Impegno costante nella lotta alla mafia di Giovanni Falcone

 

 

di Giovanni Falcone

Dottor Falcone, la mia parte è scomoda anche perché, nonostante non sia proprio la mia vocazione, io sono tuttavia tenuto a fare delle domande fatalmente un po’ sommarie, e mi scusi se le provocazioni sono al limite della slealtà tanto semplificano le questioni. Dove sono, se ci sono, e perché non traspaiono, o se traspaiono, perché vengono subito avvolte nella nebbia le prove delle collusioni della politica con il fenomeno della criminalità organizzata?

Io credo che la risposta a questa domanda sia emersa, o stia emergendo già da quello che è stato detto finora. […][Da] Nando dalla Chiesa, il quale ha puntualizzato molto opportunamente che solo dal punto di vista politico la nebbia non c’è, e poi subito dopo da quello che ha detto proprio adesso il presidente Chiaromonte, le cui affermazioni io sottoscrivo pienamente, dal mio punto di vista, che è il punto di vista del tecnico e non del politico. Ma la risposta è soprattutto negli atti della Commissione Parlamentare Antimafia, di questa Commissione Parlamentare Antimafia che, proprio recentemente, nel giugno di quest’anno, ha pubblicato una relazione di maggioranza e una relazione di minoranza.
Una relazione di minoranza in cui sono affermate cose veramente gravi, ma che sono passate pressoché in maniera indolore, forse perché non c’era l’omicidio eccellente di turno, forse perché in quel periodo si era distratti da altri impegni politici. Ed è proprio questo quello che noi tecnici, noi che giornalmente ci confrontiamo operativamente con questi problemi, lamentiamo.
Questa attenzione a corrente alternata su questi problemi da parte di chi deve provvedere a fornirci le strategie, i mezzi, le strutture per poter operare. Ma senza per questo volere eludere alla domanda, vorrei leggere proprio quello che si scrive nella relazione di minoranza della Commissione Antimafia che, soprattutto su questo punto mi sembra particolarmente lucida. E proprio a proposito degli omicidi: l’omicidio non è la mafia, ma una sua forma di manifestazione all’esterno di modo che la mafia esiste ed opera indipendentemente dagli omicidi.
Quante volte abbiamo affermato nel passato che è veramente strano che ci si accorga della presenza della mafia quando avvengono i fatti di sangue, e cioè quando qualcosa ha turbato gli equilibri interni dell’organizzazione mafiosa, e non ci si renda conto che la stessa esiste quando invece queste cose passano tranquillamente, e cioè nel momento in cui la mafia è particolarmente forte? Per caso c’è nessuno che si sta accorgendo, c’è nessun giornale che scrive per adesso che stranamente in Sicilia, tranne fatti di contorno, c’è un silenzio sinistro impressionante? Quello che sta accadendo a Catania è un problema di associazione di tipo mafioso ma non è la mafia, non solo la mafia. Il prodursi di molti omicidi, e questo è un punto molto importante, segna senza dubbio un mutamento rispetto al passato, una maggiore aggressività che non esiterà a rivolgersi in modo programmato contro tutti gli avversari istituzionali. Perciò è necessario andare alla radice del fenomeno colpendo sistematicamente e permanentemente tutte le strutture portanti dell’organizzazione mafiosa in quanto tali, indipendentemente dagli altri delitti commessi. E poi l’affermazione che è sacrosantamente vera, altrimenti nessuna possibilità di successo potranno avere le singole indagini sui singoli delitti.

In altri termini: la mafia è un fenomeno troppo serio perché lo si possa affrontare in maniera poco seria. I gradini della scala devono essere percorsi tutti e i gradini si iniziano dal basso, non dall’alto. Chi pensa che possano esservi scorciatoie di qualsiasi tipo, chi pensa che la mafia si possa affrontare con legislazione dell’emergenza quando è un fatto endemico di certe zone del meridione con una diffusività in tutto il territorio dello Stato e all’estero sbaglia di grosso. Ed è proprio questo che dal mio punto di vista, da tecnico, io non riesco a condividere, non riesco a comprendere com’è che non si capiscano queste elementari verità.
Mi diceva un giorno un collega americano: voi affrontate la criminalità organizzata in modo disorganizzato. Ed è verissimo. Ci sono problemi che non si possono toccare ma da cui dipende l’effettività della risposta dello Stato, e io metterei all’ultimo posto il problema finanziario, il problema dei mezzi. Ma non perché sia meno importante degli altri, anzi caso mai è vero il contrario, ma perché una risposta in termini finanziari in mancanza di una lucidità di strategia serve solo a dilapidare ulteriormente le risorse statuali. Bisogna scendere nel concreto, bisogna rendersi conto che non ha senso il pretendere che i carabinieri e la polizia mandino gli uomini migliori nelle zone più calde quando poi questi carabinieri e queste forze di polizia saranno dirette da uditori giudiziari di prima nomina che hanno come unico pensiero quello di ritornare al paese d’origine. Ed io mi meraviglio come nessuno finora abbia colto la immoralità della proposta di incentivare la presenza degli uomini migliori della magistratura nelle zone di frontiera.
In un paese civile gli uomini migliori devono poter essere mandati nelle zone in cui c’è maggiormente bisogno di loro, senza nessuna incentivazione. L’incentivazione poi è un fatto interno, ma meno che mai io parlerei di incentivazioni economiche. Il problema è quello di affrontare finalmente certe questioni che sono estremamente importanti.
Io mi scuso se vi tedierò perché sono questioni che tecnicamente spesso sfuggono, ma proprio da queste questioni dipende una risposta di efficacia.
Ancora una volta il coordinamento non viene affrontato, non si possono affrontare problemi che riguardano organizzazioni di proporzioni gigantesche con una struttura investigativa da parte della magistratura, mi riferisco soprattutto, che non può reggere alla prova dei fatti. Non ha senso che si crei un nuovo processo penale in cui la centralità di tutto spetta al Pubblico Ministero. Un Pubblico Ministero totalmente diverso dal passato, un Pubblico Ministero che non è più il paragiudice ma che affronterà il processo ad armi pari rispetto alla difesa. E che proprio per questo deve potersi muovere con agilità e snellezza.
Ora non è possibile che di fronte a problemi di dimensioni che esulano ampiamente dal ristretto ambito della circoscrizione giudiziaria ci debbano essere tante e tante strutture di magistrati, del Pubblico Ministero che si accordano e che si collegano solo se vogliono.
Nel momento in cui si parla di queste cose, ecco che subito insorge la corporazione, e mi riferisco alla mia corporazione. Ecco che l’eretico viene tacciato di infamia, ecco che si dice che si vogliono creare centri di potere e così via ma la situazione è questa.
In Spagna, per il traffico di stupefacenti c’è il fiscal de la droga, con competenza su tutto il territorio nazionale. In altri paesi ci sono strutture analoghe e non solo per i problemi del traffico di stupefacenti ma anche per il problema della droga. Non si può, perché altamente lesivo dei principi democratici, affidare il coordinamento a strutture esterne al magistrato del Pubblico Ministero. E’ straordinario: mi riferisco all’istituto dell’Alto Commissario.
Grande stima nei confronti della persona fisica ma la struttura è nata sulla base di un equivoco. Cioè sulla base che si potessero coordinare le forze di polizia dall’esterno non tenendo in alcun conto che in quello stesso momento entrava in vigore un codice di procedura penale che prevede il coordinamento da parte del Pubblico Ministero.
Siamo in presenza di due monadi, la magistratura nel suo complesso e l’Alto Commissario nel suo complesso, che tuttavia può avere un ruolo utilissimo come struttura non serva, ma servente rispetto al Pubblico Ministero.
Questi equivoci devono essere risolti perché fino a quando non saranno risolti, l’azione statuale peccherà per difetto, peccherà per incisività perché tutti gli sforzi che si faranno potranno e saranno puntualmente vanificati da attività in senso contrario, da gelosia, da tutta una serie di problemi che sarebbe troppo lungo enumerare.
Come non rilevare che mentre adesso ci si allarma tutti per la presenza di questa criminalità organizzata che ammazza, che ruba, che cerca di conquistare il potere e così via, nel frattempo vengono approvate certe leggi che creano obiettivamente degli ostacoli? Nessuno si è accorto che le misure di prevenzione, così come sono modificate, praticamente diventeranno impossibili da attuare perché è prevista una pregiudizialità da parte del processo penale, quindi soltanto dopo che finirà il processo penale si potrà stabilire se irrogare qualche misura di prevenzione nei confronti dei soggetti pericolosi. Come non renderci conto che anche le recentissime modifiche della legge antidroga hanno creato ulteriori problemi? e non mi riferisco alla parte della punibilità o meno del tossicodipendente.
Insomma tutti sono stati attratti da questo problema indubbiamente di gravità notevole e, distratti da questo problema, non ci si è accorti che è stata approvata una legge che anche sotto il profilo lessicale, sotto il profilo formale, ripete istituti del vecchio codice di procedura penale, creando problemi di applicazione pratica notevolissima, nel momento stesso in cui si introducono dei principi che sono estremamente importanti: le consegne controllate, la possibilità di acquisto simulato di partite di droga e così via, la possibilità di ritardo nell’esecuzione degli arresti e così via. Perché dico tutte queste cose? e termino subito. Perché se non ci si renderà conto che questi problemi devono essere risolti in maniera concreta e con il supporto e l’ausilio e i suggerimenti di chi operativamente sul campo dovrà applicare queste norme, allora potranno essere riversate sulla Magistratura tutte le ricchezze finanziarie dello Stato ma il problema non sarà risolto di un millimetro.


Intervento  al dibattito “Le nebbie della repubblica: impunità e riforme dello Stato”Modena, Festa Nazionale dell’Unità 16 settembre 1990