Parla di un ‘copione’ da recitare davanti ai magistrati per raccontare i retroscena, di cui non sapeva niente, sulla strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta.
Parole che gli sarebbero state “indottrinate” dai poliziotti del gruppo ‘Falcone e Borsellino’. Vincenzo Scarantino, l’ex pentito della Guadagna di Palermo torna a sedere sul banco dei testimoni al processo per il depistaggio sulle indagini per la strage del 19 luglio 1992.
Un interrogatorio fiume, condotto dal Procuratore aggiunto Gabriele Paci e dal pm Sefano Luciani, che rappresentano l’accusa nel processo che vede alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia in concorso aggravato dall’avere agevolato Cosa nostra. “Erano tutti consapevoli che io non sapevo niente. Ma dovevo portare questa croce… Mi hanno rovinato l’esistenza, io non ho mai fatto niente.
Non c’entro con le stragi. I poliziotti mi dicevano cosa dovevo dire ai magistrati e me lo facevano ripetere”, dice Scarantino, che appare ancora una volta nascosto dietro un paravento bianco sistemato all’aula bunker di Caltanissetta. “Io ero un ragazzo – dice ancora Scarantino – E se non combaciavano le cose che dovevo dire, loro mi dicevano di non preoccuparmi. Io andavo dei magistrati e ripetevo, quando ci riuscivo, quello che mi facevano studiare”. Scarantino si riferisce al periodo del 1995, quando l’ex pentito si presentò per la prima volta davanti a una corte d’assise al processo per la strage di via D’Amelio. “Ma non sempre riuscivo a spiegare ai magistrati o alla corte quello che (i poliziotti ndr) mi insegnavano. Loro mi dicevano. ‘Quando non sai una cosa basta che dici ai magistrati che devi andare in bagno, tu ti allontani e poi ci pensiamo noi.
Ti diciamo noi quello che devi dire’.
Quando andavo alle udienze dicevo che dovevo fare la pipì, andavo nella stanza e mi dicevano loro cosa dire. E io poi n aula cercavo di ripetere le cose che mi dicevano”. Secondo l’accusa, nell’estate del 1992 il gruppo investigativo denominato ‘Falcone e Borsellino’ e composto dai tre imputati, avrebbe ‘imbeccato’ Scarantino, su quello che doveva dire sulla strage Borsellino. Come ha scritto Antonio Balsamo, Presidente della Corte d’assise nissena che ha emesso la sentenza del processo Borsellino quater, “le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana” e che “soggetti inseriti negli apparati dello Stato” indussero il balordo della Guadagna, Vincenzo Scarantino, a rendere false dichiarazioni sulla strage che, cinquantasette giorni dopo la strage di Capaci.
E oggi arriva la conferma di Scarantino. “Non ce la facevo più a continuare a raccontare bugie, loro mi mettevano le cose in bocca e io le ripetevo come un pappagallo. Certe volte non riuscivo a capire, a memorizzare le parole e i poliziotti me le facevano ripetere più volte. Così telefonai a mia mamma, l’unica di cui mi fidavo, e le dissi che volevo raccontare tutta la verità, che non c’entravo niente con le stragi.
Ero una bomba pronta a esplodere…”, racconta in aula. Così nel 1995 Scarantino decise di “raccontare tutta la verità ai magistrati”, cioè di avere detto fino a quel momento solo bugie sulla strage di via D’Amelio. Scarantino era in un luogo protetto vicino a Imperia con la sua famiglia. “Dissi a mia mamma che volevo dire la verità e lei mi rispose che era giusto e che dovevo dire solo la verità e mi ha dato il numero di un giornalista, Angelo Mangano”.
“Io ero un ragazzo instabile – racconta ancora Scarantino in aula- Ero una bomba pronta a esplodere”. “Dissi al poliziotto che era a casa mia che volevo subito parlare con un magistrato ‘picchì un sapìa nienti’ (non sapevo niente ndr). E lui è andato a riferire che io volevo parlare con un magistrato per dire che non sapevo niente”.
Nel frattempo Scarantino rilascia una intervista telefonica al giornalista Mediaset Angelo Mangano in cui dice che non c’entrava niente con la strage e che aveva accusato persone innocenti. “Gli raccontai al telefono che erano tutte falsità, queste persone accusate da me erano tutte innocenti. E che mi aveva fatto dire tutto Arnaldo La Barbera (che guidava il gruppo Falcone e Borsellino ndr) e la Polizia. Mi ero liberato di un peso. Dopo che ho parlato con il giornalista è stato fissato un appuntamento con il magistrato”. Poi accusa uno degli imputati, Mario Bo, di averlo aggredito mentre si trovava nella sua abitazione vicino Imperia.
“Un giorno stavo andando in Procura a Genova per ritrattare le mie dichiarazioni sulla strage, quando chiesi al poliziotto che dovevo tornare a casa per fare la pipì. Così quando entrai in casa, vidi quel poliziotto che parlava con violenza alla mia ex moglie, le puntava il dito addosso e gridava.
Io non ci ho più visto più. I miei figli, che erano piccoli, piangevano. Se avessi alzato le mani al poliziotto sarebbe finito in ospedale con una prognosi di due mesi almeno… Ma non sono violento e mi sono limitato a gridare”, racconta l’ex pentito Vincenzo Scarantino. ll poliziotto di cui parla è proprio Mario Bo.”Dissi in dialetto palermitano al dottor Bo di lasciare subito in pace mia moglie – racconta – E lui è impazzito. Un altro poliziotto mi puntò persino la pistola in faccia”.
Quella mattina del luglio 1995 Vincenzo Scarantino si sarebbe dovuto recare a Genova per ritrattare con il magistrato le dichiarazioni rese fino a quel momento dai poliziotti sulla strage di via D’Amelio.
Parole che gli sarebbero state “indottrinate” dai poliziotti del gruppo ‘Falcone e Borsellino’. Vincenzo Scarantino, l’ex pentito della Guadagna di Palermo torna a sedere sul banco dei testimoni al processo per il depistaggio sulle indagini per la strage del 19 luglio 1992.
Un interrogatorio fiume, condotto dal Procuratore aggiunto Gabriele Paci e dal pm Sefano Luciani, che rappresentano l’accusa nel processo che vede alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia in concorso aggravato dall’avere agevolato Cosa nostra. “Erano tutti consapevoli che io non sapevo niente. Ma dovevo portare questa croce… Mi hanno rovinato l’esistenza, io non ho mai fatto niente.
Non c’entro con le stragi. I poliziotti mi dicevano cosa dovevo dire ai magistrati e me lo facevano ripetere”, dice Scarantino, che appare ancora una volta nascosto dietro un paravento bianco sistemato all’aula bunker di Caltanissetta. “Io ero un ragazzo – dice ancora Scarantino – E se non combaciavano le cose che dovevo dire, loro mi dicevano di non preoccuparmi. Io andavo dei magistrati e ripetevo, quando ci riuscivo, quello che mi facevano studiare”. Scarantino si riferisce al periodo del 1995, quando l’ex pentito si presentò per la prima volta davanti a una corte d’assise al processo per la strage di via D’Amelio. “Ma non sempre riuscivo a spiegare ai magistrati o alla corte quello che (i poliziotti ndr) mi insegnavano. Loro mi dicevano. ‘Quando non sai una cosa basta che dici ai magistrati che devi andare in bagno, tu ti allontani e poi ci pensiamo noi.
Ti diciamo noi quello che devi dire’.
Quando andavo alle udienze dicevo che dovevo fare la pipì, andavo nella stanza e mi dicevano loro cosa dire. E io poi n aula cercavo di ripetere le cose che mi dicevano”. Secondo l’accusa, nell’estate del 1992 il gruppo investigativo denominato ‘Falcone e Borsellino’ e composto dai tre imputati, avrebbe ‘imbeccato’ Scarantino, su quello che doveva dire sulla strage Borsellino. Come ha scritto Antonio Balsamo, Presidente della Corte d’assise nissena che ha emesso la sentenza del processo Borsellino quater, “le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana” e che “soggetti inseriti negli apparati dello Stato” indussero il balordo della Guadagna, Vincenzo Scarantino, a rendere false dichiarazioni sulla strage che, cinquantasette giorni dopo la strage di Capaci.
E oggi arriva la conferma di Scarantino. “Non ce la facevo più a continuare a raccontare bugie, loro mi mettevano le cose in bocca e io le ripetevo come un pappagallo. Certe volte non riuscivo a capire, a memorizzare le parole e i poliziotti me le facevano ripetere più volte. Così telefonai a mia mamma, l’unica di cui mi fidavo, e le dissi che volevo raccontare tutta la verità, che non c’entravo niente con le stragi.
Ero una bomba pronta a esplodere…”, racconta in aula. Così nel 1995 Scarantino decise di “raccontare tutta la verità ai magistrati”, cioè di avere detto fino a quel momento solo bugie sulla strage di via D’Amelio. Scarantino era in un luogo protetto vicino a Imperia con la sua famiglia. “Dissi a mia mamma che volevo dire la verità e lei mi rispose che era giusto e che dovevo dire solo la verità e mi ha dato il numero di un giornalista, Angelo Mangano”.
“Io ero un ragazzo instabile – racconta ancora Scarantino in aula- Ero una bomba pronta a esplodere”. “Dissi al poliziotto che era a casa mia che volevo subito parlare con un magistrato ‘picchì un sapìa nienti’ (non sapevo niente ndr). E lui è andato a riferire che io volevo parlare con un magistrato per dire che non sapevo niente”.
Nel frattempo Scarantino rilascia una intervista telefonica al giornalista Mediaset Angelo Mangano in cui dice che non c’entrava niente con la strage e che aveva accusato persone innocenti. “Gli raccontai al telefono che erano tutte falsità, queste persone accusate da me erano tutte innocenti. E che mi aveva fatto dire tutto Arnaldo La Barbera (che guidava il gruppo Falcone e Borsellino ndr) e la Polizia. Mi ero liberato di un peso. Dopo che ho parlato con il giornalista è stato fissato un appuntamento con il magistrato”. Poi accusa uno degli imputati, Mario Bo, di averlo aggredito mentre si trovava nella sua abitazione vicino Imperia.
“Un giorno stavo andando in Procura a Genova per ritrattare le mie dichiarazioni sulla strage, quando chiesi al poliziotto che dovevo tornare a casa per fare la pipì. Così quando entrai in casa, vidi quel poliziotto che parlava con violenza alla mia ex moglie, le puntava il dito addosso e gridava.
Io non ci ho più visto più. I miei figli, che erano piccoli, piangevano. Se avessi alzato le mani al poliziotto sarebbe finito in ospedale con una prognosi di due mesi almeno… Ma non sono violento e mi sono limitato a gridare”, racconta l’ex pentito Vincenzo Scarantino. ll poliziotto di cui parla è proprio Mario Bo.”Dissi in dialetto palermitano al dottor Bo di lasciare subito in pace mia moglie – racconta – E lui è impazzito. Un altro poliziotto mi puntò persino la pistola in faccia”.
Quella mattina del luglio 1995 Vincenzo Scarantino si sarebbe dovuto recare a Genova per ritrattare con il magistrato le dichiarazioni rese fino a quel momento dai poliziotti sulla strage di via D’Amelio.
Sempre nell’udienza di oggi sono apparsi in aula dei ‘pizzini’, scritti a mano, da aggiungere ai verbali per spiegare all’ex pentito Vincenzo Scarantino “cosa dire” durante gli interrogatori in aula al processo per la strage di Via d’Amelio. I ‘pizzini’, cioè i fogli di carta scritti a mano, sono stati mostrati oggi, durante l’udienza a Scarantino, scansionati su un computer.
I verbali erano riferiti alle prime dichiarazioni fatte da Scarantino depositate al processo Borsellino uno e di cui si è saputo solo nel secondo processo per la strage di via D’Amelio.
Secondo la Procura di Caltanissetta quei ‘pizzini’, che sarebbero stati vergati a mano dal funzionario Fabrizio Mattei, imputato al processo con altri due poliziotti, Mario Bo e Michele Ribaudo, sarebbero la prova dell’indottrinamento che i poliziotti del gruppo ‘Falcone e Borsellino’ avrebbe fatto nei confronti di Scarantino.
I verbali erano riferiti alle prime dichiarazioni fatte da Scarantino depositate al processo Borsellino uno e di cui si è saputo solo nel secondo processo per la strage di via D’Amelio.
Secondo la Procura di Caltanissetta quei ‘pizzini’, che sarebbero stati vergati a mano dal funzionario Fabrizio Mattei, imputato al processo con altri due poliziotti, Mario Bo e Michele Ribaudo, sarebbero la prova dell’indottrinamento che i poliziotti del gruppo ‘Falcone e Borsellino’ avrebbe fatto nei confronti di Scarantino.
L’ex pentito poi racconta un episodio in cui la pm Ilda Boccassini avrebbe capito fin dall’ottobre del 1994 che non era attendibile. “Scarantì, io non le credo”, gli disse la magistrata alla fine di un colloquio investigativo. Dichiarazioni che poi si riveleranno farlocche, ma solo molti anni dopo.
Nel frattempo, nel 1998, Vincenzo Scarantino, ritratta tutte le accuse e dice di avere mentito perché “indottrinato dai poliziotti el Gruppo Falcone e Borsellino”. Scarantino non chiarisce, però, se si trattava di un interrogatorio formale o un colloquio ma ricorda che alla fine dell’incontro, Ilda Boccassini lo guarda e, guardandolo fisso negli occhi, gli dice quella frase: “Scarantì, io non le credo”. Anzi, come dice lo stesso ex pentito in aula: “Scarantì, io non la credo”. Nel dicembre del 2015 Ilda Boccassini, deponendo in videoconferenza al processo Borsellino quater, aveva ripetuto le sue perplessità sulla credibilità di Scarantino. ”Il pentimento di Scarantino?
La prova regina della sua inaffidabilità”, aveva detto Boccassini.
E ancora: “Verificare quello che diceva Scarantino non era mio compito, io stavo per andarmene ed ero impegnata in altre attività e quelle spettavano ad altri pm.
Nel frattempo, nel 1998, Vincenzo Scarantino, ritratta tutte le accuse e dice di avere mentito perché “indottrinato dai poliziotti el Gruppo Falcone e Borsellino”. Scarantino non chiarisce, però, se si trattava di un interrogatorio formale o un colloquio ma ricorda che alla fine dell’incontro, Ilda Boccassini lo guarda e, guardandolo fisso negli occhi, gli dice quella frase: “Scarantì, io non le credo”. Anzi, come dice lo stesso ex pentito in aula: “Scarantì, io non la credo”. Nel dicembre del 2015 Ilda Boccassini, deponendo in videoconferenza al processo Borsellino quater, aveva ripetuto le sue perplessità sulla credibilità di Scarantino. ”Il pentimento di Scarantino?
La prova regina della sua inaffidabilità”, aveva detto Boccassini.
E ancora: “Verificare quello che diceva Scarantino non era mio compito, io stavo per andarmene ed ero impegnata in altre attività e quelle spettavano ad altri pm.
Perplessità che furono oggetto anche di una lettera inviata alle Procure di Caltanissetta e Palermo.
Nel corso della sua lunga deposizione, Vincenzo Scarantino, racconta ancora della sua detenzione a Busto Arsizio dove la sua cella “sembrava una camera mortuaria”. E poi ha ripetuto più volte: “Io, dal 1994 al 1998 avevo sempre intenzione di potere dire che ero innocente. Piangevo a ‘scattacori’ (mi scoppiava il cuore ndr). Ma non mi credevano“. Non mancano anche oggi i “non ricordo”. E dalla prossima udienza, che si terrà il 29 maggio, la parola passa al controesame delle parti civili. Successivamente toccherà alle difese dei tre imputati. ADNKRONOS 17.5.2019 – Elvira Terranova)
Nel corso della sua lunga deposizione, Vincenzo Scarantino, racconta ancora della sua detenzione a Busto Arsizio dove la sua cella “sembrava una camera mortuaria”. E poi ha ripetuto più volte: “Io, dal 1994 al 1998 avevo sempre intenzione di potere dire che ero innocente. Piangevo a ‘scattacori’ (mi scoppiava il cuore ndr). Ma non mi credevano“. Non mancano anche oggi i “non ricordo”. E dalla prossima udienza, che si terrà il 29 maggio, la parola passa al controesame delle parti civili. Successivamente toccherà alle difese dei tre imputati. ADNKRONOS 17.5.2019 – Elvira Terranova)