Le dichiarazioni dei pentiti ci raccontano una verità confermata anche dalle sentenze: la strategia dell’assalto frontale allo Stato fu di fatto subita con insofferenza dal boss di San Cristoforo. Accettata contro voglia, ma accettata (o sicuramente non osteggiata fino alle estreme conseguenze). Santapaola è sempre stato convinto che per prosperare l’organizzazione non avrebbe mai dovuto ingaggiare un attacco alle istituzioni o sollevare clamori. La linea attendista non ne attenua tuttavia le responsabilità penali o storiche.
Ancora ombre
Le recenti dichiarazioni di Maurizio Avola sul coinvolgimento dei catanesi nell’omicidio avvenuto in del giudice Scopelliti nel 1991, ucciso per intimidire i membri della Cassazione chiamati a confermare le condanne del Maxi-Processo, se confermate dai giudici del processo ‘Ndrangheta Stragista, darebbero l’ulteriore prova che Santapaola, fuori da Catania, era disposto a non scontentare Riina e soci. Ma non in tutto. Tant’è che per scatenare il terrorismo stragista ai piedi dell’Etna, i corleonesi aprirono le porte a Santo Mazzei.
Gli atti
La storia del Borsellino Ter è ricapitolata dal portale Archivio Antimafia. Il primo grado si è concluso il 9 dicembre 1999. A capo del collegio c’è Carmelo Zuccaro, che infligge: 17 ergastoli, 175 anni di reclusione e dieci le assoluzioni. Come accennato, Nitto Santapaola è condannato all’ergastolo assieme a Giuseppe Farinella, Raffaele Ganci, Antonino Giuffrè, Filippo Graviano, Michelangelo La Barbera, Giuseppe e Salvatore Montalto, Pippo Calò, Bernardo Brusca, Matteo Motisi, Bernardo Provenzano, Salvatore Biondo, Cristoforo Cannella, Domenico e Stefano Ganci.
In appello, l’ergastolo di Santapaola (assieme a quelli Giuseppe Farinella, Giuseppe Madonia, Nino Giuffrè, Salvatore Montalto e Matteo Motisi) è ridotto a 20 anni. Quello di Stefano Ganci a 30. La Suprema Corte annulla con rinvio alcune posizioni, tra cui quella di Santapaola, determinando un nuovo processo d’appello, a Catania. Qui arriva la condanna all’ergastolo, poi confermata dalla Cassazione nel settembre del 2008.
La sentenza e il ruolo apicale
Ecco cosa c’è scritto nell’integrale del dispositivo emesso dalla Suprema Corte. Punto nodale è la posizione di vertice che il padrino di Catania rivestiva all’epoca delle stragi nella cupola di Cosa nostra. Che la Corte di Cassazione ritiene fondante.
“La circostanza che il Santapaola fosse per la linea attendista anziché per quella interventista non esclude che comunque avesse prestato il proprio consenso le stragi e che anzi il suo consenso fosse particolarmente importante alla stregua della linea che voleva seguire Riina, riferita da diversi collaboratori, per cui occorreva il consenso di tutti capi per la deliberazione di fatti che avrebbero potuto compromettere la stessa esistenza di cosa nostra è, se fosse accaduto che qualcuno era d’accordo, sarebbe stato necessario riconvocare la commissione”, si legge nella sentenza definitiva del 18 settembre 2008.
Scrivono ancora i giudici della Cassazione: “La mancanza di partecipazione di uomini e mezzi provenienti dalla provincia di Catania alla strage di via D’Amelio non significa che Santapaola Benedetto non vi avesse consentito, non essendovi a necessaria partecipazione materiale di tutti i mandamenti e di tutte le province mafiose in tutti gli omicidi eccellenti, posto che comunque è rimasto accertato che la provincia di Catania aveva partecipato con un proprio uomo alla strage di Capaci tale elemento, decisivo per la condanna del Santapaola in ordine alla condanna per tale strage, non può non influire anche sulla pronuncia di responsabilità in ordine alla strage di via D’Amelio, trattandosi di stragi deliberate contestualmente come accertato in fatto della sentenza impugnata”.
Fernando Massimo Adonia e Laura Distefano 19 luglio 2021 Live Sicilia