Poi, il 13 agosto 1992, a nemmeno un mese di distanza dalla strage, un appunto del Servizio segreto civile partiva dal centro Sisde di Palermo verso Roma

Poi, il 13 agosto 1992, a nemmeno un mese di distanza dalla strage, un appunto del Servizio segreto civile partiva dal centro Sisde di Palermo verso Roma, protocollato col numero 2298/Z.3068, per informare che “in sede di contatti informali con inquirenti impegnati nelle indagini inerenti alle recenti note stragi perpetrate in questo territorio, si è appreso in via ufficiosa che la locale Polizia di Stato avrebbe acquisito significativi elementi informativi in merito all’autobomba parcheggiata in via D’Amelio, nei pressi dell’ingresso dello stabile in cui abitava la madre del Giudice Paolo Borsellino. […] In particolare, dall’attuale quadro investigativo emergerebbero valide indicazioni per l’identificazione degli autori del furto dell’auto in questione, nonché del luogo in cui la stessa sarebbe stata custodita prima di essere utilizzata nell’attentato”.

Un appunto su cui nessun agente in servizio all’epoca tra Palermo e Roma ha saputo o voluto dare spiegazioni. Un appunto strano e inquietante, perché a quella data non c’era ancora alcun pentito che parlasse del garage che avrebbe nascosto la Fiat 126. Solo un mese più tardi, il 13 settembre, Salvatore Candura avrebbe cominciato a parlare di questa macchina fino ad autoaccusarsi del furto commissionatogli da tale Vincenzo Scarantino, delinquente e piccolo spacciatore, “che gli aveva promesso un compenso di 500.000 lire”. Poi sarebbe arrivato il “pentito” Francesco Andriotta a confermare la confessione dello stesso Scarantino, che più volte aveva ritrattato e più volte aveva ammesso le proprie responsabilità, dimostrando soltanto un fatto: di non essere credibile. Tutto falso, come le dichiarazioni di Andriotta e Candura, ma, invece, tutto giudicato attendibile dagli organi inquirenti e giudicanti, che sulle dichiarazioni di Scarantino hanno istruito processi e condannato individui che non c’entravano nulla con la strage.

Soprattutto, si è costruita una falsa verità sulla morte di Paolo Borsellino a cui avremmo dovuto credere, quasi ciecamente. Su cui lo stesso Paolo è morto nuovamente, insieme agli agenti della sua scorta.