CSM – Le accuse di LEOLUCA ORLANDO e l’audizione di GIOVANNI FALCONE

 
15 ottobre del 1991  Giovanni Falcone viene audito dalla prima commissione referente del CSM a seguito delle accuse mosse da Leoluca Orlando che chiedeva l’apertura di un’inchiesta sull’operato delle istituzioni giudiziarie e sui magistrati della procura di Palermo. ed a seguito di una nota del Procuratore della Repubblica di Palermo che riguardava delle dichiarazioni, riportate dal quotidiano L’Ora, in cui il giudice Salvatore Barresi criticava il modo di condurre la lotta alla mafia da parte della procura di Palermo.
 

verbale prima commissione 15 ottobre 1991

 


Mafia, Orlando: “A Falcone direi le stesse cose ma con tono diverso. La mia fu una denuncia politica”

Direi le stesse cose, ma con un tono diverso. Ribadirei oggi, come allora, quelle affermazioni sulle ‘prove nei cassetti’ riguardo ai rapporti tra mafia e politica, la mia, come era una denuncia politica non giudiziaria“. Lo ha detto ieri sera il sindaco di Palermo Leoluca Orlando intervenuto alla proiezione del docu-film “Falcone e Borsellino trent’anni dopo”, prodotto dall’ANSA, al teatro ‘L’Idea’ di Sambuca di Sicilia.

Nel 1990, durante una puntata di ‘Samarcanda’, Orlando attaccò Falcone: “Ha una serie di documenti sui delitti eccellenti ma li tiene chiusi nei cassetti“. Un’accusa che provocò polemiche e divisioni sul fronte antimafia e che come ha ammesso lo stesso Orlando, causò anche grande dolore in me come in lui. Ieri a Sambuca il sindaco di Palermo ha ripercorso quegli anni e ha tracciato un bilancio della lotta alla mafia a trent’anni dalle stragi in un dialogo con i giornalisti dell’ANSA che ha promosso insieme all’amministrazione comunale un evento per ricordare i trent’anni dalla stragi del ’92.

Palermo – ha sottolineato Orlando – oggi non è più la capitale della mafia ma una città dei diritti, a dispetto degli anni in cui la mafia non stava a guardare ma governava attraverso Vito Ciancimino e Salvo Lima“. Nel corso della serata si è parlato anche del libro “L’eredità di un giudice” (Mondadori editore) scritto da Maria Falcone con Lara Sirignano che sarà presentato al Salone del libro di Torino il prossimo 18 maggio.
In teatro, dopo la proiezione del docu-film e il dibattito con Orlando, è andato in scena lo spettacolo ‘Nel tempo che ci resta. Elegia per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino’, con la regia di Cesar Brie. Sulla scena quattro attori interpretano Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e Agnese Piraino Leto e poi lo stesso Brie nel ruolo di Tommaso Buscetta.

L’iniziativa in teatro è stata anticipata dalla consegna di alcune gemme dell’albero Falcone di Palermo da parte dei carabinieri del nucleo Forestale ai giovani studenti di Sambuca, durante una cerimonia nella villa comunale antistante il teatro ‘L’Idea’.


Martelli, “Falcone non si spiegava gli attacchi di Orlando”

Falcone non si spiegava perché, a un certo punto, il sindaco Leoluca Orlando, con cui aveva buoni rapporti, si scagliò contro di lui, lo denunciò al Consiglio superiore della magistratura, accusandolo di tenere nascosti nei cassetti della Procura i nomi dei mandanti politici dei grandi delitti di mafia, ovvero Giulio Andreotti.
I magistrati chiesero a Falcone il perché di quell’accanimento e il giudice pensava che, forse, la ragione stava nell’avere cominciato a indagare sugli appalti di Palermo, scoprendo che, anche con Orlando, Ciancimino continuava a imperare su di essi”.
Lo ha detto l’ex ministro Claudio Martelli nel corso della trasmissione Casa Minutella su Blog Sicilia. “Falcone dovette spiegare – ha aggiunto – anche i suoi metodi investigativi, tra cui la ragione per cui non inviava avvisi di garanzia. Non li usava come forma di minaccia ma solo contro qualche ragionevole sospettato, non a casaccio tanto per lordare o sfregiare qualcuno”. Martelli ha anche spiegato il motivo per cui, nel 1993, decise di dimettersi: “Mi sentivo inutile, attaccato anche dal segretario del partito a cui avevo dato le mie capacità migliori”. web-la 20.5.2021   QUOTIDIANO DI SICILIA



La storia di Leoluca Orlando e Giovanni Falcone

È la storia, questa, di un tradimento orribile da raccontare proprio nei giorni in cui Leoluca Orlando potrebbe diventare sindaco di Palermo per la terza volta, e che sono gli stessi giorni nei quali si celebra il ventennale della morte di Giovanni Falcone. Difatti «Orlando era un amico», racconta oggi Maria Falcone, sorella di Giovanni. «Erano stati amici, avevano pure fatto un viaggio insieme in Russia… Orlando viene ricordato soprattutto per quel periodo che in molti chiamarono Primavera di Palermo, ma anche per lo scontro durissimo che ebbe con Giovanni e che fu un duro colpo, distruttivo per l’antimafia in generale». Uno scontro che va raccontato bene, al di là della dignitosa discrezione adottata da Maria Falcone in Giovanni Falcone, un eroe solo da lei scritto di recente per Rizzoli.
Siamo nei tardi anni Ottanta. Leoluca Orlando, tuonando contro gli andreottiani, era diventato sindaco nel 1985 e aveva inaugurato la citata Primavera di Palermo che auspicava un gioco di sponda tra procura e istituzioni. Però, a un certo punto, dopo che il 16 dicembre 1987 la Corte d’assise di Palermo aveva comminato 19 ergastoli nel cosiddetto «maxiprocesso», qualcosa cambiò. Tutti si attendevano che il nuovo consigliere istruttore di Palermo dovesse essere lui, Falcone: ma il Csm, il 19 gennaio 1988, scelse Antonino Meli seguendo il criterio dell’anzianità. E a Falcone cominciarono a voltare le spalle in tanti. Con Orlando, tuttavia, vi fu un episodio scatenante: «Orlando ce l’aveva con Falcone», ha ricordato l’ex ministro Claudio Martelli ad Annozero, nel 2009, «perché aveva riarrestato l’ex sindaco Vito Ciancimino con l’accusa di essere tornato a fare affari e appalti a Palermo con sindaco Leoluca Orlando, questo l’ha raccontato Falcone al Csm per filo e per segno». Il fatto è vero: fu lo stesso Falcone, in conferenza stampa, a spiegare che Ciancimino era accusato di essere il manovratore di alcuni appalti col Comune sino al 1988: si trova persino su YouTube.
Quando Falcone accettò l’invito di dirigere gli Affari penali al ministero della Giustizia, poi, la gragnuola delle accuse non poté che aumentare. Fu durante una puntata di Samarcanda del maggio 1990, in particolare, che Orlando scagliò le sue accuse peggiori: Falcone – disse – ha una serie di documenti sui delitti eccellenti ma li tiene chiusi nei cassetti. Per l’esattezza il riferimento era a otto scatole lasciate da Rocco Chinnici e a un armadio pieno di carte. Le trasmissioni condotte da Michele Santoro erano dedicate a una serie di omicidi di mafia, e «io sono convinto», tuonò Orlando, «che dentro i cassetti del Palazzo di Giustizia ce n’è abbastanza per fare chiarezza su quei delitti». L’accusa verrà ripetuta a ritornello anche da molti uomini del movimento di Orlando, tra i quali Carmine Mancuso e Alfredo Galasso. Divertente, o quasi, che tra gli accusati di vicinanza andreottiana – oltre a Falcone – figurava anche il suo collega Roberto Scarpinato, cioè colui che pochi anni dopo istruirà proprio il processo per mafia contro Andreotti.
È di quei giorni, comunque, uno slogan di Orlando che fece epoca: «Il sospetto è l’anticamera della verità». Falcone rispose a mezzo stampa: «È un modo di far politica che noi rifiutiamo… Se Orlando sa qualcosa faccia i nomi e i cognomi, citi i fatti, si assuma la responsabilità di quel che ha detto, altrimenti taccia. Non è vero che le inchieste sono a un punto morto. È vero il contrario: ci sono stati sviluppi corposi, con imputati e accertamenti». Ma Orlando era un carroarmato: «Diede inizio», scriverà Maria, a una vera e propria campagna denigratoria contro mio fratello, sfruttando le proprie risorse per lanciare accuse attraverso i media». Così aveva già fatto nell’estate del 1989, quando il pentito Giuseppe Pellegriti accusò il democristiano Salvo Lima di essere il mandante di una serie di delitti palermitani: Falcone fiutò subito la calunnia ma Orlando si convinse che il giudice volesse proteggere Lima e Andreotti. «Seguirono mesi di lunghe dichiarazioni e illazioni da parte di Orlando, che voleva diventare l’unico paladino antimafia», ha scritto ancora Maria Falcone.
Del fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura, vicino a Palermo, torneremo a scrivere nei prossimi giorni. Per ora appuntiamoci soltanto quanto scrisse il comunista Gerardo Chiaromonte, defunto presidente della Commissione Antimafia: «I seguaci di Orlando sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità».
Orlando era instancabile. Tornò alla carica il 14 agosto 1991, quando rilasciò un’intervista su l‘Unità poi titolata «Indagate sui politici, i nomi ci sono»: «Sono migliaia e migliaia i nomi, gli episodi a conferma dei rapporti tra mafia e politica. Ma quella verità non entra neppure nei dibattimenti, viene sistematicamente stralciata, depositata, e neppure rischia di diventare verità processuale… Si è fatto veramente tutto, da parte di tutti, per individuare responsabilità di politici come Lima e Gunnella, ma anche meno noti come Drago, il capo degli andreottiani di Catania, Pietro Pizzo, socialista e senatore di Marsala, o Turi Lombardo? E quante inchieste si sono fermate non appena sono emersi i nomi di Andreotti, Martelli e De Michelis?». Orlando citò espressamente, tra i presunti insabbiatori, «la Procura di Palermo» e implicitamente Falcone. Per il resto, tutte le accuse risulteranno lanciate a casaccio. Poco tempo dopo, il 26 settembre 1991, al Maurizio Costanzo Show, ad attaccare Falcone fu il sodale di Orlando, Alfredo Galasso.
Lo stesso Galasso assieme a Carmine Mancuso e a Leoluca Orlando, l’11 settembre precedente, aveva fatto un esposto al Csm che sarà il colpo finale: si chiedevano spiegazioni sull’insabbiamento delle indagini sui delitti Reina, Mattarella, La Torre, Insalaco e Bonsignore e anche sui rapporti tra Salvo Lima e Stefano Bontate e sulla loggia massonica Diaz e poi appunto sulle famose carte nei cassetti. Così, dopo circa un mese, il 15 ottobre, Falcone dovette vergognosamente discolparsi davanti al Csm. Non ebbe certo problemi a farlo, ma fu preso dallo sconforto: «Non si può andare avanti in questa maniera, è un linciaggio morale continuo… Non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del komeinismo». Racconterà Francesco Cossiga nel 2008, in un’intervista al Corriere della Sera: «Quel giorno lui uscì dal Csm e venne da me piangendo. Voleva andar via».
Anche della strage di Capaci torneremo a raccontare. Ora restiamo a Orlando, e a quando il 23 maggio 1992, a macerie fumanti, da ex amico e traditore si riaffaccerà sul proscenio come se nulla fosse stato. Il quotidiano la Repubblica gli diede una mano: «A mezzanotte e un quarto una sirena squarcia il silenzio irreale del Palazzo di Giustizia di Palermo. Arriva Antonio Di Pietro da Milano, il giudice delle tangenti, il Falcone del Nord… Con lui ci sono Nando Dalla Chiesa, Carmine Mancuso e Leoluca Orlando». Cioè parte degli accoltellatori, quelli dell’esposto al Csm. Proprio loro. Partirà da quel giorno un macabro carnevale di sfruttamento politico, editoriale, giudiziario e «culturale» dell’icona di un uomo che ne avrebbe avuto soltanto orrore.
Il 25 gennaio 1993, intervenendo telefonicamente a Mixer su Raidue, Maria Falcone disse a Leoluca Orlando: «Hai infangato il nome, la dignità e l’onorabilità di un giudice che ha sempre dato prova di essere integerrimo e strenuo difensore dello Stato. Hai approfittato di determinati limiti dei procedimenti giudiziari, per fare, come diceva Giovanni, politica attraverso il sistema giudiziario».
Il 18 luglio 2008, intervistato da KlausCondicio, Orlando l’ha messa così: «C’è stata una difficoltà di comprensione con Giovanni Falcone». Una difficoltà di comprensione. E poi: «Ma ridirei esattamente le stesse cose… Ho avuto insulti ai quali non ho mai replicato, perché credo che sia anche questa una forma di rispetto per le battaglie che io ho fatto… (pausa, poi aggiunge) … e che Giovanni Falcone meglio di me ha fatto, perché trascinare una storia straordinaria come quella di Falcone dentro una polemica politica, francamente, è cosa di basso conio». E lui non l’avrebbe mai fatto. IL POST 22.5.2012

 

 

VIDEO