VIA D’AMELIO – Dritto e rovescio tra passato e futuro

 

Nella vita di ognuno di noi non c’è un tutto sbagliato o un tutto giusto. Sarebbe fin troppo facile distinguere in ‘buoni’ dai ‘cattivi’ e a nulla servirebbero tribunali e avvocati se prendessimo come esempio un singolo episodio della vita di un uomo per santificarla o per demonizzarla in toto.

La vita è fatta di periodi, di circostanze, di gioie e dolori, di periodi in cui abbiamo appreso e periodi in cui abbiamo insegnato; abbiamo studiato, lavorato, ci siamo divertiti e abbiamo vissuto i nostri momenti difficili. Nulla è statico, piatto, lineare, forse anche noioso.

Vi starete chiedendo cosa c’entra tutto questo con gli argomenti che spesso mi trovo a trattare, dal terrorismo alla mafia, dalla politica ai fatti di cronaca.
A indurmi a queste riflessioni, gli articoli pubblicati giorni fa a seguito dell’udienza del processo di appello sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio (che vede imputati sono i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo) con le arringhe delle parti civili.

Netta e chiara quella dell’avvocatessa Rosalba Di Gregorio che difende Giuseppe La Mattina, Cosimo Vernengo e Gaetano Murana.

La Di Gregorio ricorda  come  da Roma arrivò “l’ordine di risolvere la fase esecutiva e non solo, con il verbo di Scarantino. Secondo quanto riferito da Genchi, i referenti romani che hanno impartito quest’ordine sono il prefetto Luigi Rossi, gli uomini del Nucleo centrale anticrimine, poi diventato Sco, oltre a Pansa (Alessandro, ndr), De Gennaro (Gianni) e Manganelli (Antonio)” – così come riportato da “il Fatto Quotidiano”.

Critica nei confronti di chi istruì le indagini e i processi a Caltanissetta, prima che Gaspare Spatuzza sconfessasse Scarantino, definendo i magistrati di quel tempo distrattini’.

Deciso l’attacco ad Arnaldo La Barbera e ai poliziotti che con le loro condotte agevolarono una “nuova consorteria nata dal patto tra “Cosa nostra” stragista e le istituzioni”. 

Un pactum sceleris che va dunque ben al di là del cosiddetto processo “Trattativa Stato mafia” così come lo conosciamo e di cui sappiamo l’esito giudiziario.

Un processo al quale non ho creduto, altro non fosse per come venne montato il castello accusatorio.

Ma la Di Gregorio va ben oltre quel lungo processo, facendo riferimento alla presenza di soggetti esterni a “Cosa nostra”, ricordando il lancio Ansa sulla scomparsa della 126, e la nota del Sisde dell’agosto ‘92, che conteneva il canovaccio fatto recitare ai pentiti.

“Tutte presenze istituzionali”, sostiene la Di Gregorio.

Di recente si assiste invece al tentativo, tanto da parte di alcuni giornalisti, quanto da parte di qualche rappresentante di parte civile, di riportare il tutto dentro l’alveo del movente, delle strategie e della messa in opera dell’attentato da parte di “Cosa nostra”.

Farebbe comodo a tanti mettere una pietra tombale sul massacro di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli uomini delle rispettive scorte.

Accuse al massimo rivolte ai vertici di “Cosa nostra” e ai magistrati del cosiddetto “nido di vipere”, come se questi ultimi potessero essere i mandanti o gli esecutori, dimenticando che in particolar modo la strage di Capaci fu un’operazione militare e non l’opera di quattro pecorai tutti coppola e lupara.

L’attentato di Capaci fu anche oggetto di una perizia da parte del Generale Fernando Termentini, uno dei massimi esperti a livello mondiale nel settore degli Ordigni Esplosivi, che deponendo al processo Capaci bis definì il genere di attentato come un’operazione che ricalca procedure ordinarie di carattere militare, così come ricordato in questo articolo.

Oggi a confutare le analisi, le deduzioni e le conclusioni del Gen. Termentini – che ho avuto l’onore e il piacere di vivere come amico ma anche per altri aspetti come serio e preparato professionista – sono gli esperti di Facebook che vorrebbero a tutti i costi addurre al solo dossier mafia-appalti le ragioni delle stragi del ’92.

Saranno capaci di smontare la perizia del Generale Termentini, o si limiteranno a scrivere articoli e post su suggerimento – non certo divino – da parte di chi ne ha interesse?

Mafia-appalti, la storia di un dossier con tanti punti interrogativi, sicuramente di interesse di “Cosa nostra”, rispetto al quale ho anche scritto in passato perché venisse approfondita la vicenda.

Ma non può essere l’unica ragione di quelle stragi. È per questo che è necessario fare dei distinguo.

Nella vita ci sono momenti che possono unirci nel fare uno stesso percorso, e momenti in cui ci si separa quando ci si accorge che il fine non sembra più essere lo stesso che avevamo inizialmente.

Se per la cd “Trattativa Stato-mafia” pochi dubbi possono sussistere in merito ad eventuali responsabilità penali, la stessa cosa non si può dire per quelle morali e politiche che riguardano il periodo stragista di “Cosa nostra”, senza per questo poter escludere responsabilità penali diverse da quelle ad oggi emerse.

A parlare dei rapporti mafia-politica fu anche Luigi Ilardo, fonte confidenziale del Colonnello Riccio,  che tracciò lo scenario politico di quel momento e le strategie di “Cosa nostra” per mediare gli aspetti di carattere politico perché si arrivasse a un “posate le armi” in cambio di vantaggi normativi. Se anche possono apparire controvertibili le testimonianze di Riccio al processo “Trattativa”, va evidenziato come le querele per calunnia presentate nei suoi confronti siano state archiviate con motivazioni diverse che andrebbero ben analizzate e valutate per comprendere le tante perplessità sorte in merito a una possibile condanna dell’imputato. Nel corso di una lunga intervista, è lo stesso Riccio a ripercorrere la carriera di uomini di primo piano del mondo investigativo, ricordando come Mario Mori nel 1986 aveva assunto il comando del gruppo centro dei carabinieri di Palermo e l’allora colonnello Antonio Subranni quello della legione carabinieri di Palermo, ricoprendo i suddetti incarichi fino al 1989, un periodo in cui a capo della squadra mobile palermitana c’è un altro controverso personaggio: Arnaldo la Barbera!

Arnaldo La Barbera, è un uomo a doppio servizio da una parte della Polizia di Stato, dall’altra del SISDE, i servizi segreti ai quali appartiene, ed è tra i vertici, Bruno Contrada, definito da  Ilardo ‘l’uomo dei misteri’ e trait-d’union fra “Cosa nostra e istituzioni”.

“Mori  afferma Riccio – sarà teste della sua difesa dopo la consegna del mio rapporto alle AG siciliane”.

Troppi misteri, a partire da quel fatidico giorno in cui all’Addaura avviene il fallito attentato a Giovanni Falcone e il maresciallo Tumino distrugge il timer dell’ordigno esplosivo composto 58 candelotti di dinamite.

Misteri e anomalie delle quali avevo già scritto parlandone con Katia Sartori e Riccardo Sindoca.

Misteri mai risolti, a cui soltanto il Giano Bifronte, capace di guardare il passato e il futuro, potrebbe dare delle risposte.

“Nel cinturone dei soldati del Fuhrer c’era scritto “Gott mit uns”, Dio è con noi. Hitler lo aveva arruolato” – disse Enzo Biagi.

Chissà se anche oggi la soldataglia che combatte un’ingiusta causa, sotto gli abiti civili non nasconda un cinturone con dedica nella speranza di riuscire ad arruolare Dio.

Noi poveri mortali non ci lasciamo arruolare, e quello a cui stiamo assistendo è tentativo di cristallizzare tutto, addossando alla sola mafia la responsabilità non soltanto delle stragi, ma di tutto ciò che è stato fatto al popolo italiano.

Gian J. Morici

Con il prossimo articolo: Via D’Amelio, la storia di un attentato del depistaggio e del perché se fosse andata come disse Riina l’attentato molto probabilmente sarebbe fallito.