Un viaggio attraverso venticinque anni d’inchieste, processi, clamorosi colpi di scena e mistificazioni giudiziarie dopo la stagione delle stragi. Un viaggio che si legge come un romanzo ma che ha l’accuratezza e la precisione di un reportage giornalistico per scandagliare le piste alternative alla (assai) presunta trattativa che sono state troppo presto abbandonate dagli investigatori. Perché fu ucciso Paolo Borsellino? Che cosa c’entra l’esplosiva indagine su mafia e appalti su cui stavano lavorando in gran segreto prima Giovanni Falcone e poi il giudice ammazzato in via D’Amelio, e che fu poi insabbiata? Questa è la storia degli eroi che volevano arrestare i sanguinari boss corleonesi Riina e Provenzano durante le pagine più buie della nostra Repubblica.
In uno mondo pieno di misteri, intrighi e colpi di scena come quello di cosa nostra, i contorni delle vicende e degli uomini che ne fanno parte sono sempre sfumati e poco chiari.
Dalle stragi del ’92 ad oggi, magistrati, uomini di legge e dello Stato, politici, giornalisti, scrittori e registi hanno scoperchiato dei vasi di Pandora, ma molte situazioni rimangono nell’ombra ed è così che proliferano tesi e prospettive diverse, che permettono di dare una visione d’insieme più completa o di aggiungere un tassello in più alla verità dei fatti. Ed è proprio questo che ha voluto fare Vincenzo Zurlo con il suo libro dal titolo “Oltre la Trattativa”, presentato negli Antichi Lavatoi di Brancaccio a Palermo e moderato da Cristina Riggio, alla presenza Fabio Trizzino, avvocato della famiglia Borsellino, e Alessandro Bafumo, vice presidente di “Culturiamo Insieme”.
La controinchiesta
L’autore ha portato avanti una inchiesta che si distacca dal contesto della Trattativa Stato-Mafia e attribuisce l’accelerazione del piano stragista all’indagine su mafia e appalti che Falcone prima e Borsellino poi stavano portando avanti.
«Questa inchiesta, ben prima della tangentopoli milanese, portava alla luce la tangentopoli siciliana, in cui oltre al classico comitato d’affari con tutta una serie di aziende anche nazionali, c’è un partner in più, ovvero la mafia – precisa Zurlo – Durante un convegno al Castel Utveggio di Palermo, Giovanni Falcone ha dichiarato che la mafia era quotata in borsa facendo proprio riferimento alle aziende che erano state rilevate direttamente da Totò Riina.
Il 20 luglio 1992, due giorni dopo la morte di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta, l’allora procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, ha chiesto al Gip l’archiviazione del procedimento penale 2789/90, cioè il dossier mafia-appalti, approntato proprio dai Ros dei Carabinieri sotto la direzione di Giovanni Falcone.
L’archiviazione arriverà il 14 agosto 1992. Mi pare chiaro che ci sia un collegamento, per altro ciò è stato cristallizzato in alcune sentenze, come quella di Caltanissetta nella quale si dichiara che Borsellino è morto per le indagini su mafia e appalti, stesso movente della strage di Capaci.
Che Falcone e Borsellino fossero già messi a morte da cosa nostra è ovvio, che Riina avesse perso il controllo dopo le condanne del maxiprocesso è un altro dato certo, però, al netto di queste cose, c’è stata un’accelerazione sulla fase stragista a causa del dossier sugli appalti».
La trattativa secondo la famiglia Borsellino
«La trattativa fu un’azione info-investigativa dei Ros che, a nostro giudizio, aveva come finalità quella di costringere Ciancimino a collaborare, perché lui aveva delle necessità sue contingenti, infatti, aveva dei processi che stavano andando avanti – ha dichiarato Fabio Trizzino, avvocato della famiglia Borsellino e marito di Lucia-. Che poi questa sia stata definita “trattativa” a noi non interessa, ma ci sono degli elementi processualmente consolidati che avrebbero dovuto spingere gli inquirenti alla valorizzazione di quanto emerso con riferimento alla gestione del dossier mafia-appalti, da cui Borsellino venne escluso appositamente e per cui ci fu un’archiviazione anomala.
Quindi, noi riteniamo giusto che il Paese sappia che la nostra insistenza è fondata anche su aspetti documentali e oggettivi.
Abbiamo trovato singolare continuare a parlare solo di Trattativa quasi come vi fosse la necessità di trascurare altri argomenti. La tesi portata avanti da Zurlo é stata tralasciata a favore di una polarizzazione eccessiva sul tema della Trattativa. Ciò perché la gestione di quel dossier rimanda ad una analisi più approfondita di quello che Paolo Borsellino stesso definì un “nido di vipere”».
Il quadro generale: misteri e intrighi
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino portavano avanti la lotta alla criminalità organizzata su tutti i fronti e le motivazioni per cui cosa nostra li voleva morti erano senza dubbio molteplici, ma come si è detto più volte anche altri gruppi hanno voluto isolarli, perché erano pericolosi anche per tante altre persone, che a vario titolo hanno concorso alle stragi, in modo diretto o indiretto.
«Nel libro segnalo, inoltre, il comportamento anomalo della Procura in determinate situazioni.
Infatti, non solo l’indagine sugli appalti viene archiviata con il sangue di Borsellino ancora fresco e prima dei funerali, una circostanza già molto strana di suo, ma la stessa informativa Giammanco la manda in giro per i palazzi romani in modo assolutamente anomalo e lui non verrà mai indagato, non è stato aperto nemmeno un procedimento disciplinare del Csm per questa rivelazione di segreto istruttorio.
Su quella Procura ci sono delle ombre lunghissime, così come ci sono delle ombre lunghissime su Giammanco – dichiara infine Zurlo – Nell’agenda rossa c’era proprio l’indagine parallela che Borsellino stava conducendo dalla strage di Capaci in poi. Lì annotava tutte le anomalie sull’indagine “mafia e appalti”, questi sono dati che ci ha fornito Liliana Ferraro, magistrato e braccio destro di Falcone agli affari penali. Questo aspetto lei l’ha sempre sottolineato in tutti i processi». Sonia Sabatino QDS 30.11.2022