocato Michelangelo Vizzini, collega e avversario in tante battaglie legali in tribunale e in assise. Antonio Ravidà l boss Il cadavere dell’avvocato Salvatore Montana. Nel riquadro il pentito Messina LA STAMPA