Per l’uccisione di Borsellino firmati sedici mandati di cattura. «Fuga di notizie un aiuto ai killer»

 

«Fuga di notizie un aiuto ai killer»

 

Per l’uccisione di Borsellino firmati sedici mandati di cattura Due boss avrebbero evitato l’arresto dopo le notizie sulle rivelazioni del pentito. Per la strage mafiosa di via D’Amelio a Palermo, di cui cade oggi il secondo anniversario, vi sono sviluppi clamorosi.
Il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta Gilda Lo Forti su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia ha firmato 16 ordini di custodia cautelare.
I particolari saranno resi noti stamattina alle 9 in una conferenza stampa a Palazzo di Giustizia annunciata ieri dal procuratore della Repubblica Giovanni Tinebra che sempre ieri, intanto, ha aperto un’inchiesta per violazione del segreto istruttorio sulla fuga di notizie, domenica, circa il pentimento di Vincenzo Scarantino, 29 anni, uno dei quattro già rinviati a giudizio per la strage e che saranno processati il 4 ottobre.
Proprio mentre a Palermo si tengono le celebrazioni per commemorare Paolo Borsellino e i cinque agenti trucidati con lui, l’inchiesta giudiziaria a Caltanissetta è a una svolta e si sovrappongono le indiscrezioni sui 16 incriminati, due dei quali (ma non c’è conferma) sarebbero sfuggiti alla cattura dopo le notizie circolate domenica.
L’operazione è stata accelerata fra domenica e ieri, ma era già in corso da tempo. Fra i nomi che circolano di piii quelli del boss Pietro Aglieri, uno dei latitanti «storici» della mafia palermitana, Giuseppe La Mattina, Carlo Greco. Sarebbe stata la cosca della borgata Guadagna, in stretto raccordo con quella di Santa Maria di Gesù, incaricata dal vertice di Cosa nostra, di realizzare la strage di via D’Amelio dopo che il clan di Corleone, due mesi prima, il 23 maggio 1992, aveva compiuto quella di Capaci con vittime Falcone, la moglie e tre poliziotti.
E non si può dire a questo punto che gli inquirenti abbiano avuto insuccessi perché anche grazie ai pentiti le due inchieste hanno lasciato da tempo le sabbie mobili: sono finora 37 gli incriminati per Capaci (Tntò Riina in testa) e 20 per via D’Amelio.
Il procuratore Tinebra può andar fiero del lavoro suo e della sua équipe e il procuratore aggiunto Paolo Giordano ieri ha affermato compiaciuto che «i risultati che verranno resi noti domani (oggi, ndr) costituiscono la maniera migliore di onorare la memoria del collega e degli agenti assassinati».
Alle dichiarazioni dei pentiti Vincenzo Scarantino e Salvatore Cancemi gli investigatori avrebbero apportato «qualche aggiustamento marginale», ma il mosaico ormai sarebbe completo.
Il via alle polemiche sulle notizie rimbalzate domenica dopo il pentimento di Scarantino l’ha dato Sandro Curzi, che ora dirige il Tg di Telemontecarlo.
«C’è stata avventatezza e speriamo soltanto avventatezza», ha detto alludendo ai rischi che stanno correndo la moglie e i due figli del nuovo pentito.
E Pietro Grasso, procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia, ha sostenuto che le fughe di notizie nei casi di mafia provocano «un danno enonne che può essere morale e anche materiale perché la criminalità organizzata può arrivare dai familiari dei pentiti prima dei servizi di protezione».
Grasso ha tuttavia riconosciuto che i giornalisti «hanno tutto il diritto di riferire». E Vittorio Roidi, presidente della Federazione della stampa, ha parlato di «senso di responsabilità del giornalista che deve decidere in piena autonomia e piena coscienza se dare o no una notizia».
Sul piede di guerra è Lamberto Sposini, vicedirettore del Tg5, che per primo ha dato la notizia del pentimento di Scarantino: «Non c’è operazione antimafia che non sia conosciuta quarantotto ore prima. Le accuse di Curzi? Un’infamia». Per l’uccisione di Borsellino firmati sedici mandati di cattura. LA STAMPA 19 luglio 1994