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Luigi Ranieri, 60 anni, imprenditore edile di Palermo, fu ucciso in un agguato davanti alla sua abitazione il 14 dicembre 1988. Come hanno scritto i magistrati, “non voleva assoggettarsi al sistema degli appalti” controllato da Cosa Nostra. L’opposizione di Ranieri alle pressioni mafiose è stata confermata da vari pentiti tra cui Salvatore Cancemi, Giovanni Battista Ferrante, Leonardo Messina e Balduccio Di Maggio.
In particolare, Luigi Ranieri fu eliminato perchè aveva rifiutato di rinunciare all’appalto pubblico per la realizzazione di una scuola a Caltanissetta, lavoro che Totò Riina aveva riservato (in cambio di oltre 200 milioni) a un’altra impresa.
Il 14 dicembre 1988 a Palermo fu assassinato Luigi Ranieri, un imprenditore di 60 anni, un costruttore pulito, mai entrato in una di quelle indagini patrimoniali che lasciano il marchio.
Non si è mai voluto assoggettare “al sistema degli appalti” controllato da Cosa Nostra. Fu ucciso in un agguato davanti alla sua villa, tre colpi di lupara che lo hanno raggiunto al fianco sinistro e al cuore. Luigi Ranieri era amministratore delegato della società Sageco, che si occupava di mille attività: lavori all’ aerostazione di Punta; appalti nel quartiere dello Zen; cantieri aperti in mezza Sicilia per varie costruzioni tra cui il rifacimento del teatro Massimo.
La sua famiglia si occupava di costruzioni da generazioni, la stele della Madonna di Messina che accoglie i visitatori in arrivo con i traghetti da Villa San Giovanni è opera dei nonni di Luigi. Per lui l’azienda era la sua famiglia e come ricorda il figlio Rocco “nel suo lavoro metteva amore e abnegazione e il motto che ripeteva sempre era: basta mettere il cuore in ciò che fai e puoi raggiungere qualsiasi
obiettivo! Ogni giorno la sveglia suonava alle 04:00 per andare a lavoro anche nei giorni festivi”. Amava i suoi dipendenti alla stregua dei figli tanto che a Rocco spesso diceva: “pensi di essere figlio unico? Ti sbagli, ricordati sempre che ho altri 200 figli…ricorda sempre, prima loro poi noi”. Purtroppo per la mafia era un imprenditore che stava allargando troppo le sue attività, senza un clan alle spalle in un contesto dove non esisteva più un solo padrone ma tanti piccoli comandanti pronti a dividersi la torta, non disdegnando l’uso dei fucili.
Nessun dubbio, quindi, sul contesto in cui il delitto è maturato, sul filone principale da seguire: un assassinio economico-mafioso, legato al mondo degli appalti
La resistenza di Ranieri alle pressioni mafiose è stata confermata da vari pentiti tra cui Salvatore Cancemi, Giovanni Battista Ferrante, Leonardo Messina e Balduccio Di Maggio. Per questo delitto sono stati condannati all’ergastolo Totò Riina e Salvatore Biondino con sentenza n. 6/95 del Tribunale di Palermo, confermata dalla sent. n. 41/96 della Corte di Assise di Appello di Palermo edalla Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 573/1998. Da MINISTERO DELL’INTERNO
Il 18 luglio 1992, alla vigilia della sua uccisione, giorno prima della sua uccisione, il dottor BORSELLINO aveva prelevato dall’archivio del tribunale di Palermo il “Il fascicolo n. 5261-90 riguardante l’omicidio dell’imprenditore LUIGI RANIERI (avvenuto il 14 dicembre 1988) lasciando al suo posto una sua annotazione di prelievo.
Il movente dell’omicidio é da ricondursi al diniego del Ranieri di scendere a patti con Cosa nostra rispetto alla gestione degli appalti che lo riguardavano.
Nel verbale del primo luglio 1992, Leonardo Messina parla a Borsellino dell’omicidio Ranieri aggiungendo che “Riina era il maggior interessato alla Calcestruzzi Spa”.
Il Rapporto MAFIA e APPALTI di Mori e De Donno del ’91 riportava inoltre un altro passo del rapporto di Polizia del 1990 sull’omicidio Ranieri, ove si legge che questi ‘era stato in rapporti sufficientemente continui con i Greco di Ciaculli’.
14 dicembre 1988 Palermo. assassinato LUIGI RANIERI, imprenditore 60enne, “non voleva assoggettarsi al sistema degli appalti” controllato da Cosa Nostra
SANGUE PER GLI APPALTI
di Attilio Bolzoni
PALERMO La grande guerra degli appalti ricomincia sotto un cavalcavia che porta su Punta Raisi. Strada buia, capannoni deserti, la prima campagna dopo i palazzi di viale Strasburgo, viale Francia, viale Belgio, viale Praga, la città sventrata dall’onorata ditta Ciancimino e soci. Il killer ha sparato tre volte, tre scariche di pallettoni senza neanche preoccuparsi del colpo di grazia. Il bersaglio era lì, a pochi metri, inerme. È morto così, forse dopo aver parlato anche con il suo assassino uno dei più grossi imprenditori di Palermo, un costruttore pulito, mai entrato in una di quelle indagini patrimoniali che lasciano il marchio.
Luigi Ranieri aveva 60 anni ed era a capo di un piccolo impero.
Lavori all’aerostazione di Punta Raisi con le coop rosse. Appalti nel disperato quartiere dello Zen con i fondi del decreto Goria. Cantieri aperti in mezza Sicilia per costruire dighe, canali, gallerie. Mille attività che partivano tutte dalla Sageco, la società di cui Luigi Ranieri era amministratore delegato. Tra le 21 e le 21,05 di mercoledì sera si è aperta la controffensiva delle cosche, sono partite le grandi manovre per mettere le mani su quei 20 mila miliardi destinati alla Sicilia e quasi 7 mila soltanto a Palermo.
Gli investigatori, sempre più cauti nel formulare ipotesi o rispondere ai giornalisti su certe cose, commentano la morte dell’imprenditore con queste parole: È uno dei delitti di mafia più tremendi degli ultimi anni.
Un segnale minaccioso alla vigilia della grande spartizione e a pochi giorni dalla requisitoria del sostituto procuratore Alberto Di Pisa su trent’anni di affari palermitani. Centinaia e centinaia di pagine del processo Ciancimino più otto, un’inchiesta sugli appalti d’oro di Palermo, sui rapporti mafia-politica-imprenditoria, sugli inquinamenti e sulle leggi a Palazzo delle Aquile fino a qualche anno fa. Storie e personaggi che si intrecciano con la morte dell’ex sindaco Giuseppe Insalaco, con gli investimenti di don Vito in Canada, con la Lesca e la Icem, sigle che nascondono colossali business e tanti misteri.
La requisitoria sugli appalti miliardari di Vito Ciancimino sarà depositata molto probabilmente entro Natale e la sentenza ordinanza di rinvio a giudizio del giudice Falcone sarà pronta alla fine del prossimo gennaio. Ma c’è un filo invisibile che lega i misteri del passato alla cronaca di questi giorni, alla morte di Luigi Ranieri. Un imprenditore che si stava allargando troppo. Un imprenditore senza un clan alle spalle in un contesto senza più un padrone assoluto ma con tanti colonnelli pronti a dividersi la torta. Anche a colpi di fucile calibro 12. Giovanni Ilarda, il sostituto che ieri sera era di turno in procura, si passa le mani tra i capelli, dà un’occhiata allo scarno fascicolo che sta sulla scrivania, dice: Una dinamica strana, molto strana.
Il movente? Trovare una pista sarà molto difficile. Per gli ultimi dodici imprenditori palermitani assassinati sulla via degli appalti c’ è sempre la solita riflessione finale: Omicidio ad opera di ignoti.
L’inchiesta, sull’agguato del cavalcavia parte da alcuni documenti trovati sulla Peugeot dove, disteso sui sedili, è morto Luigi Ranieri. Una carpetta e un nome: Cosiac. È la Compagnia siciliana appalti e costruzioni, sede nella centralissima via Mariano Stabile, una società per azioni del Gruppo Depente di Roma. La Sageco di Ranieri aveva rapporti con la Cosiac ma c’è uno strano particolare che rivela lo stesso amministratore delegato della compagnia siciliana appalti e costruzioni, Ugo Argiroffi: Sì, è vero, avevamo tanti rapporti ma nessuno recente. L’ultima volta ho incontrato Ranieri un mese fa.
La Sageco era una delle 19 imprese che, quasi un anno fa, avevano costituito il consorzio Italco, nato da un accordo tra il Consorzio costruttori Palermo e l’Italimpianti del gruppo Iri. Dopo un paio di mesi la Sageco era uscita improvvisamente continuando a lavorare su altri fronti. L’ultima commessa era arrivata quaranta giorni fa dall’Esa, l’Ente di sviluppo agricolo: 47 miliardi per la realizzazione di una rete irrigua in consorzio con l’impresa Vianini.
Ma c’è dell’altro. È solo di ieri pomeriggio la risposta del sottosegretario all’Interno Giorgio Postal alla commissione Affari costituzionali della Camera ad un’interrogazione del comunista Francesco Forleo sugli appalti di Palermo. Forleo chiedeva a chi erano stati affidati i lavori per la costruzione di una galleria sul fiume Torto e il sottosegretario ha spiegato che la ditta appaltatrice si era avvalsa di persone non coinvolte con la mafia. L’appalto era stato vinto dalla Sageco e, quattro mesi fa, un’informativa per il Viminale su quei lavori era partita dal nucleo di polizia giudiziaria del Tribunale di Palermo. Una nota con l’ok dei giudici sulla ditta appaltatrice.
Ma perché uccidere adesso Luigi Ranieri? Cos’ha fatto o cosa non ha fatto l’imprenditore per morire ammazzato? È un pianeta dove è difficile indagare e dove la mafia punta tutte le sue carte.
Quando le cosche s’infiltrano nel pacchetto azionario di un’impresa, spiega il giudice istruttore Ignazio De Francisci, il legame tra imprenditore e boss diventa soffocante. Anche perché Cosa nostra non si accontenta certo di restare socio di minoranza, ma tende ad assumere un ruolo decisionale, ad influire nelle scelte aziendali.
È questa l’ipotesi per leggere l’ultimo delitto? Da una parte la vecchia tattica del ricatto, della tangente, dell’intimidazione per spillare denaro. Dall’altra la nuova strategia dei clan: entrare nelle aziende pulite e gestite da insospettabili per riciclare poi colossali somme di denaro provenienti dal traffico degli stupefacenti.
Siamo passati ad un’altra fase, aggiunge il sostituto procuratore Alberto Di Pisa, prima investivano in negozi, in attività commerciali, attraverso dei prestanome. Adesso sarà più difficile scovarli.
Dello stesso parere sono i sostituti procuratori Guido Lo Forte e Giuseppe Ajala. Quest’ultimo, sui rapporti mafia-imprenditoria fa queste distinzioni: C’è l’ imprenditore succube, l’imprenditore favoreggiatore, ma c’è anche l’imprenditore mafioso.
Gli investigatori sono alla ricerca di assassini e registi della nuova strategia del terrore, il mondo politico e sindacale parla ancora una volta dell’alto rischio di impresa in Sicilia. Abbiamo cercato di porre al riparo l’attività economica individuando automatismi e trasparenze, dice il sindaco Orlando, ma c’è anche il problema della tutela fisica degli imprenditori. I comunisti chiedono intanto che la commissione parlamentare Antimafia anticipi la sua visita a Palermo per un incontro con gli amministratori comunali. È questo il nuovo fronte della sfida delle famiglie: gli appalti. Quaranta omicidi di imprenditori negli ultimi dieci anni, dodici morti ammazzati dal 1985.
Articolo da L’Unità del 16 Dicembre 1988
Costruttore assassinato dalla mafia degli appalti
PALERMO. La mafia degli appalti è tornata ad uccidere; assassinato a Palermo Luigi Ranieri, 60 anni, imprenditore edile, amministratore delegato della Sageco, un’azienda che si è aggiudicata parecchi appalti nell’ambito del “Decreto Sicilia”. Un delitto eccellente dopo mesi di tregua. Luigi Ranieri è stato ucciso a colpi di fucile dentro la sua auto davanti al portone di casa. Dura reazione della Federazione unitaria dei lavoratori delle costruzioni di Palermo. “Un pesante segnale di terrore per tutta la città e il mondo del lavoro”. Il sindaco Orlando “Adesso si impone il problema della tutela fisica degli imprenditori”. Luigi Ranieri è l’undicesimo imprenditore palermitano a cadere sotto i colpi dei killer da 1982 a oggi.
Ucciso dalla mafia degli appalti
di Francesco Vitale
La mafia degli appalti colpisce ancora uccidendo Luigi Ranieri amministratore della Sageco una delle aziende inserite nel consorzio Italispaca che gestisce i mille miliardi del “Decreto Sicilia». Ranieri aveva presieduto per pochi mesi l’Italco un organismo che raggruppa ben 19 costruttori tra cui i Cassina. Si era dimesso nel marzo scorso senza una apparente spiegazione
La sfida si rinnova sempre più cruenta. La mafia è tornata a sparare a Palermo, è tornata ad alzare il tiro con la ferocia di sempre uccidendo a colpi di fucile un imprenditore edile, Luigi Ranieri di 60 anni. Un omicidio eccellente che fa ripiombare la città nel terrore dopo una tregua di alcuni mesi. L’esecuzione di Luigi Ranieri è avvenuta mercoledi sera poco prima delle 22 in via Regione Siciliana davanti la villa del costruttore. Gli assassini (due secondo una prima ricostruzione) hanno agito in assoluta tranquillità appostati nei pressi dell’abitazione del noto industriale, coperti dal buio della sera hanno atteso che Luigi Ranieri salisse a bordo della sua Peugeot 205 per scaricargli addosso tre colpi di fucile caricato con i pallettoni della lupara.
I colpi hanno letteralmente devastato il corpo dell’imprenditore che ha tentato un disperata fuga restando con i piedi penzoloni fuori dall’auto. Ovviamente nessuno ha visto né sentito niente. Una telefonata anonima è arrivata qualche minuto dopo al centralino della questura “Andate in via Regione Siciliana, c’è il cadavere di un uomo”. Da quel momento sono cominciate le ricerche del luogo del delitto, una strada un po’ nascosta nei pressi dello svincolo dell’autostrada per l’aeroporto di Punta Raisi. Quando gli uomini della mobile hanno identificato la vittima si sono resi conto di essere di fronte ad un altro terribile capitolo della storia infinita dei rapporti tra mafia ed imprenditoria.
Chi era Luigi Ranieri? Amministratore delegato della Sageco, una azienda che gestisce una consistente fetta dei miliardi piovuti nell’isola grazie al “Decreto Sicilia”, mille miliardi per la ricostruzione di varie opere pubbliche a Palermo e Catania.
Messinese di nascita da anni trapiantato a Palermo, Ranieri era riuscito ad inserire la sua azienda (fondata dal padre Rocco) ai vertici dell’imprenditoria siciliana.
Una escalation incontenibile. Nel giro di pochi anni la Sageco, inserita nel consorzio Italispaca che gestisce i miliardi del “decreto” riesce ad assicurarsi alcuni tra i più grossi appalti di Palermo, la realizzazione di alcune opere allo Zen, il quartiere ghetto di Palermo, i lavori di ristrutturazione ed ampliamento dell’aerostazione di punta Raisi, insieme alla Coscoop, uno dei maggiori consorzi della Lega delle cooperative. E ancora il nome dell’azienda di Ranieri viene fuori nell’ambito dei lavori per centinaia di miliardi che si stanno realizzando sul fiume Torto tra Termini Imerese e Cefalù, la zona sotto il controllo della cosiddetta mafia delle Madonie.
Nelle scorse settimane la Sageco era stata oggetto di una interrogazione parlamentare presentata dal deputato comunista Francesco Forleo ai ministri degli Interni e di Grazia e Giustizia.
Al centro dell’interrogazione del deputato comunista le opere di canalizzazione che la Sageco aveva ottenuto in appalto dall’Esa. Secondo alcune fonti quei lavori vennero subappaltati ad aziende in odor di mafia. Una ipotesi esclusa dal sottosegretario agli Interni Giorgio Postal nella risposta all’interrogazione di Forleo. Per pochi mesi Luigi Ranieri aveva presieduto Italco, un consorzio che comprendeva 19 imprenditori, tra cui Cassina e Tosi. Si dimise nel marzo scorso. Perché? È rimasto un mistero. Secondo gli investigatori comunque non possono esistere dubbi di sorta, l’omicidio di Luigi Ranieri è maturato nell’ambito dei grandi appalti siciliani.
Uccidendo l’amministratore delegato della Sageco la mafia ha forse inteso lanciare un chiaro segnale a tutti gli imprenditori isolani, della grande torta di miliardi del “decreto Sicilia” gli uomini di Cosa nostra pretendono una fetta consistente. In che modo? “Prima Cosa nostra – spiega Ignazio De Francisci, giudice del pool antimafia dell’ufficio istruzione di Palermo – si accontentava di taglieggiare gli imprenditori, oggi invece pretende una compartecipazione societaria nelle imprese economiche”. Una prassi ormai in uso da parecchi anni, su questa strada, secondo gli inquirenti, sarebbero stati uccisi, all’82 ad oggi, ben undici imprenditori palermitani.
Articolo da La Repubblica del 17 Dicembre 1988
“AVEVA SFIDATO COSA NOSTRA”
di Umberto Rosso
PALERMO. Al setaccio gli appalti della Sageco. Si ricostruiscono affari e commesse dell’impresa, un giro di centinaia di miliardi, per imboccare una pista precisa sul delitto di Luigi Ranieri, il costruttore assassinato martedì scorso. Documenti, atti, bilanci dagli uffici del gruppo sono finiti sul tavolo degli investigatori. Decine e decine di fascicoli che serviranno a tracciare una radiografia aggiornata delle molteplici attività della società. Nessun dubbio sul contesto in cui il delitto è maturato, sul filone principale da seguire: un assassinio economico-mafioso, ancora sangue sulla strada degli appalti. Ma mille ipotesi, e nessuna certezza, sul movente specifico: l’ imprenditore ha detto di no a subappalti, ha respinto una scalata azionaria di Cosa Nostra, aveva invaso spazi imprenditoriali gestiti dalla mafia? Interrogativi per il momento senza risposta.
Così l’omicidio Ranieri somiglia sempre più ad un inquietante enigma: se lo sfondo è chiaro, restano misteriose le ragioni che hanno spinto le cosche a firmare la sentenza di morte per l’imprenditore. Polizia e carabinieri sono dunque alle prese con la mappa dei suoi affari. Appalti a Punta Raisi, nel quartiere ghetto dello Zen, per il metano, e commesse in zone ad alto rischio di mafia come le opere di canalizzazione a Termini Imerese e la partecipazione ad una gara a Corleone: un appalto da 40 miliardi, bandito dalla Provincia di Palermo, per un lotto stradale, cui la Sageco concorre con altre imprese. Lavori che scottano, terreno minato? È un altro pezzo di un mosaico tutto da ricomporre.
L’autopsia, eseguita ieri mattina all’Istituto di medicina legale, ha confermato che il costruttore è stato colpito da tre colpi di lupara: una scarica lo ha raggiunto al fianco sinistro, e poi i pallettoni hanno spappolato il cuore.
Un particolare agghiacciante, che ha sconvolto gli stessi periti e il sostituto procuratore Giovanni Ilarda, il magistrato che conduce l’inchiesta. I funerali si sono svolti in forma strettamente privata. I soli congiunti hanno accompagnato la salma di Luigi Ranieri al cimitero di Sant’Orsola, dove è avvenuta la tumulazione nella tomba di famiglia.
Il figlio dell’imprenditore, Rocco, e i due fratelli Matteo e Ignazio, soci nella Sageco, sono stati convocati dal magistrato per essere interrogati. Gli inquirenti si trovano così di fronte all’undicesima vittima, nel giro di tre anni, caduta sul fronte degli appalti. Perché questa escalation del terrore contro gli imprenditori? C’è un’unica regia, un fuoco di sbarramento deciso dai vertici di Cosa Nostra?
Dice il giudice Giovanni Falcone, in un’intervista che sarà pubblicata dal quotidiano l’Ora: Non mi sembra un caso se, a differenza del passato, sia avvenuta in gran parte della Sicilia e soprattutto a Palermo una serie di uccisioni di imprenditori che prima non avvenivano. Ma per il numero uno del pool antimafia non c’è un filo unico che lega l’offensiva: Non credo, a parte la specificità delle varie indagini, che ci sia un dato comune che colleghi i vari delitti. Spiega ancora Falcone: Quasi mai viene uccisa la vittima dell’estorsione, perché significa troncare il flusso del denaro. Quindi, è chiaro che la giustificazione di questi omicidi deve trovare la sua radice in fatti ancora più profondi rispetto alle estorsioni.
I grandi delitti economico-mafiosi dunque non si spiegano tanto con la vecchia strategia del pizzo, con i taglieggiamenti, con la richiesta di tangenti. L’attenzione degli inquirenti per l’eliminazione di un manager affermato e solido come Ranieri, un uomo che guidava un impero economico per centinaia di miliardi, è soprattutto rivolta al braccio finanziario di Cosa Nostra. Ai colletti bianchi, ai prestanome, alle pedine a volte insospettabili che riciclano capitali in imprese pulite, che tentano di infiltrarsi e di piegare ai loro interessi aziende sane.
E dopo questa nuova sfida, c’ è un clima di allarme e di rivolta fra gli industriali palermitani. Non ci rassegnamo dice Carlo Malavasi, il presidente della Sicindustria ma in Sicilia l’ambiente è ostile, c’ è diffidenza: le imprese di costruzione, che lavorano in prevalenza con le commesse pubbliche, sono costrette ad affrontare difficoltà impensabili.
La Lega delle cooperative, e anche la Fillea-Cgil, parla di criminalizzazione dell’intero settore, senza discriminanti: Tutto ciò condanna alla solitudine gli imprenditori onesti.
E intanto i comunisti hanno sferrato un attacco al gruppo Cassina che pretenderebbe di accaparrarsi a trattativa privata un appalto da 100 miliardi per la costruzione di una sopraelevata sulla circonvallazione. Da Palazzo delle Aquile il sindaco Orlando ha spedito due lettere, invocando condizioni di sicurezza per chi lavora a Palermo: la prima è indirizzata a Sica, la seconda alla commissione parlamentare antimafia. Non si ha più traccia infine di un altro piccolo sub-appaltatore, Biagio Cammarata, 36 anni, scomparso il 24 novembre scorso. Gli inquirenti temono che si possa trattare di un altro caso di lupara bianca.
Dicembre 14, 1988 VITTIME DI MAFIA
Articolo da L’Unità del 17 Dicembre 1988
Falcone: «Non solo ricatti dietro le uccisioni di industriali siciliani»
Indagini sul delitto Ranieri
PALERMO. Continuano le indagini per scoprire autori e mandanti dell’assassinio dell’industriale palermitano Luigi Ranieri. Ieri gli inquirenti hanno raccolto molti documenti negli uffici della sua azienda, la Sageco. Frattanto il giudice istruttore Giovanni Falcone ha espresso il suo parere a proposito delle uccisioni di imprenditori in Sicilia (undici dal 1982 ad oggi). Secondo il magistrato “non sarebbero da ricollegare semplicemente a tentativi di estorsioni da parte della mafia”. In un’intervista che sarà pubblicata in un inserto speciale del quotidiano L’Ora, Falcone afferma: “Non credo… che ci sia un dato comune che le collega. quasi mai viene uccisa la vittima dell’estorsione perché significa troncare il flusso di denaro. quindi è chiaro che la giustificazione di questi omicidi … deve trovare la sua radice, la sua giustificazione, in fatti ancora più profondi rispetto alle estorsioni”. L’assassinio di Ranieri ha avuto ampia eco anche nel consiglio comunale di Palermo. Il sindaco Orlando, che ha chiesto un incontro tra i capigruppo e la commissione parlamentare Antimafia, ha sottolineato la gravità delle pressioni mafiose sull’attività imprenditoriale. A Roma la Fillea-Cgil ha rivolto un appello alle forze politiche, sindacali e imprenditoriali per rispondere alla nuova sfida della mafia. “Il brutale assassinio – ha dichiarato il segretario Roberto Tonini – segna quanto sia grave la presenza mafiosa nel mondo delle costruzioni in Sicilia. I futuri investimenti possono rappresentare un’occasione storica anche per la nascita di una nuova e sana imprenditoria”..
PALERMO . Totò Riina è stato condannato per l’undicesima volta all’ergastolo per l’ uccisione dell’imprenditore edile palermitano Luigi Ranieri, nel 1988. Stessa pena a Salvatore Biondino, che guidava l’auto di Riina quando il capo di Cosa nostra fu arrestato il 15 gennaio 1993. Ranieri fu assassinato perchè aveva rifiutato di rinunciare all’appalto pubblico per la realizzazione di una scuola a Caltanissetta. Lavoro che Riina aveva promesso (in cambio di oltre 200 milioni) a un’altra impresa.
Articolo del 14 Dicembre 2008 da lasiciliaweb.it
“Grazie papà, il tuo coraggio fermato soltanto da una mano vigliacca”
Toccante dedica, sulle pagine di alcuni quotidiani, del figlio di Luigi Ranieri, l’imprenditore edile assassinato a Palermo il 15 dicembre del 1988 .
Grazie papà: dedicato ad un uomo che ha vissuto col coraggio delle proprie azioni, fermato solo da una mano vigliacca, di qualcuno che, se avesse lottato ad armi pari, avrebbe senz’altro perso”.
Il figlio Rocco con un annuncio a pagamento pubblicato su alcuni quotidiani ricorda così il padre Luigi Ranieri, imprenditore edile, titolare dell’impresa “Sageco”, assassinato vent’anni fa, il 15 dicembre 1988, a Palermo. Per questo delitto è stato condannato all’ergastolo Totò Riina.
Ranieri fu ucciso in un agguato davanti alla sua villa perché, hanno ricostruito i magistrati “non voleva assoggettarsi al sistema degli appalti” controllato da Cosa Nostra. La resistenza di Ranieri alle pressioni mafiose è stata confermata da vari pentiti tra cui Salvatore Cancemi, Giovanni Battista Ferrante, Leonardo Messina e Balduccio Di Maggio. Cancemi ha riferito che Riina, contrariato per le scelte dell’imprenditore, sbottò: “Dobbiamo rompergli le corna”.
“Desidero esprimere pubblicamente la mia gratitudine nei suoi confronti – si legge ancora nell’annuncio pubblicato dal figlio – perché nella sua breve, ma intensa, vita è riuscito a donarmi dei valori preziosi ed un affetto che solo oggi comprendo sino in fondo e va oltre l’immaginabile”.
Il Rapporto “Mafia&Appalti” e l’eliminazione del dottor Paolo Borsellino