Matteo Cinque al posto di Vito Piantone, e in prefettura forse arriverà Improta o Sica «Non dimenticateci», c’è scritto su quel muro vicino al Comune. Ma come si fa. Come si fa a dimenticare la follia e il dolore che ordina tutto in questa città devastata dopo ogni tragedia. A Palazzo di Giustizia hanno tolto le transenne e i grandi corridoi ora sembrano vuoti e angoscianti, così spettrali, senza un rumore. Il procuratore capo Pietro Giammanco è barricato nel suo ufficio, al secondo piano, una barriera dì carabinieri e segretari per proteggerlo dall’assedio dei giornalisti; i giudici che lo contestano e chiedono le sue dimissioni stanno chiusi in un’altra stanza e non riescono a trovare un accordo neppure dopo una giornata intera, mentre duecento magistrati si riuniscono in un’altra ancora e finiscono per litigare e insultarsi. Giovanni Puglisi. uno dei giudici più chiacchierati, attacca un collega che stava face:.io l’elogio di Caponnetto («basta, anche lui ha commesso i suoi errori») e scatena la reazione di Giacomo Conte e Giuseppe Di Lello. Si va, da un trambusto all’altro. Il questore, Vito Piantone, saluta cordialmente i giornalisti: «Che devo dire? Che mi dimetto? Dico di no». E difatti, nel pomeriggio il comunicato è ufficiale e viene persino da Ro ma: il nuovo questore è Matteo Cinque. Adesso, forse, toccherà al prefetto: al suo posto, un superpoliziotto, o Improta, o Sica. Tira lo scirocco sui veleni di Palermo e sulle sue sciagure. Corleone è circondata d^i militari che scivolano giù dai camion con gli elmetti calati e i mitra spianati. Gipponi, cellulari, gli uomini in divisa che cor- rono rasentando i muri. Via D’Amelio, dov’è avvenuto l’attentato, è sgomberata dagli uomini dell’Fbi. Ma che succede? La Chiesa dove si svolgeranno domani i funerali del giudice è già chiusa adesso, «per motivi di ordine pubblico». E in piazza Pretoria, nel cuore di questa Palermo derelitta, sono rimasti gli ultimi irriducibili di una protesta roca, disperante, forse cieca, con gli striscioni bianchi appesi dappertutto, le scritte contro la mafia e contro lo Stato, una voce stanca al megafono che ripete sempre le stesse cose, con lo stesso tono. Ma che cosa può succedere ancora a Palermo che non succede ogni giorno? Qual è il senso di questa confusione infinita, dopo quel funerale che ! a consegnato al mondo un Paese intero tragicamente avviluppato nella sua sconfitta. Nicola Vito Piantone, che fino a ieri era il questore di questa città morente, arriva a dire che «tutto ciò non sarebbe successo se la Messa fosse stata celebrata nello stadio». Possibile? Davvero è tutto così folle qui? Adesso, tre giorni dopo l’esplosione che ha dilaniato Borsellino e la sua scorta, quella ferocia sembra penetrata persino nell’aria che si respira a Palermo, come una condanna ineluttabile. Carmine Mancuso, presidente del Coordinamento antimafia, senatore della Rete, si rifugia a Roma. Dice di aver ricevuto minacce. Domenica, poco dopo l’attentato a Borsellino, sull’autostrada, in Calabria, vicino ad Amantea, era stato affiancato da due macchine della polizia mentre un elicottero gli ronzava sopra. «Misure di precauzione». Lunedì, telefonano a casa sua e lo minacciano. L’altro ieri, le minacce si ripetono, al suo cellulare: «Sappiamo dove sei: sei alla Favorita e stai andando alla Sirenetta. Non andarci perché ti facciamo saltare in aria». Ancora lunedì, altra telefonata in tribunale: «C’è una bomba». Non è vero. Ma gli agenti avrebbero trovato un bigliettino: «Possiamo metterla quando vogliamo». Domenica sera, al vertice in Prefettura con i ministri Mancino, Martelli e Andò, per preparare il piano segreto di trasferimento di 50 detenuti dall’Ucciardone, arriva un contrordine improvviso: «Bisogna cambiare ufficio». E perché? «Sono saltate le lampadine della luce», recita la versione ufficiale. «Temevano le microspie, avevano paura di essere ascoltati e traditi», sospetta qualcuno. L’altro ieri, infine, il corteo presidenziale arriva in ritardo ai funerali dei 5 agenti di custodia. Cambia percorso, resta imbottigliato. «Siamo stati obbligati», dicono. E di nuovo il dubbio è terribile. Telefonate anonime avevano minacciato un attentato a Scalfaro. Ecco. Palermo è tutta così in questi giorni terribili, pervasa de .. iolenze diffuse, da veleni e paure. Guardate Palazzo di Giustizia. Stanno per uscire fascicoli che potrebbero accusare Giammanco. Riguardano Pino Mandatari, che un giornale ha definito «commercialista della mafia», e una serie di intercettazioni telefoniche. Indagini su logge massoniche, contatti con pomici, rilevamento di società. Fascicoli insabbiati, dimenticati. Un ufficiale dei carabinieri ne parlò a Falcone. E il magistrato gli disse: «Non dica niente a nessuno, perché su questo si muore». Giammanco, però, forse non è contestato solo per questo. Lui sta chiuso, quasi na¬ scosto, nel suo ufficio del secondo piano. Parla per lui uno scarno comunicato: «Le critiche che mi sono state rivolte sono infondate Non mi dimetto perché le mie decisioni non devono essere influenzate dalle convenienze di fazioni politiche e perché le mie dimissioni avrebbero rappresentato un ulteriore successo di Cosa Nostra». E parla Vittorio Aliquò, procuratore aggiunto, i capelli candidi e lo sguardo bonario: «Io posso solo dire che il procuratore non può ricevervi e posso solo darri quel comunicato». Ressa di cronisti: ha paura di noi? «Ma no, non ha paura di nessuno…». Sta aspettando il documento dei sostituti che chiedono le sue dimissioni? «No». Ma i sostituti possono scriverlo quel documento? «Certo. Possono chiedere qualsiasi cosa. Siamo tutti uomini liberi». I sette magistrati, però, non riescono a trovare un accordo e il giorno si consuma così. Tre si sarebbero già dimessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Teresi, Morvillo e De Francisci), due starebbero per farlo (Scarpinato e Principato che sono marito e moglie), e gli ultimi due avrebbero rinunciato (Ingioia e Napoli). E’ scesa la sera, a Palazzo di Giustizia gli incontri continuano. Oggi tutto ricomincerà da capo, magari uscirà il comunicato dei giudici. Palermo attende, ha sempre atteso. Il ministro Martelli, in fondo, l’ha già annunciato: «Qualcuno dovrà pagare». Già, ma chi? Basta davvero solo il questore? PtefMifio Sapagno I veleni scorrono in Procura Accuse anche a Caponnetto Un dossier anti Giammanco Ma lui: «Io non mi dimetto» Matteo Cinque è «tato nominato nuovo questore di Palermo Quarantotto anni è nato a Pollino In provincia di Torino Ha guidato te Questure di Trapani e Salerno Un mazzo di fiori deposto sopra una delle auto della scorta. LA STAMPA