, capomafia di Terrasini, storico contatto del maresciallo, suo concittadino e capostazione dei carabinieri locali. Questi, che è “in confidenza” con il maresciallo, gli annuncia che “è arrivato il tritolo per Borsellino”. Sinico riferisce immediatamente la notizia al magistrato che così commenta: “Lasciamogli questo spiraglio, almeno lasciano stare la mia famiglia”.Questa rivelazione è stata fatta nel 2011 nel corso del processo contro il generale Mario Mori e il maggiore Obinu, nel quale Umberto Sinico, oggi colonnello, era testimone per la difesa. Sono state fornite alcune informazioni supplementari. Per esempio che Girolamo D’Anna è un uomo d’onore della vecchia guardia di Cosa nostra, “posato” perché vicino a Tano Badalamenti (caduto in disgrazia dopo l’avvento dei corleonesi), ma ancora di grande carisma e messo al corrente delle decisioni importanti. Si evince quindi che Cosa nostra avviò una vasta consultazione sull’opportunità o meno di uccidere Borsellino, e che D’Anna non si tenne la cosa per sé, anzi mandò a chiamare dal carcere chi poteva impedire l’azione. (Il tutto getta una luce nuova sui rapporti tra stato e mafia, e sul loro funzionamento pratico.) La reazione fatalista di Borsellino, che Sinico apprese con sorpresa dolorosa, viene portata a riprova dell’assoluta fiducia che il giudice aveva nei carabinieri. Con due particolari non spiegati, però: in che cosa consisteva lo spiraglio che il giudice voleva lasciare a Cosa nostra? Voleva forse, in qualche modo, facilitare i suo compito? E, secondo, se la sua angoscia principale non era la propria morte, ma un attentato contro la sua famiglia, perché non vennero prese, a maggior ragione, iniziative di protezione, a partire dall’elementare istituzione della zona di rimozione in via D’Amelio?