VIA D’AMELIO – COMMISSIONE ANTIMAFIA – audizione avvocato UGO COLONNA


5 aprile 2024 AUDIZIONE del legale dell’ex collaboratore di giustizia
MAURIZIO AVOLA

 

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Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

 

TESTO DEL RESOCONTO STENOGRAFICO PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CHIARA COLOSIMO

Comunicazioni del presidente.

    PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione dell’avvocato Ugo Colonna nell’ambito del filone d’indagine sulla strage di via D’Amelio.

UGO COLONNA. Buongiorno a tutti.
Ringrazio la Commissione per avermi concesso questa possibilità di presentarmi e replicare alle accuse formulate in questa sede dall’avvocato Fabio Gaetano Repici nei confronti non solo del mio assistito, ma anche nei miei confronti, con riferimento alla vicenda stragista e in particolare quella del 1992 avvenuta a Palermo in via D’Amelio.
  Come traccia voglio anticipare che è mia intenzione esporre i fatti supportandoli, quasi nell’immediatezza, da documenti, in modo tale che risulti sotto un profilo obiettivo e razionale la fondatezza delle cose che dirò, ma soprattutto per sconfessare le affermazioni calunniose che mi ha rivolto l’avvocato Fabio Repici.
  Nella prima audizione dell’avvocato Fabio Repici del 18 ottobre 2023 egli si è richiamato, aderendovi e facendo sue le conclusioni, alla richiesta di archiviazione formulata dalla DDA di Caltanissetta risalente a circa un anno prima, nel processo 372/2020 più volte nominato, che si occupa sia delle stragi di Capaci sia di quella di via D’Amelio.
  Per queste stragi il procedimento è stato avviato in realtà già dal 2018, perché si tratta dell’unione di due distinti procedimenti, in quanto Avola già dal 2017 era stato sentito dalla DDA di Caltanissetta, in particolare dal vecchio procuratore, il dottor Amedeo Bertone. Poi, a gennaio del 2020, fece delle nuove dichiarazioni, sempre chiamato da parte della procura, mai proponendosi lui per riferire fatti nuovi, e con riferimento a questa indagine per cui sono indagati attualmente, oltre a Maurizio Avola, anche i massimi esponenti dell’associazione mafiosa cosa nostra di allora, cioè il rappresentante, il vice rappresentante, il capo decina, il rappresentante della provincia Eugenio Galea, quindi D’Agata, Galea ed Ercolano Aldo, si era conclusa con una richiesta di archiviazione nella quale i pubblici ministeri, dopo diversi anni di accertamenti, avevano ritenuto infondate le accuse di Maurizio Avola con riferimento sia alla strage di Capaci sia a quella di via D’Amelio. Soprattutto in relazione alla vicenda di via D’Amelio, hanno ritenuto che le stesse potessero essere calunniose in quanto non erano stati effettuati riscontri, anzi, secondo la ricostruzione di quei pubblici ministeri, si riteneva che Avola avesse riferito sulla strage di via D’Amelio, autoaccusandosi di fasi esecutive della strage, su cui ancora non solo non c’è alcun giudicato, ma non c’è nessuna valida indagine, per evitare future indagini che l’ufficio del pubblico ministero avrebbe potuto fare in relazione a questo accadimento gravissimo che è successo nel 1992.
  Il 18 ottobre l’avvocato Repici si mantiene su quelli che sono i dati e vi dice che c’è questa richiesta di archiviazione. Non vi dice però – questo avrebbe dovuto dirvelo già – che a luglio del 2023 il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta aveva già non accolto questa richiesta di archiviazione e fissato udienza per il giorno 5 ottobre. Fu una udienza particolare anche per l’importanza della vicenda.
  Il 20 ottobre – due giorni dopo che l’avvocato Repici aveva reso le sue prime dichiarazioni in questa sede – il GIP di Caltanissetta non ha condiviso l’impostazione dei pubblici ministeri, che avevano sostenuto la non credibilità di Avola. Avola, infatti, che collabora da marzo del 1994, non è stato mai condannato per calunnia, nonostante le numerose denunce fatte nei suoi confronti, perché Avola era un personaggio di primissimo rilievo non solo come mafioso, ma anche come collaboratore di giustizia, forse il più importante che ha avuto il distretto di Catania. Il GIP contestava il fatto che gli accertamenti non fossero stati fatti e pertanto ha disposto una corposa attività di indagine, che è ancora in corso di verifica.
  Tra l’altro, il giudice, successivamente, con un provvedimento sull’incidente probatorio, facendo salve altre richieste, ha disposto alcuni accertamenti medico legali su Avola e soprattutto la sua personale audizione che si terrà il 7 maggio prossimo presso l’aula bunker di Caltanissetta.
  Dopo questa prima audizione, il 6 novembre l’avvocato Repici ha integrato autonomamente le valutazioni che non facevano parte del procedimento, relative alla credibilità di Avola, che i pubblici ministeri di Caltanissetta avevano espresso, aggiungendo dei fatti che ora io evidenzierò, sia pure molto velocemente, ma con quel limite espositivo che ho, perché voglio dare riferimenti oggettivi sulla scorta dei quali io dico che la verità è quella che dico io e non quella per cui mi si accusa.
  Il 6 novembre l’avvocato Repici ha parlato di questa attività deviante di Avola, perché non lo dice già il pubblico ministero, che anzi sostiene che per la vicenda di Capaci tutto sommato le dichiarazioni di Avola siano credibili, bontà sua. Afferma che Avola già nel 2017 dice dei fatti che sono espressioni di devianze conclamate, perché si caratterizzano – sono sue frasi, sue parole – per un certo revisionismo e un certo negazionismo di fatti già accertati.
  Che cosa ci dice come esempio e come sostegno a questa sua gravissima affermazione che Avola Maurizio avrebbe riferito fatti devianti non nel 2020 con la strage di via D’Amelio, ma anche in quelle del 2017 in relazione alla vicenda di Capaci, che poi, vedremo, hanno un comune denominatore e non si possono disgiungere? Ci dice di aver notato – magari i pubblici ministeri non l’hanno notato, ma lui, dall’alto delle sue conoscenze di difensore di vittime della mafia, sì – che ci sono due ritrattazioni. La prima è in favore di Pietro Rampulla, che è stato condannato con sentenza passata in giudicato come l’artificiere di cosa nostra, cioè quello che ha armato l’ordigno esplosivo della strage di Capaci, e di Rosario Pio Cattafi, nei confronti del quale Avola già aveva reso delle dichiarazioni, al pari di Rampulla, con delle dichiarazioni che ora tratteremo. Dice anche di stare attenti che questo revisionismo è particolare, perché sia Rosario Pio Cattafi sia Pietro Rampulla sono due soggetti della destra eversiva. Questa ritrattazione di Avola e il sostegno che poi l’avvocato di Avola, cioè io, avremmo dato, si armonizzano, in questa sorta di revisionismo, per cercare di depistare la causale di queste stragi, cioè l’attività eversiva di una certa parte politica che utilizza massoneria, utilizza personaggi, tra cui cosa nostra, gli alti vertici di cosa nostra siciliana. È una cosa gravissima, non perché le cose che dice non siano vere, ma perché le contestualizza in quest’opera di depistaggio che Maurizio Avola e quindi il suo suggeritore, ovvero io, avremmo avviato sin dal 2017. Vedremo poi che in realtà la data non è 2017 quando ci occuperemo specificamente di queste cose.
  Andiamo al primo profilo di non corrispondenza al vero, cioè la falsità delle ritrattazioni da parte di Avola su Rosario Pag. 7Cattafi. Io non ho depositato né la richiesta di archiviazione né l’ordinanza del GIP, ma siccome l’avvocato Repici ha detto che le ha depositate lui, per evitare di portare ulteriore documentazione, non le ho portate. Non ho motivo di non credere che lui le abbia depositate, però, laddove fosse necessario, sono disponibile a depositarle anche io oggi.
  L’avvocato Rosario Cattafi è stato condannato nel processo Gotha 3 dal GUP presso il tribunale di Messina, poi è stato riformato e alla fine è passata in giudicato la sentenza con la quale egli è stato condannato quale appartenente a cosa nostra, alla famiglia dei barcellonesi, riconducibile all’associazione mafiosa cosa nostra, fino all’anno 2000. Noi abbiamo un giudicato che limita l’appartenenza di Cattafi fino al 2000. Questo ha un rilievo, perché dirò una cosa poi alla fine della mia deposizione.
  Secondo l’avvocato Repici, Avola, per porre in dubbio che il soggetto da lui accusato sin dal 1994 potesse essere identificato effettivamente in Rosario Pio Cattafi, avrebbe utilizzato uno stratagemma dicendo: «Mi sono accorto che dal 18 luglio 2017…». Il 2017 è la data di un interrogatorio disposto dal procuratore capo, dall’aggiunto e da un sostituto della procura di Caltanissetta, autonomamente, senza che Avola lo chiedesse. In questo interrogatorio egli mette in dubbio le sue precedenti dichiarazioni, non ritrattandole, ma utilizzando uno stratagemma, cioè che il soggetto da lui in precedenza accusato, un personaggio dei servizi segreti nelle attività illecite poi specificate e di cui si è reso partecipe, secondo quello che Avola aveva raccontato nel 1992, era conosciuto solamente con il nome di Saro o Sariddu.
  Quindi, il nome «Cattafi» sarebbe stato da lui associato, e indicato a verbale, al nome Saro esclusivamente dopo che tale cognome venne pronunciato da un magistrato della DDA di Pag. 8Messina nel corso di un interrogatorio effettuato in relazione all’omicidio Alfano.
  L’avvocato Repici sostanzialmente dice che è molto insidioso, ci vuole una particolare abilità per individuare questo sottile gioco di Avola e di chi lo consiglia, perché, in realtà, non ritratta l’oggetto delle accuse, ma cerca di non collegare il nome di Saro, di cui lui aveva parlato, con il cognome Cattafi, inventandosi questo accadimento e cioè che c’era stato un interrogatorio sul quale Avola aveva ovviamente capito che si trattasse di Cattafi.
  A sostegno di questa accusa, egli non è che vi sottopone tutti i verbali di Avola, ovviamente, che avrebbero, secondo me, anche reso inutile, forse, il mio vuoto esercizio oratorio di questa mattina, ma vi dice: «Dall’alto delle conoscenze che ho delle cose di cosa nostra, sono andato a ricercare – in realtà lo sapeva benissimo, perché lavorava nel mio studio quando è successo questo fatto – un testo del lontano 1998 del giornalista Pietro Suber dell’Espresso o di Panorama, non ricordo, e di Roberto Gugliotta, un mio personale amico, un nostro amico, perché anche lui lo frequentava al tempo, in cui hanno parlato di Rosario Cattafi». Si tratta di un articolo di stampa del periodo giugno o luglio 1998 e ve lo ha depositato.
  Siccome Gugliotta è amico di Colonna, è chiaro che Colonna sapeva di queste accuse che erano state fatte e quindi è tutta un’invenzione, perché Avola ha sempre parlato di Saro associandolo al cognome Cattafi.
  Come prima cosa, quindi, sarebbe stato opportuno depositare i verbali che ha reso Maurizio Avola. Andiamo, come primo dato, alla richiesta di archiviazione che contiene questo verbale del 18 luglio 2017. Cosa sostiene Avola in questa famosa ritrattazione o revisionismo? «Seppi – lo riferisce la sua fonte di conoscenza – da Carletto Campanella – Carletto Campanella era il capo decina dell’associazione mafiosa cosa nostra fino al Pag. 91992, quando venne arrestato – che nel corso di un colloquio in aereo – che avevano fatto quando venivano trasportati, perché da Catania dopo certe operazioni venivano spostati in varie carceri d’Italia, chi ad Ascoli Piceno chi ad Ancona, in quel caso viaggiarono assieme, perché uno andava ad Ascoli e l’altro andava ad Ancona – mi disse che purtroppo non era riuscito a salvare Santapaola dall’arresto», arresto che era avvenuto il 18 maggio del 1993, mentre questo colloquio con Carlo Campanella, detto Carletto, è avvenuto credo a gennaio, febbraio 1994, qualche tempo prima che Avola si pentisse. Gli disse Campanella che aveva avuto un colloquio – ho preparato uno scritto che contempla un po’ tutte queste vicende, che darò su supporto informatico assieme a tutti i documenti – con un appartenente dei servizi nel carcere di Cuneo, dove era l’anno precedente detenuto, e in quella occasione disse, è verbalizzato: «Il Campanella mi parlò di questo soggetto che era entrato in carcere chiamandolo Sariddu. Incontrai il Campanella a gennaio 1994 sull’aereo militare utilizzato per essere trasferiti da Catania in altri istituti di pena». Questo è quello che dice nel verbale, dove effettivamente Avola afferma: «Io lo conoscevo come Sariddu o Saro – come vedremo, il pubblico ministero interviene – la signoria vostra mi dice che nelle precedenti dichiarazioni appresi dell’identità di Saro nel corso di un interrogatorio in cui un magistrato di Messina lo identificò appunto nel Cattafi. “Preciso di non aver mai conosciuto il Cattafi e non ho altri elementi quindi per dire che Saro sia Cattafi né per poter dire che il Saro di cui mi parlò il Campanella sia lo stesso Saro di cui ho parlato in relazione alla riunione di fine dicembre 1991 – in realtà è del 1992 – in cui si discusse anche dell’eliminazione del dottore Di Pietro, il pubblico ministero di Milano”».
  Noi, quindi, abbiamo già un dato che dovrebbe far alzare subito le antenne: è il pubblico ministero che ha detto ad Avola che stava parlando di Saro, però nelle precedenti dichiarazioni aveva detto una cosa diversa.
  Qual è l’elemento che ci consente di dire, e chiudiamo, se Avola ha ritrattato oppure no? L’esame dei verbali di Avola Maurizio.
  Il primo verbale di Avola Maurizio, che io depositerò, ovviamente, è quello del 10 marzo del 1994. In questo verbale Maurizio Avola, il giorno dopo dell’inizio della sua collaborazione, quindi in tempi assolutamente neutri, riprende il suo discorso e dice: «In quella circostanza il Campanella – hanno parlato di altri fatti, trovate l’omissis perché parlano di un omicidio importante sul quale ancora non si è fatto chiarezza, si tratta in particolare dell’omicidio di un ingegnere di una società di Brescia avvenuto in Sicilia qualche anno prima, e siamo a pagina 7 del verbale interrogatorio del 10 marzo 1997 – mi diede un’indicazione che per me risultò oscura, ma che ritengo importante. Mi ha riferito che circa dieci giorni prima dell’arresto di Nitto Santapaola egli fu contattato in carcere dove egli era detenuto, credo Cuneo o Ascoli Piceno, da uno che intratteneva rapporti con i servizi segreti e che egli chiamava confidenzialmente Saro o Sariddu». Poi gli racconta quello che gli aveva detto e riprende: «Preciso che il Campanella mi disse che il personaggio che lui chiamò Saro e Sariddu aveva rapporti con i servizi segreti, a cui rendeva dei favori in particolare commettendo omicidi che gli venivano commissionati in cambio di forniture di sostanze stupefacenti». Poi approfondirà questa vicenda.
  Nel primo verbale, quindi, Avola riferisce non di Saro Cattafi, ma di Saro o Sariddu.
  Il successivo verbale risale all’anno successivo, al 19 aprile 1995, con il pubblico ministero di Messina, di Barcellona in particolare, che era applicato a quello di Messina. Nel corso dell’interrogatorio per l’omicidio del giornalista Alfano, Avola racconta delle conoscenze che aveva su questo omicidio, attribuendo a Giuseppe Gullotti la responsabilità, in realtà anche al suo capo famiglia, dell’uccisione di questo giornalista, avvenuta il 9 gennaio del 1993. Che cosa racconta nell’esporre i colloqui avuti con Giuseppe Gullotti a Catania, perché Gullotti poi diventò uomo d’onore? Dice: «Gullotti diventa uomo d’onore dopo il 1991. Prima veniva, però non era uomo d’onore, quindi non ci veniva presentato come uomo d’onore. A fine 1991 è stato nominato uomo d’onore».
  Nel verbale del 19 aprile del 1995 è dato leggere, a proposito di Gullotti Giuseppe, allegato 2: «Lo stesso – cioè Gullotti – veniva spesso a Catania prima che divenisse uomo d’onore per incontrarsi con Aldo Ercolano ed era accompagnato da una persona che contava più di lui e di cui allo stato non ricordo neanche il nome».
  Il pubblico ministero della DDA di Messina, per capire chi era questa persona, incomincia a fare una serie di nomi. A un certo punto chiede se fosse Saro Cattafi. Lui, in quell’occasione, non se la sente di rispondere e ci ragiona un po’ e dice: «non lo posso dire ancora». Sta di fatto che, comunque, poi, in successivi interrogatori… Succede che Maurizio Avola ha un percorso sul quale poi forse riusciremo a spiegare – se ci saranno domande – le ragioni per le quali ha ritardato a dire certe cose, non solo sulla strage di via D’Amelio, ma anche su altre cose.
  Maurizio Avola quando nel 1994 inizia a collaborare dice delle cose molto gravi, che riguardano, ad esempio, gli incendi della Standa avvenuti a Catania o fa tutta una serie di riferimentiPag. 12avvenuti nel 1995. Questo per dire che non è assolutamente vero che Avola, quando dice che non c’entrano nelle stragi Berlusconi e Dell’Utri, lo fa per aiutarli. Non è vero. Lui, coerentemente, ha sempre detto, dal 1994 che Marcello Dell’Utri c’entra e l’ha denunciato. Tant’è vero che Marcello Dell’Utri nel 1995 gli fa una denuncia per calunnia, perché tutta questa vicenda nasce da Catania, dagli interrogatori di Catania, dove fanno gli accertamenti sui piani di volo, di quando scendevano in epoca antecedente e prossima all’esplosione di questi attentati da Far West che la Standa subì a Catania. Lui praticamente comincia a raccontare questa vicenda di Dell’Utri del 1995. A questo punto si avvicina la procura di Palermo, a parte quella di Caltanissetta.
  Nel 1996, quando lui all’inizio dice che avrebbero voluto uccidere pure il dottor Di Pietro, non gli credono. Poi, a settembre 1996, quando collabora Brusca, quando anche Brusca dice questo fatto, che peraltro non lo sa, perché è una cosa che decidono i catanesi autonomamente e racconta nel 1996 tutte queste vicende.
  Nel mentre si parla di questa riunione dell’Hotel Excelsior – su cui Avola parla non solo a Caltanissetta, a Palermo ma anche con il dottore Chelazzi a Firenze, dove verrà sentito poi nel 1997, nel processo delle stragi del continente – riferisce e collega il nome di Saro con Cattafi e lo fa in più interrogatori in realtà, ma comunque certamente nell’interrogatorio del 16 luglio del 1998.
  Successivamente viene sentito da più procure e il 25 maggio del 1999 viene sentito anche dal procuratore distrettuale di Messina, dottor Luigi Croce, che era stato trasferito a Messina come procuratore capo dopo il caso Messina. In questa vicenda che io ovviamente deposito come allegato 3, vi è la richiesta di misura cautelare Gotha 3, quella che ha condannato Cattafi.
  L’avvocato Repici in quella sede non è solo costituito parte civile quale difensore dell’associazione Vittime della mafia di Sonia Alfano, ma è costituito parte civile personalmente, perché era stato calunniato da Cattafi stesso con delle affermazioni incaute che lo stesso aveva reso nel corso di precedenti interrogatori.
  Lui, quindi, conosce benissimo quegli atti. Vedremo che li conosce benissimo perché questo verbale di Avola era già nel processo che c’era a Catania, dove lui era parte civile – era nel mio studio, quindi lo conosceva – e soprattutto nel processo Mare Nostrum del 2006.
  Fornisco nella pen drive tutta la misura cautelare, ma nel cartaceo c’è lo stralcio. In questo verbale è riportato 25 maggio 1999, non 2017. Si sta parlando della riunione presso l’Hotel Excelsior a Roma. Avola parla di questa vicenda dell’Hotel Excelsior da vent’anni, da venticinque anni, perché già nel 1997 viene sentito a Firenze su questa vicenda a dibattimento. Quando parla dell’Hotel Excelsior, parla del bar Doney. Quando ne parla Spatuzza, che si vedono al Doney, va bene. Quando Avola parla del bar dell’Hotel Excelsior si controllano gli accessi nell’albergo come se le persone che vi partecipavano dormissero all’Hotel Excelsior.
  Comunque, in questo verbale del 25 maggio, dove si sta approfondendo questo tema, il dottor Petralia, un altro dei sostituti che interrogava, insieme al dottor Croci, credo fossero due o tre, dice: «C’era anche Sparacio». Sparacio era il capo di Messina. Siccome si parlava di Alfano e di altri soggetti dice: «Non ne sono sicuro, c’era un altro messinese, uno che si è incontrato con Carletto Campanella al carcere. Questo diceva che apparteneva ai servizi segreti. Saro Cattafi. Per tutta onestà, però, vorrei dire una cosa. Cattafi l’ho saputo dopo che si chiamava Cattafi. Io l’ho indicato sempre come un certo Saro». Pag. 14In effetti, parla sempre di Saro o Sariddu. «Ricordo l’interrogatorio con il dottore che mi interrogava sull’omicidio del giornalista. È uscito fuori questo cognome e l’ho registrato, ma effettivamente l’ho sempre chiamato Saro dei servizi segreti che si è incontrato con Carletto Campanella al carcere di Cuneo». Quindi, noi abbiamo un dato, con riferimento alle date, assolutamente certo. Avola nel 2017 non si inventa la revisione per aiutare Cattafi e la destra eversiva delle stragi e tutte quelle cose che ho sentito dire. A parte il fatto oggettivo che non l’ha nominato nei primi interrogatori, è dal 1999, su un verbale che egli conosce, ecco perché dico che è calunnioso quello che dice Repici, una cosa non solo non esatta, ma egli è consapevole di dire una cosa non esatta, contestualizzandola nel 2017. E l’ho chiamato sempre «Saro dei servizi segreti», che si è incontrato con Carletto Campanella. Queste sei persone, Marcello D’Agata, Galea, Alfano, Pacini Battaglia e altri soggetti, si incontrano in questo hotel, dove si programma una certa cosa. Siamo nell’estate del 1992. Per favore, stiamo attenti, perché questo è importante. Lui dice: non c’entra niente l’attentato a Di Pietro con le stragi, questo è un favore che dovevamo fare noi ai socialisti. Tant’è vero che non era prevista la strage, ma era previsto un omicidio con arma corta, fatto in un certo contesto, che lui, ovviamente, poi racconta a parte. Questo tengo a precisarlo per alcune chiarificazioni successive. Poi, nel 1993, vengo arrestato, quindi io non so cosa succede.
  Poi domandano chi era questo Saro. Aveva contatti con i servizi segreti. Non hanno mai approfondito. Sono, casomai, cosa nostra o gente vicina a cosa nostra che fa il favore ai servizi o alle persone, non è mai il contrario, che i servizi fanno gli omicidi a cosa nostra. Lui cerca di spiegarlo perbene. Poi, aveva contatti con Gullotti. A un certo punto lui ritorna sul discorso di Saro, chiamandolo sempre Saro. Lui parla di Saro Cattafi e Pag. 15il dottore Petralia dice: «proprio come Cattafi o come Saro?». «Come Saro, scusi. Ci faceva i servizi, aveva grossi agganci e faceva i favori ai servizi». Però, lui comunque ormai si era convinto che quel Saro era di Barcellona, veniva con Gullotti, dice che probabilmente è lui. Lui affida questo dato oggettivo in termini di incertezza.
  Quello che è certo, e chiudo sul punto, è che l’avvocato Repici era perfettamente a conoscenza non solo che Avola è nel 2017 che fa questa precisazione, ma soprattutto che questa è una precisazione coerente con tutto il percorso collaborativo di Maurizio Avola da marzo 1994. Quindi, io ritengo di non soffermarmi su questa non corrispondenza della realtà dei fatti di questa prima vicenda.
  La seconda cosa che lui riferisce è, secondo me, la falsità che riguarda il revisionismo, la ritrattazione di Maurizio Avola sul ruolo di Pietro Rampulla nella strage di Capaci. Ha sostenuto, davanti a questa Commissione, che Maurizio Avola, nelle dichiarazioni che fa nel 2017, ma anche successivamente, perché quello è lo spartiacque, gli anni 2017 e 2018, quando Avola fa queste dichiarazioni sulle stragi – poi vedremo che non è neanche vero – che c’è un dato certo. Noi abbiamo chi partecipa alla strage di Capaci, Brusca, Gioacchino La Barbera, Mario Santo Di Matteo, che hanno concordemente detto, tutti, che ad armare il congegno esplosivo è stato Pietro Rampulla. Soprattutto c’è una sentenza passata in giudicato. Quindi, Avola fa una duplice offesa, sia alla sentenza sia alle dichiarazioni di altri collaboratori, e inoltre – questo lui non può non dirlo – sconfessa anche se stesso. Infatti, anche Avola Maurizio aveva detto che era andato Rampulla Pietro a fare questa attività che coerentemente poi dice Brusca. Avola collabora prima di Brusca. Che cosa fa? Vi insinua un dubbio, ovviamente: «in questo verbale del 18 luglio 2017 Avola depista perché dice che a Pag. 16partecipare alla strage di Capaci non è Pietro Rampulla, ma è l’americano che sarebbe venuto in Sicilia agli inizi del 1992 perché era un esperto in esplosivi». Quindi, dice una doppia calunnia: la prima è che Avola ritratta; la seconda è che il fine di questa ritrattazione è quello di mettere un soggetto inesistente, vale a dire questo fantomatico personaggio americano della famiglia Gotti-Gambino, esperto in materie esplodenti. In verità, i fatti, anche in questo caso, non stanno come vi sono stati riferiti dall’avvocato Repici.
  Qua devo, ovviamente, farvi vedere una cosa, veramente un minuto. Maurizio Avola – ora vedremo cosa dice nel verbale, e non dice assolutamente questo, o comunque uno che lo legge attentamente ci arriva da solo, senza che ve lo indico io – non è che fino al 2020 non dice nulla sulle stragi. Maurizio Avola non è uno Scarantino qualsiasi. Tant’è che parlano di «scarantinizzazione» di Maurizio Avola. Maurizio Avola è un personaggio di assoluto livello, è coinvolto in tutti gli omicidi eccellenti che sono stati disposti dalla famiglia Santapaola, dalla provincia catanese di cosa nostra sia in Sicilia sia fuori dalla Sicilia, penso a Gavorrano, per esempio, o all’omicidio di Pippo Fava. Insomma, vi è tutta una serie di omicidi eccellenti a cui lui partecipa direttamente. Comunque, Maurizio Avola è un uomo d’onore dal 1984, è il figlioccio di Aldo Ercolano, ovvero il vero capo di cosa nostra di Catania, è nella squadra di Ognina, comandata da Marcello D’Agata che è il consigliere della famiglia, il consigliere privilegiato di Nitto Santapaola. Non era tanto il «malpassotu», ma era proprio Marcello Avola che aveva anche esperienze politiche, era una persona molto importante all’interno di cosa nostra catanese. Non è che si inventa nel 2017 queste cose.
  Maurizio Avola parla dello straniero che viene fuori non nel 2017, 2016, 2010, 2005 o 1999, bensì il 5 maggio 1994. Maurizio Pag. 17Avola dichiara – questo lo voglio dire a voce alta – che sono coinvolti personaggi stranieri nell’esecuzione – poi vedremo a livello di quale tipo di concorso – nel verbale del 5 maggio 1994. In questo verbale, che purtroppo la procura omissa… Diciamo che in quel caso è clamoroso, perché nel primo verbale di Avola c’erano una trentina di omicidi, ci sono i nomi di chi ancora è a piede libero oppure è stato scarcerato. Però, non ci sono altri collaboratori che lo riscontrano, perché del livello di Avola a Catania ci sono stati altri soggetti, ma non del suo gruppo, di altri gruppi. Quindi, nel verbale del 5 maggio 1994 Maurizio Avola riferisce in modo chiaro del ruolo che ha avuto questo personaggio straniero che venne in Sicilia ad addestrare chi poi partecipò alle stragi. Stiamo attenti, non è che ha addestrato Avola. Questo è un vuoto enorme. Mi sono sentito un po’ tutte le audizioni in questa sede e mi sono documentato moltissimo, anche perché, difendendo ora in questo processo inquietante per me che c’è a Caltanissetta, mi sto andando a prendere tutte le vecchie sentenze.
  Praticamente questo soggetto straniero sembra un ectoplasma venuto fuori nel 2017 da Avola. In realtà, non è vero. E qua c’è un discorso su cui il GIP di Caltanissetta interviene pesantemente, perché una delle indagini che dispone il GIP è quella di verificare proprio questa lista. Perché? Perché Avola di questo fatto dello straniero parla il 5 maggio e poi racconta cosa succede. Vi è un verbale successivo, quello del 18 novembre 1994, dove Avola non parla più dello straniero venuto da fuori, non palermitano, ma parla di un forestiero. Che cos’era successo? E noi abbiamo chiesto l’acquisizione del verbale del colloquio investigativo fatto dal dottor Tinebra che personalmente interroga Avola, ancora detenuto. Quindi, si può tracciare benissimo. Lo stesso GIP aveva sollecitato il pubblico ministero a depositare questi colloqui investigativi. Lui si è Pag. 18rifiutato, ma il GIP gli ha ordinato di farlo. Ebbene, lui chiede ad Avola: «Come mai c’è questo straniero nominato il 5 maggio e il 18 si parla di un forestiero?» E Avola lo spiega: «Guardate, la mia collaborazione non è stata né facile né breve su questi fatti, perché io sono il primo che parla della Falange Armata». E c’era un processo qua a Roma che andava avanti da mesi, che aveva il dottor Saviotti. Lui, poi, chiede: «La Falange Armata è strutturata?». Questa presentava come prima dichiarazione. Lui risponde: «No, la Falange Armata non esiste, è una sigla con cui noi rivendicavamo gli attentati da una certa data in poi, dal 1990-1991 in poi, per depistare e far attribuire a una fantomatica associazione terroristica e non alla mafia certi attentati».
  Il dottor Saviotti lo interroga e lo imputa della vicenda Costanzo. Avola dice che non c’entrava niente, perché era già arrestato e comunque non partecipava alle riunioni con Gioè. Ma soprattutto dice: «lei sulla Falange Armata sta rovinandomi un processo». Giustamente Avola dice: «va bene, lei dice così, io so in questo modo; se lei poi ha altri elementi…» Alla fine, molto lealmente il dottor Saviotti riconoscerà che in effetti ciò che diceva Avola era vero.
  Ma non è solo questo. Nel luglio 1994 il dottor Tinebra interroga Avola personalmente, con il colloquio investigativo, e gli chiede: «questo straniero cosa c’entra?» Non dimenticate che nel 1994 ormai le stragi avevano avuto una certa… Vedremo quella di via D’Amelio, dove c’erano già state diverse… Questo prima ancora che Scarantino collaborasse falsamente. Siamo ancora in una fase in cui non c’era la collaborazione di Scarantino. Dice: «è sicuro che questa persona è una persona straniera, non palermitana, non siciliana? Non può essere di Trieste?» E lui risponde: «dottor Tinebra, a Trieste cosa nostra non c’è. Se non è in Sicilia, cosa nostra è in un altro posto». Lui Pag. 19dice: «ma allora è un forestiero, qua a noi non corrispondono queste cose». Non è che non corrispondeva solo il discorso, non corrispondeva nemmeno il discorso dell’esplosivo che Avola aveva raccontato nel 1994 che aveva portato a Termini Imerese per utilizzarlo nelle stragi, un esplosivo proveniente dalla Jugoslavia. Poi, fortunatamente, a parte i colloqui investigativi, a marzo 1996 viene sentito Avola in dibattimento e lui racconta com’era questo esplosivo. E vedremo poi questa vicenda che l’esplosivo arrivava da Catania, su cui poi il riscontro definitivo ce lo dà Gaspare Spatuzza nel 2008, quando comincia a collaborare.
  A maggio 1994, quindi, Avola parla di questo straniero, che poi diventa forestiero, e mantiene sempre ferma questa cosa. Poi, nel 2017 il dottore Bertone della procura di Caltanissetta, risente Avola. E c’è una ragione. Maurizio Avola viene sentito nel processo Trattativa, non è sulla linea, ovviamente, di quei pubblici ministeri, racconta i suoi fatti, non intende assolutamente deflettere dalle cose che lui dice dal 1994, ma soprattutto viene nuovamente interrogato – e questa volta ci stupiamo – dal procuratore generale di Palermo, dottor Scarpinato, a settembre 2014. In quella sede Avola dice una cosa che lo lascia un po’… Lui, infatti, cerca di riprendere il discorso. C’era il processo in appello Mori-Obinu, non la Trattativa, l’altro processo. Lui disse: probabilmente lo dovremo sentire, perché lui è stato sentito a luglio nella trattativa. Avola dice: «guardi, dottore, parliamoci chiaramente, chi è venuto in Sicilia, il famoso straniero, il famoso forestiero, era un uomo importante, che mi viene presentato come uomo d’onore da Aldo Ercolano ed è il soggetto con cui abbiamo fatto tutta una serie… Peraltro, questo soggetto quando è venuto ci chiese di eliminare, per conto di cosa nostra americana, ma forse non solo cosa nostra americana, siamo a febbraio 1992, il governatore Mario Cuomo Pag. 20che doveva venire in Sicilia. Tant’è vero che Aldo Ercolano mi dice: “aggiustali, perché questi hanno macchine particolari, non sono come quelle italiane”». Insomma, lui si doveva occupare della presenza dei cecchini, di queste cose. Sta di fatto che fortunatamente viene fuori, secondo Avola da parte di Marcello D’Agata, che faceva il confidente al dottore Manganelli, e il governatore Cuomo viene in Italia, ma non viene in Sicilia. Quindi, questo fatto lo racconta al dottor Scarpinato, perché ovviamente, anche ai miei occhi e anche agli occhi di Avola, era visto come un soggetto pulito, che voleva fare pulizia su queste cose.
  Sta di fatto che, dopo questa vicenda, dopo tre anni Avola viene richiamato dalla procura di Caltanissetta e Avola, giustamente, per coerenza non può non dire cose che ha già verbalizzato e che immaginiamo siano state mandate a Caltanissetta. Dice: guardate che questa persona è una persona espertissima – qua è importante specificare queste cose proprio con riferimento al discorso di Rampulla – ma questa persona è esperta non di esplosivi, perché c’ero già io come esperto, avendo riempito Catania di bombe, alla Renault, alla Mercedes. Sono condannato per un sacco di bombe che ho messo. Ma sia a me, che a Rampulla e ad altre persone – poi vedremo chi – lui ci ha dato una dritta importantissima, che non è tanto l’esplosione a distanza, ma l’utilizzo dei congegni elettronici a distanza. Infatti, i congegni elettronici – lo vedremo quando si parlerà della strage di via D’Amelio – non sono i soliti congegni elettronici. Sono quelli che hanno le pile incorporate. Ne erano arrivati quattro, di questi, quando hanno organizzato la strage sia di Capaci, ma soprattutto di via D’Amelio.
  Che cosa dice? Questa persona è così brava che ci dice: «State attenti. Voi, quando montate queste cose, dovete farle tutte in bassa frequenza. Per la trasmittente, fate intervenire un Pag. 21tecnico che sa fare questo lavoro per portarla come frequenza…». Non so spiegarlo precisamente. Comunque, dice, una frequenza molto bassa, in modo tale che, se c’è qualche cancello che si apre, l’allarme di una banca o altro, il contatto non viene interrotto o, comunque, è difficile che ci possano essere interferenze. Racconta tutte queste cose.
  In quell’interrogatorio, Maurizio Avola non dice che il forestiero partecipa alla strage di Capaci. Non dice che il forestiero prende il posto di Rampulla. Maurizio Avola dice: «Ricordo che Aldo Ercolano mi disse che, rispetto al forestiero» che sarebbe lo straniero «Rampulla non era niente». Volendo, cioè, significare che avesse molte meno competenze del forestiero in fatto di esplosivo. Dice questo anche riguardo a quella che è la sua grande esperienza in campo di esplosivi.
  Tant’è vero che lui dice che i due telecomandi o i telecomandi mandati a Palermo… È un fatto pacifico che i telecomandi partono da Catania. Dice che questo lavoro lo ha fatto un certo Alberto Torre, che era un tecnico molto bravo sulle frequenze. Fa identificare anche il posto… Magari non sapeva niente, sicuramente, però è lui che fa questa cosa. I dispositivi di Capaci e di via D’Amelio, e non solo quelli, vengono mandati dai catanesi con questo lavoro già fatto sulla frequenza. Ora vediamo perché. Limitiamoci, per adesso, al discorso di Rampulla.
  Nel verbale del 2017, quindi, Avola non dice assolutamente l’americano, John… L’uomo d’onore che gli viene presentato. Sottolinea anche un’altra cosa: «Me lo presenta Ercolano». Ercolano, per sapere che lui è un uomo d’onore, vuol dire che è venuto un altro uomo d’onore per presentarglielo, sennò non si poteva presentare come uomo d’onore. Cosa fa? Non esclude Rampulla. Tanto è vero che il 23 gennaio, quando il dottor Bertone lo risente, sempre su istanza sua, e ho depositato anche Pag. 22il relativo verbale, 23 gennaio 2019, Maurizio Avola cosa dice? Dice: «Io non ho preso parte alla strage di Capaci». Dopo l’addestramento fanno tutta una serie di attività, delle prove sul lungomare di Catania, anche con altre persone di cui magari poi vi dirò. Dice: «Io non ho preso parte alla strage di Capaci perché al mio posto andò Rampulla. Non partecipai su indicazione del D’Agata, che mi disse di dover fare delle cose più importanti, in particolare nelle stragi del continente». Tant’è vero che lui poi parte a maggio, prima delle stragi, per fare dei sopralluoghi a Firenze. Le stragi, anche quelle del continente, sono programmate non nel 1992, ma già nel 1991, perché l’obiettivo delle stragi era quello di destabilizzare lo Stato. Lo Stato inteso come soggetti che comandavano in quel momento storico il nostro Paese. Quindi, Avola già il 23 gennaio 2019 riconferma quanto detto prima: «Andò al posto mio o, comunque, in quota catanese Pietro Rampulla».
  Ancora di più. Sempre nel 2019 c’è il processo «Capaci-bis», dove Avola viene risentito. Gli avvocati cominciano a domandare… Ho riportato l’integrale nella pennetta e lo stralcio nel cartaceo. «Perché lei non ci è andato?»; «È stato tutto dirottato verso un uomo di don Ciccio La Rocca» sarebbe il capofamiglia di Caltagirone «Rampulla, che ne capiva anche lui di esplosivo». Parliamo sempre di esplosivo, non di tecniche che, abbiamo visto, Rampulla stesso apprende. «Le venne presentato questo tizio?» che sarebbe l’americano; «Sì, mi viene presentato. Doveva addestrare altri soggetti»; «Pure quelli della strage?»; «Sì»; «Perfetto. Rampulla, rispetto a questo forestiero, aveva le stesse competenze?». L’avvocato cerca di far cadere in contraddizione. «Rampulla, per quello che so io, con l’esplosivo ci sapeva fare». Quindi, dà anche una valutazione ottima di Rampulla. Siamo già nel 2019. «Allora che c’entra il forestiero?»; «No, il forestiero ha portato una tecnica nuova, Pag. 23così, elettronici, li ha portati nel senso come usarli. Poi la roba è arrivata a noi altri dall’ex Jugoslavia. Non ce l’ha portata lui dall’America». Poi un’altra domanda su Rampulla. Il presidente, a questo punto, lo interrompe e dice: «Avvocato, ci spieghi bene queste cose che vuole…». Capisce, il presidente, che questo difensore voleva cercare di fare quello che poi Avola ha fatto qua davanti a voi. Dice: «Ma “all’altezza” che vuol dire? In che senso? Avvocato, “non era all’altezza” in che senso?». Avola interviene sul presidente e dice: «Questioni tecniche». Dice: «No, risponda lei»; «Per quello che ne so io» dice Avola «Rampulla già da ragazzo era nero. Metteva bombe ed era di estrema, estrema, estrema destra». Cosa volete più? Avola nel 2019 non solo conferma quello che ha detto prima, ma riconferma che il soggetto esperto di esplosivi era di destra. Non di «estrema», ma «estrema, estrema». Come si fa a venire qua, in un consesso così autorevole, e dire che Maurizio Avola ha ritrattato su Rampulla? È una cosa che, effettivamente, mi ha sbalordito. A meno che, probabilmente, confidando che queste cose non saranno mai approfondite, solo sulla parola egli deve essere sentito, deve essere creduto.
  Vi è di più. I detonatori. Parliamo ancora della strage di Capaci. Giovanni Brusca, che non l’ha detto all’inizio… Ovviamente, ci sono tutta una serie di chiarificazioni tra Avola, ma non solo Avola. Alla fine, Brusca stesso dice: «I telecomandi chi ve li ha portati?». Santino Di Matteo per un periodo di tempo non aveva più parlato per il fatto del figlio. Alla fine, dice: «Guardate che i telecomandi arrivano da Catania, sia per Capaci sia per via D’Amelio. Tant’è vero che quello di via D’Amelio gliel’ho dato io a Graviano». Sono sempre gli stessi. Anzi, arrivano pure quelli per il dottor Piero Grasso da Catania. Lo dice Gioacchino la Barbera. «Questi telecomandi da dove sono arrivati?» domandano a Brusca nel 2001. Dice: «In realtà, Pag. 24io non l’ho mai detta questa cosa, me li ha portati Giuseppe Gullotti da Barcellona». Ma Giuseppe Gullotti a chi fa riferimento, se non ai catanesi? Gullotti dice che ha portato il telecomando. Non dice chi lo aveva tarato a Catania. Come dice Avola, sarebbe potuto succedere… Non è che si andava con una certa velocità a Catania. Ci si andava una volta a settimana, magari a fare gli incontri. Dice: «Sarà potuto capitare a Eugenio Galea, che c’era Gullotti che faceva la riunione e diceva: “Tu vai a Palermo la prossima settimana?”; “Sì”; “Porta questi telecomandi”». Tant’è vero che Brusca dice: «No, me li ha fatti pervenire Rampulla tramite Gullotti». In realtà, non lo sa Brusca, ma è Galea che si occupa di questa cosa qua, oltre a Rampulla, ovviamente, che è quello che poi ci lavora quando li assembla, che è un lavoro che poi Avola specifica molto bene, perché lui fa quella di via D’Amelio assieme a un altro esperto palermitano, Renzino Tinnirello, e Ciccio Tagliavia, credo. Lui, comunque, uno sicuramente lo identifica.
  Quindi, è anche Brusca che dà un riscontro che questi telecomandi sono stati portati a Palermo da Pippo Gullotti. Brusca dice: «Me li fece avere Rampulla tramite Gullotti».
  Un’ultima cosa, e chiudo. È documentata la calunnia dell’avvocato Repici, anche questa calunnia, nei confronti di Avola. C’è un fatto assolutamente, secondo me, chiarissimo. Chi ce lo porta sempre? Gaspare Spatuzza, che è un collaboratore assolutamente credibile, nei limiti in cui conosce, ovviamente. Non ci dimentichiamo che Spatuzza nel 1992 non è uomo d’onore. Spatuzza ha dei limiti di conoscenza in quella fase.
  Pagina 1067 della sentenza «Borsellino-quater». Non ve l’ho neanche portata in supporto informatico perché immagino che voi ce l’abbiate in tante copie. Sentenza «Borsellino-quater», pagina 1067, il dottor Luciani, che è il pubblico ministero di quel processo, chiede a Spatuzza: «Per quella che è la sua Pag. 25esperienza, innanzitutto, se c’è una persona che con voi ha collaborato…». Perché Spatuzza dice: «Io nelle stragi del 1991 non ho fatto nulla», tranne le cose che ha raccontato, a livello di innesco di esplosivo, ma ha partecipato a quelle del 1993, a cominciare da via Fauro, poi Firenze, Roma. «In particolare, faccio riferimento alle stragi del 1993» dice il pubblico ministero: «ma anche in epoca precedente per la predisposizione dei congegni elettronici, se c’era qualcuno del vostro gruppo di fuoco, che era quello un po’ deputato all’approntamento dei congegni elettronici o, comunque, dei dispositivi per gli attentati… Mi dica chi sono questi soggetti che hanno agito con lei nel 1993». Ora vedremo perché nel 1993. Spatuzza: «L’unico punto di riferimento, anzi l’unico tecnico, se possiamo così dire, di cui disponeva la famiglia, anzi, no, il mandamento di Brancaccio per noi era Salvatore Benigno, il cosiddetto “u picciriddu”. Tutte le volte che il gruppo di Brancaccio… Noi, nella questione stragista, dove è stata messa la mano da parte di Benigno, abbiamo fallito tutti gli attentati. Grazie a Dio». Tutti gli attentati fatti con la squadra Spatuzza, di questo Benigno, che era un tecnico, falliscono. Falliscono o perché non riesce l’attentato o perché non esplode. Come nel caso, per esempio, di Firenze. Hanno messo l’esplosivo dei catanesi. Ovviamente, in una stradina piccola, Spatuzza, che non era molto esperto, evidentemente, con l’esplosivo, non ha calibrato e ha fatto quel danno. O a Milano, dove non è esploso, addirittura, e poi quelli sono saltati in aria. Quando tu inneschi una cosa non la devi più toccare. Quelli hanno aperto il cofano, quelli che sono intervenuti, e sono esplosi assieme a quel povero uomo di colore che era sulla panchina.
  Dice il pubblico ministero: «Questi attentati che lei ha fatto, che poi non sono andati a buon fine» e glieli ripete: Costanzo, l’Olimpico; anche su quello dell’Olimpico hanno fatto… poi Pag. 26vediamo perché «e il fallito attentato a Contorno, che modalità di attivazione della carica prevedevano?». Spatuzza: «Azionamento a distanza»; «Quindi, con telecomando?»; «Sì»; «Cioè, le stesse modalità di via D’Amelio?» perché il processo è di via D’Amelio. Spatuzza: «Praticamente, se vuole una considerazione mia, per la mia esperienza» perché lui ha fatto le stragi, anche a livello esecutivo «su Capaci e su via D’Amelio posso dire che c’è stata un’altra mano tecnica. Sull’aspetto tecnico, possiamo dire». Spatuzza è quello che riconosce l’alta professionalità che è stata utilizzata da chi ha partecipato agli attentati di via D’Amelio e di Capaci, che non c’entra niente con quelle successive. Perché? Lo tratterò, se riusciremo, altrimenti affiderò tutto allo scritto e a quello che, tra l’altro, è stato indicato al GIP di Caltanissetta. Nel 1991… E questa è una cosa che dà un riscontro ad Avola enorme. Avola dice: «Io trovai nell’estate un’abitazione a Giardini Naxos, su indicazione di Ercolano, e trovai la casa di Paolo Aronica che era sul mare, perché là ci doveva venire Giuseppe Graviano per farsi le vacanze». Poi ci va pure Messina Denaro, perché dovevano aggiustare il processo per l’omicidio Lipari. Insomma, c’erano riunioni lì. Ho trovato anche un pied-à-terre, perché veniva con la fidanzata, Messina Denaro, mentre Graviano aveva già la sua fidanzata fissa, quindi lui stava nella sua casa. Sembra una cosa bizzarra che Avola… Andate a sentire il collaboratore di giustizia Fabio Tranchina, che dice: «Io portai, nel luglio del 1991, Graviano e stette almeno tre settimane a Giardini Naxos». Giardini Naxos – per chi non è siciliano – è una città vicino… Sarebbe la spiaggia di Taormina verso Catania. In quel posto chi ci stava? Ci stava Ciccio Tagliavia, che è un uomo di cosa nostra, un esperto, che Spatuzza riconosce quel giorno, quando lo incrocia, quando lascia la macchina, la 126, e c’era Renzino Tinnirello che, come dice Avola, era un altro «esperto come Pag. 27me». Perché lui racconta specificamente come viene montato il congegno, dicendo: «Spatuzza, quando dice che hanno portato le due batterie della macchina… Che se ne dovevano fare? Le batterie che ha comprato Spatuzza servivano per cambiare le batterie alle macchine che erano state rubate per evitare che, dopo la strage, mettevamo in moto e le macchine non partivano perché, magari, erano state rubate sei mesi prima. Noi abbiamo utilizzato dei congegni elettronici con le pile incorporate». E poi c’è tutto il discorso sull’esplosivo.
  Addirittura, Fabio Tranchina racconta che anche nel 1992 Graviano fa le vacanze a Giardini. Poi nel 1993, quando Avola non c’è, trova lui questa casa e ci va pure nel 1993. Questo per dire gli strettissimi rapporti che ci sono tra Giuseppe Graviano, cioè la famiglia di Brancaccio, Messina Denaro e Aldo Ercolano che sono i tre trentenni che scalpitavano per prendere il posto dei vecchi… dello zio uno e di altre zone gli altri due.
  Chi sta là? Ciccio Tagliavia. Rampulla, i catanesi sono addestrati in modo perfetto da questo straniero. Spatuzza dice: «Quella era un’altra mano tecnica. Là non si è sbagliato, non si sono fatti morti innocenti. Hanno fatto un lavoro eccezionale. Non Brusca, che ha tirato il telecomando, ma Rampulla, che ha calibrato… Tant’è vero che a me veniva da ridere quando Brusca diceva che non poteva fare l’attentato a Tano Grasso… A Piero Grasso». Scusate. Anche Tano Grasso in quel periodo ha avuto i suoi problemi, penso, nella zona, lui lo saprà. «A Piero Grasso perché noi ci spaventavamo di lasciare la ricevente accesa perché c’era una banca là vicino». «Ma che sta dicendo, se tu lo tari a 400 hertz, sicuro può stare pure un mese là». Tant’è vero che Rampulla l’ha lasciato per due settimane, Falcone non arrivava e poi ovviamente, senza bisogno di fare tutte quelle cose, l’attentato è perfettamente riuscito.
  C’è di più, noi abbiamo, le ho depositate nel procedimento e ho chiesto che il giudice le acquisisse, tutte le intercettazioni ambientali di Nino Gioè.
  Nino Gioè è il riscontro eccellente per Maurizio Avola, perché Nino Gioè, intercettato in una casa, che stava assieme a Gioacchino La Barbera e a un altro delinquente del palermitano, dice: «Io devo andare a Catania il giorno dopo a incontrarmi con “malpassotu” – che sarebbe Pulvirenti – e Santapaola perché ho bisogno dei fedayn catanesi – li chiama fedayn – perché dobbiamo “fare Costanzo”, perché dobbiamo fare gli attentati al nord». In effetti, il giorno dopo ci va. Perché lo sappiamo? Perché Pulvirenti collabora con la giustizia e dice: «Sono venuti Nino Gioè, Eugenio Galea e Marcello D’Agata, perché io gli ho detto che potevo “fare Costanzo” senza bisogno di esplosivo, perché, siccome c’era quello che faceva la contabilità nei torroncini Condorelli, che è una società molto importante di una zona vicino Catania, è un nostro infiltrato e quindi lui ci dà i biglietti per entrare al Parioli. Potete entrare direttamente e si può fare addirittura con l’arma corta». Dicono di no, perché loro volevano Rampulla, Avola, cioè i catanesi.
  Perché Nino Gioè si deve rivolgere ai catanesi? Non avevano Tagliavia e non avevano Tinnirello? Tagliavia venne arrestato e Tinnirello, come dice Spatuzza, gli stanno mettendo la corda al collo, perché dopo l’attentato di via D’Amelio aveva utilizzato la lingua impropriamente dicendo «Pietro Aglieri sa certe cose». Giuseppe Graviano dice: «Io lo ammazzo ora, così impara». Comunque, certamente, gli dice Gaspare, «tu a Tinnirello non lo devi più chiamare per queste cose». Cosa fa Gaspare Spatuzza? Se ne va dall’esperto Salvatore Benigno, che esperto non era, perché tutti gli attentati gli sono veramente… Sembrava un Pag. 29circo non una squadra di mafiosi attrezzata per fare quelle cose lì.
  Comunque, sta di fatto che Nino Gioè tutte queste intercettazioni sono state… Perché non le ho potute avere? Per il solito problema, perché si deve avallare che Nino Gioè è stato ucciso dai servizi segreti in carcere. In realtà la verità è molto più banale. Perché non è vero? Perché Nino Gioè quando va in carcere e fa i colloqui, perché li fa, lo dice anche gente che stava all’interno dell’associazione, io segnalo questo al GIP di Caltanissetta e mi auguro che la procura ci consegni tutte le intercettazioni di Gioè…
  Il problema qual è? Siccome si parla già dell’attentato a Costanzo, la procura ritarda nell’arresto di Nino Gioè. Non si dicono delle cose che potevano effettivamente venir fuori. È un po’ imbarazzante, certamente non con l’intenzione… Lo fermano dopo una certa data. Che cosa fanno? Fanno i colloqui investigativi e gli dicono: «Senti, Gioè, ti devi pentire, perché ormai ci sono tutte le intercettazioni in cui tu dici che vai a Catania, che devi prenderti i fedayn, che si devono fare questi attentati. Tu o collabori o sei finito».
  A seguito di quelle cose, fa due cose prima di suicidarsi. Chiama suo fratello e gli dice: «Vai a dire a Brusca che questi hanno scoperto le intercettazioni di via Ughetti. Questi sanno tutto. Se fate qualche attentato mi rovinate perché loro sanno che io sono andato dai catanesi a fare l’attentato per Costanzo. Lo sanno perché ne abbiamo parlato con quelli che mi interrogano, che fanno i colloqui investigativi, che sono poi quelli della DIA».
  Succede che Brusca a quel punto chiama Leoluca Bagarella e gli dice: «Luca, loro hanno tutto. È venuto mio fratello Mario – Mario Brusca, che aveva avuto rapporti con il fratello di Nino Gioè –. Sospendiamo tutto perché se facciamo l’attentato…».
  Lì nasce la guerra con Bagarella: «Tu sei un miserabile – dice a Brusca – ti spaventi. Non ce ne frega niente». A quel punto Graviano prende in mano tutto con Benigno e con Spatuzza e fanno la spedizione a Roma, fallendola, ovviamente, come dice lui stesso.
  Tutto questo è perfettamente ricostruibile, senza fare voli pindarici. Ci sono delle cose, come l’evidenza dei fatti, dei verbali, delle dichiarazioni dei collaboranti, che non possono essere sovvertite.
  Questi sono i due fatti su cui l’avvocato Repici si sofferma per dire che Avola ha ritrattato. Abbiamo visto che nell’uno e nell’altro caso non è vero.
  Terza cosa. Prima di passare in segreta, l’avvocato Repici dice: «State attenti che Maurizio Avola è difeso da trent’anni, dal primo interrogatorio – ed è vero, anzi in realtà dal secondo, perché nel primo non ero io – dall’avvocato Colonna, che lo assiste da tutti questi anni». Io voglio dire subito una cosa: in realtà, non è la prima volta che mi accade o non è solo l’avvocato Repici, perché l’avvocato Repici ha una forte conventicola, come la chiamo io nei vari esposti che ho fatto. Succede che questo attacco nei miei confronti è già stato fatto il 29 aprile del 2021 da un giornalista molto gettonato in tema di antimafia, che si chiama Paolo Borrometi.
  Nell’articolo che vi produco, del 29 aprile 2021, Paolo Borrometi dice, commentando il libro di Santoro dove erano state riportate queste vicende di Avola: «Vorrei partire dalla pagina, sempre significativa, di ringraziamenti del libro. Uno su tutti il legale di Maurizio Avola, Ugo Colonna, viene ringraziato perché animato da una rara passione civile. Perché questo ringraziamento così pomposo? Ha qualche merito nelle confessioni del suo assistito Maurizio Avola? Ricordando che è sempre lui, da ventisette anni – l’articolo è del 2021, oggi siamo Pag. 31nel 2024, quindi trenta anni dal primo pentimento del killer – l’avvocato».
  Quindi, non è una chicca che l’avvocato Repici vi consegna. È già stato detto in termini assolutamente striscianti che effettivamente io avrei un ruolo nelle dichiarazioni di Avola nel percorso della sua collaborazione e soprattutto dal 2017 in poi. Ora vedremo se è così. Io perché sono legittimato a dire le cose che ora dirò? Perché, come vi ho detto, il GIP, oltre a rigettare la richiesta di archiviazione disponendo questa imponente attività di investigazione che è ancora in corso, ha disposto anche un incidente probatorio. A parte su alcune cose, ha disposto anche l’audizione di Maurizio Avola che avverrà il 7 maggio in contraddittorio tra le parti. L’udienza del 24 gennaio è avvenuta perché doveva essere dato un incarico a dei periti che dovevano fare un accertamento su Maurizio Avola.
  Il 24 gennaio l’avvocato Repici, quindi dopo che fa le deposizioni in questa sede, chiede la parola e chiede che venisse dichiarata la mia incompatibilità difensiva ai sensi dell’articolo 106, quarto comma, nel mantenere la difesa di Maurizio Avola nel processo delle stragi. Che cosa mette a sostegno di questa grave accusa nei miei confronti e quindi altrettanto infondata – perché è infondata quell’accusa – richiesta di estromissione? Il contraddittorio con le persone attrezzate, ovviamente, è meglio non averlo, meglio andare sempre dietro a una persona che dice quello che vuole, con la claque che la sostiene a livello mediatico e le persone giuste che non fanno accertare le cose. Cosa dice? Quello che vi dice in questa sede il 6 novembre: «Maurizio Avola non ha fatto solo questa cosa di via D’Amelio, ma anche il suggeritore sul discorso di Cattafi Pio Rosario, su Rampulla Pietro. C’è questa ritrattazione a metà tra revisionismo e ritrattazione». Insomma, fa il solito discorso. Io, per evitare problemi, ho portato la trascrizione di quello che dice Pag. 32l’avvocato Repici il 24 gennaio, esattamente dalla pagina 8 alla pagina 11.
  Dice una cosa di una gravità enorme, se fosse vera, perché lui sa che non è vera, anche in questo caso. Dice: «Io mi sono documentato – come nell’aula del tribunale di Caltanissetta, l’aula bunker – ho visto gli accertamenti che ha fatto la DIA e ho scoperto alcuni dati – su cui mi soffermo e su cui mi sono soffermato davanti al giudice che poi ha rigettato la richiesta dell’avvocato Repici, in cui ho trovato una dichiarazione di un tale Pietro Ruggeri che sostiene che l’avvocato Colonna era garante di un mutuo ipotecario su un’abitazione di Avola e dunque della sua famiglia. Poi vi è una ricostruzione di tutti i rapporti economici che ci sono stati tra me e Maurizio Avola, che – state attenti – non vanno datati solo nell’ultimo periodo dei tre anni, ma da almeno vent’anni». In effetti, ci sono una serie di passaggi sui quali è bene soffermarsi.
  Addirittura lui dice che dalla lettura del verbale di Ruggeri e dalla lettura dell’allegato 12 – ho depositato sia il verbale di Ruggeri sia l’allegato sugli accertamenti patrimoniali – si può desumere che lo scrivente, per circa vent’anni, a suo dire, ha sostenuto economicamente Maurizio Avola e i suoi familiari.
  «Il foraggiamento – così è stato definito dall’avvocato Repici – non può che spiegarsi e collegarsi alle dichiarazioni compiacenti e false riferite da Avola sin dal 2004 e più nel 2017». Sostanzialmente questo è il senso dell’intervento dell’avvocato Repici.
  Fa un collegamento specifico e ne evidenzia la gravità, perché nel processo a carico di Sparacio, di Lembo – si trattava di un processo in corso di celebrazione presso il tribunale di Catania che aveva visto nel 2020 l’arresto del Sostituto Procuratore nazionale antimafia Giovanni Lembo e del capo del GIP di Messina Mondello, un appartenente del ROS e altri soggetti, Pag. 33altri collaboratori di giustizia e imprenditori – dice: «È una cosa gravissima che lui, pur foraggiando Avola, perché paga, ha deposto nel processo, nel febbraio 2006, Maurizio Avola, dove l’avvocato Colonna era costituito parte civile. È un fatto gravissimo perché non è ammissibile che un avvocato spenda i propri soldi per pagare un collaboratore di giustizia per poi portarlo come testimone a suo favore».
  A parte che in quel caso Avola depone su fatti che poi vedremo non sono proprio omogenei a quella che era l’imputazione che riguardava me come parte civile. Quello che mi interessa evidenziare a questa Commissione, come ho già fatto davanti al giudice, è che il giudice non ha accolto, una volta che si instaura il contraddittorio sulle cose che ho già detto, l’istanza dell’avvocato Repici dicendo che, in effetti, il comportamento io l’avevo supportato idoneamente con alcune giustificazioni. Disse: «Tu puoi parlare della credibilità, ma non puoi dire che c’è un conflitto di interessi tra Colonna e il suo assistito o, peggio ancora, che sono indagati nello stesso progresso, perché l’avvocato Colonna non è indagato nel processo delle stragi». In merito alla calunnia tutto si è fermato perché a Roma aspettano l’esito. È Caltanissetta che sta procedendo.
  Il giudice, quindi, con una ineccepibile ordinanza, che allego, ha rigettato questa richiesta. Come è avvenuto in udienza davanti al giudice, per dimostrare la mia correttezza, proprio per il contesto delle cose che di qui a poco dovrò dire, non ho difficoltà ad indicare fatti riservati che mai avrei pensato di dover diffondere pubblicamente, cioè i rapporti professionali svolti in favore di Maurizio Avola e i suoi ristretti familiari proprio con riferimento a queste vicende. Da che cosa è dipeso questo mio interessamento che poi, tra l’altro, non è stato solo per lui? In altri casi è avvenuto anche per altri collaboranti e l’avvocato Repici lo sa perché lavorava nel mio studio in quel periodo, nel 1996, 1997 e 1998, fino al 2000.
  Il 9 marzo del 1994 – deposito anche il verbale, ovviamente – il collaboratore di giustizia Maurizio Avola inizia a riferire. Normalmente cosa succede quando si inizia a collaborare? Tutti i magistrati, specialmente all’epoca, nell’era delle bombe, che ancora non era finita, perché a marzo poi ci fu l’attentato a Contorno, dopo la collaborazione di Maurizio Avola, chiedono se ci sono attentati in corso.
  Avola dice: «Dobbiamo fare l’attacco alla Celere, dove c’era il collaboratore Samperi. Poi devo dire una cosa. Per Tizio magistrato si è preparato qualcosa, ma questa credo che sia sfumata. La cosa più importante e di immediata esecuzione di un omicidio è quella del dottore Vincenzo Speranza, il capo della squadra mobile di Catania». Perché si doveva uccidere il dottore Vincenzo Speranza, capo della squadra mobile di Catania? Perché nel gennaio del 1993 aveva iniziato a collaborare un altro uomo d’onore che si chiamava Claudio Severino Samperi. Io posso dirvi questo. Io mi occupo dei collaboratori di giustizia dal 1991, quindi conosco tutto. Ancora non c’era l’alto commissario. Ancora non c’era nemmeno il servizio centrale di protezione. A quell’epoca le protezioni iniziavano in forma un po’ casereccia.
  Il dottor Speranza si era interessato per fare i trasporti dei mobili di Samperi, della macchina a Roma, raccoglieva i soldi dei crediti che c’erano, perché lui era un fioraio e aveva bisogno… Viene a sapere questo fatto Aldo Ercolano, e dice: «Il dottor Speranza deve morire, perché lui “voli fari u sbirru” e raccogliere i soldi per Claudio Samperi». Scusate se parlo in siciliano, ma traduco quello che Maurizio Avola… Purtroppo, non ci sono le registrazioni di quel periodo, perché ancora non Pag. 35c’era l’obbligo della registrazione, come c’è ora o come c’è stata dalla fine del 1994.
  Succede questa cosa. Il dottor Speranza dice: «Si è pentito Avola. Avvocato, io non so come fare». Andiamo dal procuratore capo, il dottore – credo – Busacca, che dice: «Guardi, avvocato. C’è una legge, l’articolo 12 della legge n. 82/91, che sarebbe la vecchia legge sui collaboratori di giustizia. Lei può fare il procuratore speciale, con l’articolo 12, di Avola. Ha problemi?». Ho detto: «Tanto non sanno che sono io, per adesso. Non ho nessun problema». Quindi cosa faccio? Mi occupo del trasferimento della macchina di Avola. Mi occupo della vendita dei beni mobili di Avola e della vendita dei beni immobili di Avola. Addirittura, del padre di Avola. Alcune cose Avola le aveva sequestrate e altre no. Nel luglio del 1995 vendo per circa 200 milioni… Perché Avola stava in una zona residenziale di Catania, in via Medea n. 3. C’è il contratto di vendita in cui io sono procuratore speciale di Avola Carmelo, il padre di Avola. È chiaro, quindi. Prendo i soldi, li destino in un conto corrente che poi faccio avere alla Banca Commerciale dove Avola investe questi soldi. Questo, tra l’altro, è tutto tracciato. Avola nel 1997 fa le rapine. La procura di Roma sequestra… E poi si rende conto, tracciando quei soldi, che non erano il provento della rapina e li restituisce, assieme a tante altre cose. Non c’è difficoltà nel rintracciare queste cose.
  La cosa che mi importa è questa: io partecipo all’atto e riferisco al giudice che vi sono anche altre cose. Il padre di Avola vende due case a Catania. Vende anche la villa. Il padre di Avola era un grosso ristoratore a Catania negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. Insomma, un soggetto che aveva molta disponibilità e non faceva parte di nessun gruppo mafioso. La famiglia di Avola è assolutamente una famiglia pulitissima. Pag. 36Nessuno dei suoi familiari… Era un po’ come quella di Marcello D’Agata, se vogliamo.
  Quindi, cosa fa? Vende la villa dove venne trovato, poi, il fucile per l’omicidio Scopelliti. Quando i rapporti con la moglie diventano un po’ difficili, viene un po’ abbandonato dalla famiglia, dalla moglie, il padre di Avola dice: «Avvocato, mi faccia una cortesia. Con questi soldi della casa, quando mio figlio sarà scarcerato, siccome lui sa fare il pasticciere, voglio che lei si interessi per comprargli un’attività, più che altro per l’affitto, per comprare la macchina per fare il gelato, per fare i pasticcini, per fare i cornetti la mattina. Così lui, con i suoi figli, si può sistemare». Ho detto: «Signore, non c’è nessun problema». Tra l’altro, voglio sottolineare, e deposito anche l’atto relativo, che Avola nel 2007 – Avola viene condannato per una sfilza enorme di omicidi – viene interdetto dai pubblici uffici. È una pena accessoria. Lui ha l’interdizione legale. Quindi, dal 2007, sono prima tutore provvisorio, poi tutore definitivo. Il giudice… Poi viene spostato a Torino. Io sono siciliano, ma sono residente a Torino. Sostanzialmente, divengo anche il tutore di Avola. Ho depositato il frontespizio della tutela. C’è anche il mio giuramento di tutore. Fino a quando lui è stato detenuto, non ha finito di scontare la pena per quegli omicidi, sono stato il suo tutore. Sostanzialmente, riferisco… Io ero legittimato, se vogliamo, anche formalmente. Anche se io non avessi fatto il tutore formale… Lo feci solo perché venne interdetto, sennò non l’avrei neanche fatto. Avrei continuato a fare il procuratore speciale. Noi parliamo di un collaboratore di giustizia, che ha tutta una serie di problematiche collegate a fatti contingenti, anche. Certamente non può dire che io ho foraggiato. Io non ho mai messo una lira di mio. Anzi, io con Avola ho guadagnato delle cifre rilevanti, perché in quei periodi Pag. 37il servizio centrale di protezione, almeno fino al 2001, era molto generoso nel pagamento degli onorari degli avvocati.
  Dico ancora di più. L’avvocato Repici dice: «Guardate che l’avvocato Colonna gli ha cercato pure un posto di lavoro. A ben vedere, io non so nemmeno se è un lavoro fittizio, quello prende uno stipendio e lo fa stare in piedi economicamente. Questa è una cosa molto grave. Così come si intravede dagli accertamenti che lui si è intestato il contratto di affitto». Nel leggere quelle cose, dopo che lui si è letto gli atti, sono rimasto un po’ «trasecolato».
  Io faccio la richiesta di lavoro per Avola perché era stata precedentemente rigettata dal tribunale di sorveglianza di Milano. Avola ha fatto ventitré anni di carcerazione continuata. Non ha un rapporto, ha un comportamento corretto, tutti pareri favorevoli, compreso quelli della DDA. Però, giustamente, il tribunale di sorveglianza, lasciato dalla moglie, dice: «Dove mandiamo questa persona, che non ha reddito?». Tanto è vero che poi gli sarà dato un lavoro presso la Croce Rossa Italiana come permesso. La detenzione domiciliare non la possiamo dare. A quel punto, io mi attivo con un mio fraterno amico che ha una società e dico: «Senti, tu che hai il lavoro qua al nord, puoi dargli un lavoro?». Potevo farlo anche con quelli della Croce Rossa, però, ovviamente, là sapevo che avrei avuto più riservatezza. Anche con quelli della Croce Rossa Avola si è fatto apprezzare, prima facendo volontariato. Addirittura, lui aveva avuto il posto di lavoro – siccome era un bravo cuoco – all’interno del carcere con la cooperativa. Però, dice: «No, io non lo voglio questo lavoro. Che faccio? Esco dal carcere, dopo vent’anni, e torno per fare il mangiare per le guardie? Scusate, devo entrare e uscire un’altra volta? Non se ne parla». Ho detto: «Avola, c’è questa cosa qua. Se ti sai comportare, fai il guardiano in questo posto».Pag. 38
  Mandiamo al tribunale di sorveglianza tutte le attività. Ovviamente, anche questo è tutto documentato, comprese le richieste che sono state fatte. È tutto documentato nella pennetta e nel cartaceo. Aggiungo una cosa. Perché dico che rimango stranito da questa frase dell’avvocato? Maurizio Avola penso sia il collaboratore di giustizia, forse anche il mafioso che ha avuto più accertamenti. Lui, il suo avvocato, la mia famiglia, la sua famiglia, i giornalisti, di tutti quelli che hanno avuto contatti con Avola venivano presi i cellulari e venivano tracciati. Avola è stato tracciato per gli anni precedenti. Avola non si è mai mosso dal posto di lavoro. Avola è libero. Lui poteva andare anche in Sicilia, poteva andare dove voleva. Avola non ha misure, non ha niente. Ha scontato tutta la sua pena. Lui è uscito per fine pena. Non ha avuto nulla da parte dello Stato. Lui è uscito per fine pena.
  Viene tracciato. Scherzando con il datore di lavoro, che è un mio grande amico, dico: «Guarda che la schiavitù è finita». Dice: «C’è solo lui. Sabato, domenica, Natale. Lui attiva e spegne le cabine di questo impianto fotovoltaico». Voi non ci crederete: dei familiari di Avola si sa nome, cognome, residenza, indirizzo. Non li hanno nemmeno oscurati. Quei soggetti avevano il diritto alla riservatezza, non che li conoscono tutti, i mafiosi, soprattutto, di Catania, dove abita. Non fanno niente perché sanno che Avola è libero. Ovviamente Ercolano non si sognerebbe mai di di ammazzare un figlio di Avola, perché lo denuncerebbe sicuramente subito.
  Il problema è un altro. Il problema è che non hanno neanche oscurato queste cose e hanno tracciato perfettamente gli spostamenti di Avola: Castelfranco Emilia luogo di lavoro; Bologna luogo dove dorme. «Sì, ma Colonna gli ha fatto l’affitto». Il 10 gennaio 2021 non ne potevo più di questa situazione. Mi sono ricordato di Speranza. Ora la mafia dice: «Colonna gli dà Pag. 39questo appoggio. Spariamogli». Io non penso, perché cosa nostra oggi non uccide più. Oggi la cosa nostra che comanda non è neanche investigata. Però c’è sempre questa residua preoccupazione. Quindi, cosa ho detto? Ho scritto il 10 gennaio 2021 al Procuratore nazionale antimafia, dottor Cafiero de Raho. Scrivo dieci pagine di segnalazioni, in cui dico: «Guardate che Avola deve andare a deporre, deve fare queste cose, ha un sistema di mimetizzazione…». Intendiamoci: Avola non vuole protezione, non vuole nulla. Lo ha già detto in più verbali: «Io voglio vivere del mio lavoro. Se non lavoro, la mia vita finisce. Non voglio più avere…». Il 7 maggio 2024 andrà all’udienza nell’aula bunker di Caltanissetta con il treno fino a Catania e con l’autobus da Catania a Caltanissetta, per parlare sulle stragi. Non lo so. Neanche Scarantino, quando è venuto a deporre l’ultima volta… Avola, a spese sue.
  Io scrivo al Procuratore nazionale: «Vedete che c’è questo sistema di mimetizzazione casereccio, che gli sto facendo io grazie all’amico mio». Glielo scrivo e mi sento dire dall’avvocato Repici quelle cose, queste infamità. Mi si dice pure che, siccome lo foraggio – falso – collega il fatto che lo foraggio al fatto che lui dica cose false, senza dimostrare se quelle cose sono vere o false.
  Il punto della vicenda è proprio questo. Io ci sto andando di dietro, però dovremo affrontarla prima o dopo, no?
  Mando tutta questa documentazione al Procuratore nazionale. Posso dire che l’acqua sul marmo, credo, avrà trovato più difficoltà a scivolare rispetto a quello. Non mi ha nemmeno chiamato. Niente. Va bene.
  Voi avete le richieste di archiviazione della procura di Caltanissetta. In nessuna sede si dice che Avola è stato sollecitato a dire queste cose. Pagina 47 della richiesta di archiviazione: «L’analisi complessiva delle dichiarazioni rese da MaurizioPag. 40Avola fa ritenere assai probabile che le stesse, oltre a essere certamente non veritiere, possano essere eterodirette da parte di soggetti» quindi, ritiene probabile «non identificati, sulla scorta delle indagini in corso, interessati a porre l’ennesimo depistaggio in relazione agli accertamenti della verità dei fatti sulla strage di via D’Amelio». Si conclude, a pagina 50: «Le dichiarazioni di Avola sembrano dettate dalla volontà di disinnescare possibili piste» ora vediamo se è la pista di Avola ad essere più strutturata a livello probatorio o è quella che la claque sostanzialmente sostiene. Dice: «Tuttavia, ciò che le pur articolate attività…». «Pur articolate». Ci hanno, praticamente, fatto dei controlli… Non ho mai visto controlli così, e faccio processi da trent’anni di questo tipo, di mafia. «Le pur articolate attività di indagine svolte non hanno consentito di accertare se e in che misura dette dichiarazioni siano state eterodirette». Noi abbiamo un provvedimento negativo per Avola, il massimo della procura, che non arriva a dire quello che dice l’avvocato Repici, che ci mette di suo prima, a proposito delle cose… Ma anche con il fatto che, dall’alto delle sue conoscenze viene qua e vi dice che ha scoperto che io gli garantisco il mutuo, che io gli faccio il contratto d’affitto, che gli trovo il lavoro.
  Sostanzialmente, oltre a respingere in toto queste accuse false che mi vengono rivolte, io voglio aggiungere una cosa. Il 24 gennaio 2024, presso il giudice del tribunale di Caltanissetta, l’avvocato Repici non si arresta e dice: «La direzione delle dichiarazioni di Avola è palese e, quel che è grave, coincide con i desiderata dell’avvocato Ugo Colonna, come risulta dalle intercettazioni e perfino dai suoi atti. Perché dico questo? Perché c’è una conversazione intercettata, che è in atti e che lei sicuramente conosce» si sta rivolgendo al giudice «in cui nel 2001», ma sbaglia, nel 2022 «l’avvocato Colonna si fa protagonistaPag. 41di asperrime critiche nei confronti dell’allora procuratore generale di Palermo, titolare del fascicolo sul duplice omicidio Castelluccio-Agostino, fascicolo che, grazie a quel procuratore, è arrivato nel giudizio abbreviato a una doppia conforme di condanna all’ergastolo per Nino Madonia ed è a dibattimento per il coimputato in giudizio ordinario Gaetano Scotto. Le contestazioni che vengono fatte a quel procuratore generale è che nelle indagini sull’omicidio Agostino ha tirato di nuovo fuori i servizi, cosa che viene fatta oggetto di contestazione. Come vede, anche qui, in assoluta coerenza con il percorso dichiarativo di Maurizio Avola». Io dico che queste affermazioni sono un concentrato di falsità senza pari.
  «Non vi è, nel processo di Caltanissetta, alcuna conversazione e se c’è me la esibisca, con il mio assistito captata sull’utenza telefonica, anche attraverso il virus informatico». Io, a differenza dell’avvocato Repici che cerca di nascondere sotto il tappeto tutta l’immondizia che ha dentro, quando ho saputo che era stato intercettato con il virus il mio cliente, con il virus informatico… Avola sta a Bologna, io sto a Torino o vengo a Roma. Tutte le volte che ci incontravamo, lui aveva il virus, che sarebbe il trojan. Tutti i miei colloqui con lui vengono intercettati. Ho detto: «Guardate di trascrivere tutto, perché potrete vedere dal 2020 a ottobre 2022, che io con Avola mi sono sempre comportato…». Per carità, questo lo dice la DIA, quando c’è la mia prima archiviazione per concorso esterno in associazione mafiosa. Dice: «In realtà, il rapporto con l’avvocato Colonna si è sempre mantenuto all’interno di un corretto rapporto professionale». Sostanzialmente cosa dice lui? Non c’è alcuna conversazione con il mio assistito captata sull’utenza telefonica, attraverso il virus e io chiedo: trascriviamo tutto così vediamo tutte le cose che io dico al mio cliente. In nessuna di Pag. 42queste vi è una mia sollecitazione a riferire quanto a sua conoscenza su personaggi dei servizi segreti.
  Vi ricordo che è Avola nel 1994 a parlare dei servizi…

  PRESIDENTE. Chiedo scusa, avvocato, se la interrompo. Siccome sono le 13.05 e io ci tengo particolarmente che la Commissione sia sul tema per cui stiamo facendo questa audizione, la richiamo ai tempi e ai modi.
  Capisco che ha ricevuto delle accuse e vuole rispondere, però noi siamo interessati a quello che riguarda via D’Amelio. Altrimenti rischiamo di trasformare la Commissione in una cosa che non è.

  UGO COLONNA. Chiedo scusa.
  Vado avanti sul discorso delle asperrime critiche rivolte al dottor Scarpinato, perché questo è tema, invece, dell’audizione. Io non parlo con il mio cliente del dottor Scarpinato che rispetto sia come magistrato sia come parlamentare. Cos’era successo? Nell’ambito dell’indagine su via D’Amelio avevo inviato una richiesta di attività istruttoria alla DDA di Caltanissetta, perché il 19 luglio del 2021 il dottor Scarpinato, durante la commemorazione della strage di via D’Amelio, in via D’Amelio aveva detto delle cose molto gravi su Avola. Riferisce che le dichiarazioni di Avola sono state sollecitate da terzi e ha aggiunto che il dottor Borsellino doveva essere ucciso in tutta fretta per evitare che si recasse a Caltanissetta e riferisse le sue conoscenze sui mandanti esterni e sul piano di destabilizzazione politica che era alla base delle stragi e sul ruolo dei servizi segreti.
  È il dottor Scarpinato che riferisce delle cose molto gravi. Cosa dico, da avvocato? Non personalizzo, signor presidente. Faccio una memoria e chiedo una serie di accertamenti. Era passato più di un anno e mezzo e certi accertamenti non venivano fatti.Pag. 43
  Dico: «Abbiamo una fonte che è il dottor Scarpinato, che sa che Avola è stato eterodiretto e per giunta sa su questo piano i mandanti esterni. Lo vogliamo sentire e vediamo se, rispetto a quello che dice Avola c’è una divergenza?».
  Il dottor Scarpinato, a differenza di Avola, non parla per conoscenza diretta, perché Avola partecipa, ma perché da magistrato conosce quei fatti. Non solo, dice una cosa grave: «Il dottore Borsellino non è stato sentito a Caltanissetta e poi l’hanno ucciso e non ha potuto dire queste cose». Mi auguro che non succeda, però una fonte così importante come il dottor Scarpinato, prima che poi si dica che non è potuto andare a Caltanissetta, lo sentite per favore? Anche qua, rispetto a questa richiesta, acqua sul marmo.
  Io metto a disposizione sia la memoria sia l’articolo di stampa dove il dottor Scarpinato dice queste cose, perché non voglio essere tacciato di nulla. Richiedo l’audizione del dottor Roberto Scarpinato per chiarire i dati a sua conoscenza in forza dei quali sostiene che Maurizio Avola è stato mandato a rendere accuse calunniose e depistanti per favorire i mandanti esterni della strage di via D’Amelio, soggetti non appartenenti a cosa nostra che avrebbero dato mandato a Salvatore Riina. Chiedo che venisse sentito dalla procura di Caltanissetta. Ovviamente, tutto ciò non è avvenuto. Si rinnovano queste accuse contro Avola. A un certo punto io parlo non con Avola, ma con un giornalista de Il Fatto Quotidiano, Giuseppe Giustolisi. Faccio nome e cognome. Non dico, però, che il dottor Scarpinato parla dei servizi e quindi io mando questa richiesta. Io faccio un’istanza scritta, da avvocato, nessuno mi può dire niente, se è fondata. Faccio questa interlocuzione e gli dico: «È normale che la procura di Caltanissetta non senta il dottor Scarpinato?». Commento nell’occasione e riassumo a Giuseppe Giustolisi quali sono i dati, verificabilissimi, che dice Avola. Lui Pag. 44indica un box all’interno del garage di via Villasevaglios che è diverso da quello che dice Spatuzza. Lo indica, lo descrive internamente, se ci sono mattonelle, descrive se è ad ante come quello che dice Spatuzza oppure dice che ha la saracinesca. Intendiamoci, lo dice prima di fare il sopralluogo, fa una descrizione molto precisa. Sentiamo il proprietario del garage. Gli si dice: «Tu nel 1992 hai parcheggiato, la sera del 18 luglio, la macchina?». Prendi Avola e lo metti in galera. Oppure: «Aveva le mattonelle, sì o no? Aveva delle ante, come identifica Spatuzza, la saracinesca nel 1992?». Sono accertamenti che vanno fatti. Non puoi dire che Avola è un fasullo. Poi capiamo quando depositano: «In effetti, là c’era un garage, come diceva Avola, però forse lui l’ha visto in qualche filmato». Si vedono tutti i filmati, un lavoro bestiale. Non c’è questo filmato. «Sì, però ce n’era un altro, dove Spatuzza, quindi lui avrà visto…». Ma se lo sentiamo? Poi, era un ufficiale marittimo, quindi era facilissimo. Secondo voi, cosa ha fatto il giudice? Il giudice ha detto al pubblico ministero: «La prima cosa che devi fare è sentirlo. Vediamo ora se non è stato già sentito prima». La scarantinizzazione ci ha insegnato tante cose.
  Vediamo chi è dalla parte di Scarantino e chi non lo è. C’è il discorso dell’esplosivo del T4. Maurizio Avola dice: «Il T4 che ho portato – lo dice nel 1994, nell’interlocuzione anche con Tinebra, con Tescaroli e con Giordano – era tipo pongo, rimaneva sulla mano. Questo T4 l’abbiamo lasciato a Termini Imerese. Lo hanno preso delle persone di un gruppo palermitano». Spatuzza conferma che è arrivato esplosivo da Catania. E lo conferma non tanto per le due stragi, perché lui è tenuto fuori da entrambi, anche se è partecipe, ma perché dice «io partecipo a Firenze».
  In merito all’esplosivo fatto da quei proiettili disinnescati in mare, da quel tritolo macinato, disse: «Abbiamo messo all’internoPag. 45di quei parmigiani questo esplosivo che veniva da Catania, che era un’esplosione particolarmente micidiale» che è quello che dice Avola. E lo descrive. Com’era questo dispositivo? A forma di salsicciotti. È la descrizione che Avola fa nel 1996. Sostanzialmente Avola dà un riscontro sull’esplosivo importantissimo. Non solo. Dice un’altra cosa: «Vedete che qualche salsicciotto noi l’abbiamo messo alla villa di Pippo Baudo». L’attentato alla villa di Pippo Baudo risale a novembre del 1991.
  Se si vanno a vedere le perizie, si vede il T4 nella strage di Firenze. Avola dice: «Quello che abbiamo utilizzato è quasi 60 chili o 45 chili di quello che io avevo portato e abbiamo solo dieci saponette di tritolo», perché in base alla sua esperienza andava sempre messo il tritolo. Lui racconta pure come lo mette per fare andare l’esplosivo in questa direzione e non solo verso l’alto. Tinnirello e l’altro si occupano di metterlo nel cofano della 126, davanti. Lui lo mette sotto il sedile.
  Io commento con Giuseppe Giustolisi fatti che sono già emersi. Siamo nel 2022, non nel 2021, quando questi atti la procura ha ritenuto autonomamente di depositarli in un processo, che è quello dei mandanti, quello del depistaggio dove c’erano i poliziotti.
  Commento con lui e nell’occasione dico la mia su Scarpinato. Cosa dico? Che è una cosa veramente strana. Scarpinato sa benissimo tutto. Nei sistemi criminali parla di Avola come se fosse suo fratello. Dice: «Avola ci ha detto questo e ci ha detto quest’altro».
  Con Avola va in contrasto su una cosa sola, sull’attentato a Di Pietro. Avola dice che Santapaola non lo voleva fare, poi dice: «Va bene, facciamoglielo questo favore». Questa riunione è a settembre. Scarpinato e Ingroia per la verità dicono: «stautru favuri eni a stragi». Nella strage non c’entrano queste persone. La strage viene fatta per altri fatti. No, invece per forza ci deve Pag. 46essere Dell’Utri, ci doveva essere sempre questa discussione. Avola non ha mai fatto il pupo a nessuno: «Io questa cosa non la dico. È una cosa che non voglio dire». Non ora, ma all’epoca.
  C’è questa richiesta di archiviazione. Il famoso «stautru favuri» . Questo lo posso dire anche oggi, perché intercettando me e Avola con il trojan, lui mi ha detto: «Che faccio, gli racconto la storia di De Pedis?». Avola, con Ercolano e con altre persone di Roma, ha ammazzato Renato De Pedis nel 1991, per vicende che ovviamente non c’entrano con le stragi. «Come glielo diciamo se già non ti crede nessuno?». «Gli devo dire pure l’altro omicidio fatto all’Eur». «Maurizio, non ti dico, come dice mia moglie per le intercettazioni, di metterti una pezza nella bocca, però certamente…». «Io non parlo manco più sotto tortura, perché se già non mi credono…».
  C’è nelle intercettazioni con il trojan. Per questo avevo chiesto, perché ormai lo sanno cani e porci quello che sa Avola. Ovviamente Ercolano sa le cose che Avola conosce e non sono solo queste. Ci sono altri fatti molto gravi avvenuti anche non nel nostro Stato, commessi sempre da cosa nostra.
  Sostanzialmente io dico: «Il dottor Scarpinato, il senatore Scarpinato come fa a parlare male di Avola se poi, per giunta, nel 2014, anni e anni prima, gli va a raccontare la vicenda di New York?». Gli dice: «Guardate che lo straniero ci ha chiesto di “fare” Mario Cuomo». Mario Cuomo era un governatore importantissimo. Dovevano «farlo» perché, diciamocelo chiaramente, e questo riguarda il lavoro della Commissione, le stragi nascono nel 1991 e nascono perché D’Agata, D’Avola, Ercolano, Nitto Santapaola che non le vuole, ma poi le deve accettare perché l’ordine costituito dice in quel modo e quindi…
  Riina pensava di prendere più bottino facendole lui. Non capisce quello che gli dice Santapaola: «Totò, tu ci consumi a tutti in questo modo». Però, Santapaola, come Riina, è un re, Pag. 47è capo provincia. Quelli sottoposti a Riina, i capi mandamento, non sono come Santapaola, sono inferiori. Riina non lo dice a tutti all’interno. Dice: «Me la vedo io».
  Riina si riunisce con altre persone più in alto in cosa nostra. Qua sembra che cosa nostra è vista come una specie di Gladio, un esecutore materiale. Cosa nostra è un gruppo di killer che al bisogno chiedono soldi e fanno gli omicidi.
  Cosa nostra è cosa nostra. È unica al mondo. Cosa nostra comanda ancora, anche se oggi posso dire anche i fatti, ma questo non riguarda via D’Amelio, però posso dirli perché alla fine, se lo riterrete, voglio dire delle cose sull’avvocato Repici e su alcuni dei soggetti che gli stanno vicino. Succede che nella strage di via D’Amelio, a proposito di Cuomo, lui racconta fatti al dottor Scarpinato. Il dottor Scarpinato sa qual è la provenienza a quel punto. Capisce la matrice delle stragi da dove arriva.
  Nel 1991, signori della Commissione, lo sapete meglio di me, perché voi siete politici navigati, molti di voi, si decide che il dottore Falcone era diventato pericolosissimo. A fine 1990 e poi a febbraio 1991 – Martelli due ore dopo che viene nominato lo fa venire, ma già era già stabilito perché non è che Falcone ha deciso in due ore – il dottore Falcone era diventato l’uomo punta di quel Governo. Tutta la legislazione antimafia che fa la fa perché è nel Governo Andreotti. La legislazione del dottor Falcone è un pericolo per l’intera cosa nostra, perché cosa nostra americana, i Gambino soprattutto, che avevano già sotto procedimento un elemento importantissimo, che era John Gotti, anche se mal visto…
  Anche su queste cose voglio intervenire, perché il dottor Scarpinato domandando all’avvocato Repici ci dica quali sono gli elementi che consentono di dire che ci sono mandanti esterni, però identifica alcuni e non altri.Pag. 48
  Comunque, nel 1991 non nasce solo in Italia l’obiettivo di eliminare il dottore Falcone, il dottore Borsellino e altre persone, compreso Salvo Lima, ma anche Andreotti. L’obiettivo era quello di eliminare in Italia la partitocrazia, eliminare quell’ordine costituito.
  Quindi, è chiaro che quando Maurizio Avola ti sta dicendo che sono gli americani, inteso come cosa nostra che ha delle inopinabili trasversalità, molto di più di quelle che aveva Riina o Nitto Santapaola, tant’è vero che lo straniero viene a Catania, perché a Catania ci sono i vecchi rapporti con la Philip Morris per lo sbarco delle sigarette, perché ci sono tutta una serie di rapporti dai tempi di Mattei. Ci sono una serie di collegamenti e collusioni che a un magistrato esperto come il dottor Scarpinato avrebbero dovuto far rizzare i suoi capelli e approfondire. Ancora nulla, però: trattativa, entità.
  Con il giornalista Giustolisi io interloquisco non per parlare male di Scarpinato, ma gli dico: «Come è possibile che questi hanno le fette di prosciutto sugli occhi e non si rendono conto di certe cose?». Che cosa faccio di più? Non faccio chiacchiere, perché io nell’interlocuzione telefonica con un mio amico posso dire quello che voglio, non faccio neanche diffamazione perché la diffamazione si fa quando si parla a due o più persone. Io posso esprimere quello che voglio. Non siamo ai tempi della Stasi. Possiamo esprimere quello che vogliamo, almeno in Italia, almeno questo.
  Dico di più. Dico a Giuseppe Giustolisi: guarda che c’è una cosa che è veramente… Cioè, questo parla, blatera. Il dottor Falcone che cosa ha detto al professor Leoluca Orlando Cascio quando gli disse: ci sono i processi nei cassetti? Il dottore Falcone ha detto: se Orlando sa qualcosa, faccia i nomi e i cognomi, citi i fatti, si assuma le responsabilità di quello che dice, altrimenti taccia. Io non mi posso sentire insultare in quel Pag. 49modo, se vogliamo anche non elegante. E cosa faccio dopo il 2021? Nel 2023 faccio una memoria. La faccio perché – voglio collegarmi a quella cosa del 2021 – perché nel 2023 il dottor Scarpinato anticipa sostanzialmente la richiesta di archiviazione della procura di Caltanissetta. Allora, io cosa faccio? Prendo carta e penna… Anche qua ho messo la… Anzi, no, questo già ve l’ho dato assieme alla richiesta di audizione. Vi ho dato la memoria del 3 giugno. Che cosa dico? Tra i detrattori nei pubblici ministeri di Maurizio Avola vi sono anche gli ex magistrati Antonio Ingroia e Roberto Scarpinato che pure lo hanno in più occasioni interrogato, fino al 2014. Il dottor Scarpinato lo ha sentito nella qualità di procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo. Non è una intercettazione. Questo è un atto scritto, mandato all’autorità giudiziaria competente: «Negli interrogatori con i magistrati Avola è stato sempre collaborativo e leale, consegnando loro dichiarazioni specifiche e indicazioni complete sui gravi fatti avvenuti nel periodo stragista, riferendo quanto era a sua esatta conoscenza. Ciò per cui non si è mai prestato e non ha mai acconsentito è stato l’attribuire un senso, una causale, una ragione diversa a fatti o accadimenti che secondo il suo vissuto non corrispondevano a verità». Avola ha detto quello che non si è mai… In altri termini, Avola non è mai stato il pupo di nessuno.
  Io scrivo un’altra volta alla procura di Caltanissetta: ma lo vogliamo sentire e vediamo poi se effettivamente ci nega cosa è successo nell’interrogatorio a Rebibbia? C’era anche il dottor Patronaggio quel giorno. È stato sentito dal dottor Patronaggio e dal dottor Scarpinato. Allora, a questo punto cosa dico? Il collaboratore di giustizia cosa dice? In fondo Avola che cosa fa? Banalizza le dichiarazioni sulle vicende stragiste, dice il dottor Scarpinato, facendo apparire il delitto Borsellino un regolamento di conti tra guardie e ladri. Ma come si fa a dire Pag. 50una cosa del genere? A parte che sei tu a banalizzare, perché quando io gli dico che le stragi sono state fatte da cosa nostra siciliana e soprattutto americana, perché cosa nostra è unica, e la cosa nostra americana poi, a differenza di Riina e compagni, ha ottenuto quello che doveva ottenere… Perché? Perché morendo Falcone, non ricostruendo i rapporti con il procuratore distrettuale, il processo ai Gambino non viene fatto. I Gambino non hanno preso l’omicidio. Uno dei Gambino è morto a novantanove anni, uno o due anni fa. L’altro figlio dei Gambino è ancora vivo e vegeto. Le cinque famiglie di New York sostanzialmente non hanno più avuto problemi a livello giudiziario negli Stati Uniti d’America, a New York. E New York è il centro del mondo occidentale, dove cosa nostra non è che era forte ai tempi dei sottomarini tedeschi, ha avuto un ruolo, anche su altri fatti gravi che si sono verificati, elevatissimo. Quindi, Avola dice: guardate che la causale delle stragi è molto più grave rispetto a quella banalità che voi state portando avanti, perché è vero che Riina ce l’aveva con Falcone per il maxiprocesso, ce l’aveva per questo anche Santapaola, ma Santapaola non voleva che venisse ucciso il dottor Falcone, anche se poi ha dovuto dare il suo consenso, ma è lui a banalizzare la causa delle stragi. Perché lui di che cosa parla? Di vuoti, di slogan. Fa dichiarazioni su entità, sulla presenza di servizi segreti deviati. Ma Avola non dice che non ci sono i servizi segreti deviati. Avola parla di riunioni a Sigonella prima delle stragi. Avola racconta, nelle intercettazioni, tutta una serie di accadimenti che non sto qui ad approfondire, che il presidente ovviamente mi richiama. Però, giustamente chi banalizza la ricostruzione delle stragi non è certamente Maurizio Avola, perché Maurizio Avola dà una chiave di lettura delle stragi molto più ampia e la dà anche perché vi dà dei riferimenti molto puntuali. Dice il dottor Scarpinato in questa cosa che poi io segnalo alla procura: in Pag. 51realtà smentisce Spatuzza. Ma quando mai, Avola non ha mai smentito Spatuzza.
  Il riferimento è al fatto che Avola individua una persona che non è dei servizi segreti, a differenza di quello che ha detto Spatuzza. Ma Spatuzza non dice questo. Vi riporto a pagina 1045 della sentenza, che è la versione dibattimentale. La versione iniziale di Spatuzza è che c’è una persona che lui non ha mai visto e non conosce come cosa nostra. Signori della Commissione, nel 2008, quando Spatuzza dice questa frase, apre un mondo. E apre un mondo perché si viene a sapere per la prima volta che non sono i soli palermitani ad avere eseguito la strage di via D’Amelio. Quindi, ci voleva subito una pezza. E si è detto: in cosa o chi la individuiamo, in una persona? No, mettiamoci uno dei servizi, mettiamoci uno della massoneria. Quando non si vuole scoprire una cosa… Si fanno nomi e cognomi. Chiaramente se si è in grado di individuare chi è stato. Spatuzza non è in grado di farlo, perché dice: per me era un bipede, non era un quadrupede, la persona che ho visto; è un’immagine sfocata in bianco e nero, quindi io non sono in grado di dirvi. Poi, alla fine arriva a dire questo. Siamo a pagina 1045 della sentenza. Ma non è la sentenza del 2008. Nel 2008 dice una cosa importantissima: la cosa nostra palermitana non è stata la sola ad aver fatto le stragi. Quindi, o c’è un’altra persona di cosa nostra, perché Spatuzza non è che anche dopo ha conosciuto catanesi o agrigentini… In Sicilia ci sono cinque famiglie, cinque province, Trapani, Palermo, Agrigento, Caltanissetta e Catania. Sono le cinque province della mafia siciliana, che non corrispondono alle province. In queste cinque province ogni capo è un re nel suo territorio. Poi c’è il segretario della commissione che ovviamente coordina i lavori. Ma nel mio territorio se tu decidi una cosa e io decido di non farla non la fa nessuno. Ecco il litigio tra Santapaola ed Ercolano, perché Pag. 52nel suo territorio non voleva fare stragi. Poi ha ammazzato Lizzio e poi ovviamente gli ha dovuto dare Maurizio Avola e suo nipote per fare la strage di via D’Amelio. Ma gli aveva già dato Rampulla.
  Spatuzza, nel processo «Borsellino quater» – pagina 1045 della sentenza – dice: «Se fosse stata una persona che io conoscevo sicuramente mi sarebbe rimasta qualcosa. Ma siccome c’è un’immagine così, sfocata, mi spiace tantissimo. Aggiungo di più: fino a quando non si sarà chiarito questo mistero, che per me è fondamentale, è un problema serio per quello che riguarda anche la mia sicurezza. Io sono convinto che non è una persona riconducibile a cosa nostra». Stiamo parlando noi dei ragionamenti di Spatuzza al dibattimento dopo anni dalle prime dichiarazioni. Ebbene, per me questa anomalia è inspiegabile. Continua: «C’è un flash di una sembianza umana – quindi, era una persona che aveva due gambe, due piedi, una faccia, un naso, due occhi – c’è questa immagine sfocata, c’è questo punto, questo mistero da chiarire. Ho più ragione io a vedere questo soggetto in carcere se appartiene alle istituzioni che vedendolo domani fuori».
  Come si fa a dire che Avola ha cercato mettendogli… Perché, che cosa dice Avola? Io non lo so perché quel giorno – e poi ci ha ragionato – siamo venuti da Catania, mangiamo e ci dice che la macchina era pronta, io non vado subito nel garage perché mi dovevo mettere d’accordo… Avevano fatto il briefing per la strage. Però, cosa dice Maurizio Avola? Dice: la persona aveva gli occhi di Graviano quando io… Ero io. Quindi, cosa mi dice, Graviano? Vieni con me, ci facciamo un giro, mi raccomando gira solo una volta, stai attento perché praticamente rischi di saltare pure tu. Sostanzialmente fanno un briefing personale, perché sono i due che sono nel momento topico dell’esplosione. Quindi, cosa fa Ercolano? Ercolano se ne va nel Pag. 53garage. E se ne va con chi? Con l’altro soggetto che poi partecipa materialmente, che Avola identifica in Renzino Tinnirello, che effettivamente è quello che poi Spatuzza dice che ha visto là dentro. Infatti, ci sono Renzino Tinnirello e un’altra persona. Spatuzza non se lo ricorda, non se lo può ricordare, non può individuare nessuno. Sa solo che quella persona non è un uomo di cosa nostra palermitano, di Brancaccio. Poi diventa uomo d’onore. E non è neanche uomo d’onore di… Poi conosce Messina Denaro, poi conosce altre persone. Ma non sa se è un soggetto di altre province mafiose. Quindi, come si fa a dire tout court che Avola depista perché non riscontra Spatuzza nell’uomo dei servizi? E perché deve essere un uomo dei servizi? Non può essere un soggetto della polizia o dei carabinieri? Non lo so. Ma ancora prima di tutto questo, non può essere un uomo di cosa nostra?
  Poi Avola dice: se io avessi visto uno dei servizi o della polizia, mi mettevo a fare una strage con uno che sapeva, praticamente? È una cosa che sta fuori dal mondo. Io avevo dei poliziotti e gli facevo fare omicidi, quando a Ercolano dicevo che sarei andato con Barcella a fare l’omicidio di Caltabiano lui non lo voleva neanche vedere, perché quello non poteva sapere. Quindi, che fanno, portano uno dei servizi e gli fanno conoscere Catania e Palermo?
  Diciamo un’altra cosa. Avola parla di Matteo Messina Denaro, presente il giorno della strage, che partecipa. Non l’ha detto nessuno. Ma lo dice Totò Riina nelle famose intercettazioni. Ci sono delle intercettazioni che trascrive la DIA, ma secondo me sono trascritte male. Mi viene in mente e dico: guardate, vogliamo trascriverla? Sempre Messina Denaro. Una di queste intercettazioni ci passa il piacere e viene ritrascritta. E in effetti che dice? Dice: «Io ho detto a Giuseppe – intende Graviano – di aspettare a quello dei pali della luce». Quello dei Pag. 54pali della luce è Messina Denaro, perché aveva fatto questi affari nel campo dell’eolico. Quindi, si capisce dalla trascrizione che effettivamente Messina Denaro è uno che partecipa materialmente, o meglio, vi sono degli elementi per poterlo dire. Ma vestono in questo senso Maurizio Avola nella sua ricostruzione.
  Su questo punto penso di aver ristretto molto, comunque ho un testo scritto.
  Io ritengo che sarà l’autorità giudiziaria di Caltanissetta a esprimere se ci saranno gli elementi perché, anche se Avola sarà dichiarato credibile, non è detto che ci siano gli elementi probatori tali da legittimare un rinvio a giudizio degli altri, perché è rimasto solo ad affermare queste gravi accuse. Ma certamente non si può dire che Avola abbia banalizzato la causale delle stragi, non si può dire che Avola abbia riferito fatti generici, anzi ha riferito fatti specifici, anche su accadimenti singoli, perché ha ben specificato come è stato l’armamento, quale tipo di esplosivo è stato utilizzato. Ma soprattutto Avola consente all’autorità giudiziaria di controllare tutto il discorso quantomeno con riferimento alla sua personale responsabilità.
  Vado veramente veloce, presidente.

  PRESIDENTE. Mi scusi, avvocato, sono le 13.30. Personalmente farei questa proposta. Poiché ho diversi colleghi già iscritti a parlare, proporrei di sospendere e di valutare in ufficio di presidenza l’eventuale prosieguo per le domande e per la fine della sua relazione, altrimenti non ci sto con i tempi e soprattutto rischio di non poter dare la parola ai commissari, che hanno tutto il diritto di farle le domande, visto anche quanto qui ha riferito.
  Solo per correttezza, prima di chiudere, nel ringraziarla della sua relazione, siccome è fonte libera e magari non è stato ben detto, preciso che l’articolo di Antimafia Duemila a cui fa riferimento, articolo redatto da Paolo Borrometi, è scritto sotto Pag. 55forma dubitativa. Quelle affermazioni sono domande che un giornalista, nelle sue funzioni, può fare. Lo preciso onde evitare che passi un messaggio che immagino non sia quello che lei voglia, errato.

  UGO COLONNA. Presidente, ho messo la cosa con un punto interrogativo.

  PRESIDENTE. Perfetto. La documentazione, comunque, ce la lascia.

  UGO COLONNA. Certo.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Nel rinnovare il nostro ringraziamento all’avvocato Colonna per questa parte di relazione, aggiorno la decisione sul prosieguo in ufficio di presidenza e dichiaro conclusa l’audizione.

  La seduta termina alle 13.30.

 

Strage di Via D’Amelio – In COMMISSIONE ANTIMAFIA le audizioni dei famigliari di Paolo Borsellino e testimoni