Ha fatto clamore la notizie dell’indagine a carico dell’ex pm del pool antimafia di Palermo, Gioacchino Natoli, per favoreggiamento alla mafia e calunnia, interrogato ieri dal pool stragi della procura nissena.
Per la procura Natoli (in concorso con l’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco e con l’allora comandante della Guardia di Finanza Stefano Screpanti) avrebbe insabbiato elementi dell’inchiesta di un’indagine per riciclaggio avviata dalla procura di Massa Carrara, che vedeva coinvolti i fratelli Nino e Salvatore Buscemi, imprenditori vicini a Totò Riina poi divenuti soci del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini.
Un’inchiesta per la quale Natoli nel ’92 aveva chiesto l’archiviazione, la smagnetizzazione delle intercettazioni e la distruzione dei brogliacci.
Di questa vicenda ne parlò l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, lo scorso anno, collegando quell’indagine al dossier “Mafia e appalti” redatto dai Ros del generale Mori.
Lo scorso anno, su ordine della procura di Caltanissetta, le bobine, che non erano andate distrutte, sono state portate a Roma nella sede del Ros per riascoltare tutte le conversazioni.
“Trattativa Stato-mafia” e “Mafia e appalti”
Dopo il fronte dei “trattativisti” che avrebbero visto nella cosiddetta “Trattativa Stato-mafia” – condotta dai Ros – la motivazione dell’accelerazione della strage di via D’Amelio, nasce un fronte contrapposto, quello di chi vorrebbe in “Mafia e appalti” l’unico movente delle stragi di Capaci e via D’Amelio, ad opera della sola mafia.
Secondo l’accusa, – come riportato dal Fatto Quotidiano – i reati addebitati a Natoli sarebbero stati commessi con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra “con riferimento agli interessi della stessa nel settore dell’aggiudicazione degli appalti”, quasi a volersi ricollegare al dossier dei Ros.
“In realtà – riporta Il Fatto -, però, l’indagine di cui Natoli chiese e ottenne l’archiviazione Palermo (era un fascicolo collegato, quello principale rimase sempre alla procura di Massa Carrara, prima di essere spostato a Lucca per competenza) non si occupava di appalti, ma delle infiltrazioni mafiose nelle cave del marmo toscane”.
Se la “Trattativa Stato-mafia” sembrava voler cristallizzare il periodo stragista addebitando agli autori della trattativa la morte di Borsellino, non molto diversa appare quest’iniziativa che quantomeno mediaticamente mira consacrare la responsabilità di quei terribili fatti solo a togati di quella che il giudice definiva “covo di vipere” (la Procura di Palermo dell’epoca) e alla manovalanza mafiosa.
Dovremmo dunque attribuire a “Mafia e appalti” pure il fallito attentato all’Addaura del 1989 in danno di Giovanni Falcone, quando cinquantotto candelotti di dinamite furono messi lì proprio per il giorno in cui con Falcone avrebbero dovuto esserci i due colleghi svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lehman, con i quali doveva discutere sul filone dell’inchiesta “Pizza connection” che riguardava il riciclaggio di denaro sporco (leggi l’articolo)?
Il Dossier Mafia e appalti
Il dossier dei Ros venne consegnato alla procura di Palermo il 16 febbraio 1991. Un dossier che è stato oggetto di violenti scontri anche in ambito giudiziario A partire dalle attività d’intercettazione che risalgono al 1990.
Risalgono a quel periodo le conversazioni più compromettenti (marzo e giugno 1990) poi segnalate come tali nelle successive informative “Sirap” e “Caronte” trasmesse nell’estate del ‘90 a Falcone e Lo Forte, magistrati titolari dell’inchiesta, confluite poi nell’Informativa “Sirap”, depositata il 5 settembre 1992.
Secondo un accordo – mai provato – tra gli investigatori e i magistrati di riferimento per quell’indagine, si addivenne alla conclusione di stralciare le posizioni che coinvolgevano possibili responsabilità di esponenti politici le cui posizioni necessitavano di ulteriori approfondimenti.
Fu in base al presunto accordo che il 16 febbraio 1991 si decise di depositare una prima informativa, rispetto la quale gli imputati al processo “Trattativa” affermarono che i magistrati di Palermo erano già a conoscenza delle intercettazioni più compromettenti per i politici in questione.
Secondo la versione data da De Donno, i nomi dei politici ritenuti coinvolti erano già contenuti in una preinformativa depositata ufficialmente prima di quella del febbraio ‘91. Una circostanza che non trovò riscontro, se non nelle dichiarazioni rese dal magistrato Pignatone nel luglio del ’93 al P.M. di Caltanissetta, stando alle quali nel novembre 1990 la redazione di una prima informativa era stata concordata con l’allora capitano De Donno, vertente sulle posizioni che erano state già sufficientemente messe a fuoco, mentre sarebbero dovute proseguire le attività di intercettazione sulle utenze ritenute utili.
Val la pena di ricordare che lo stato delle indagini sia dell’informativa del 16 febbraio 1991, che le Informative “Sirap” e “Caronte”, risultarono anteriori e non successive all’accordo del novembre del ’90 e delle informative del 2 luglio e del 5 agosto, e che non furono frutto di nuove intercettazioni, così come sarebbe dovuto avvenire in base all’accordo raggiunto.
Al massimo si sarebbe trattato del riascolto delle intercettazioni acquisite nella primavera del ’90, che coinvolgevano politici di rilievo a livello nazionale e regionale.
“Non ci si può tuttavia esimere dal rilevare – riporta la sentenza del processo d’Appello Trattativa – come colpisca il fatto che tra le intercettazioni realizzate a carico del La Cavera e del Ciaravino su utenze personali o della Sirap nei mesi di maggio e giugno 1990, o comunque nella primavera di quell’anno, siano rimaste fuori del compendio che era stato certamente portato a conoscenza dei magistrati all’epoca titolari dell’indagine su mafia e appalti con le Note del 2 luglio e del 5 agosto giusto quelle che contengono specifici riferimenti ai vari Lima, Nicolosi e Mannino (Calogero).
Ciò avvalorerebbe il sospetto che l’omissione non sia stata accidentale, ma intenzionale, quali che fossero le finalità di chi la commise; ed è comunque certo che tale omissione non era giustificata da accordi intervenuti con i magistrati della procura di Palermo, che, se vi furono, intervennero alla fine di agosto ‘90 (come si evincerebbe dalla Nota indirizzata dal Cap. De Donno al procuratore Aggiunto Giovanni Falcone, che però è assai generica) e poi a novembre del medesimo anno, come risulta dalle citate dichiarazioni del dott. Pignatone”.
Si è spesso detto di doppia informativa, ma in realtà se le cose realmente stanno a questo modo, si tratterebbe di un’unica attività investigativa condotta nei primi mesi del ’90 e consegnata alla magistratura in due momenti diversi, senza che si fosse sviluppata altra attività d’indagine che potesse giustificare i due momenti.
Escluso il nome dei Buscemi, le informative trasmesse ai magistrati prima del rapporto mafia e appalti del febbraio 1991, non contenevano alcun riferimento ai personaggi politici o alle intercettazioni che saranno poi allegate alle Informative Sirap e Caronte.
Quella stessa Sirap a causa della quale il ritorno in scena di Pignatone al coordinamento del pool creato appositamente per la cattura di Bernardo Provenzano, portò Scarpinato ad affermare: “Pignatone all’inizio degli anni Novanta si era occupato, in modo inopportuno, di mafia e appalti, della Sirap presieduta dal padre…”.
Storie di appalti, di cemento e di cave, dimenticando i rifiuti.
E poiché ritornano sulla scena il gruppo Ferruzzi, i Buscemi, Panzavolta e altri, perché dimenticare i traffici dei rifiuti che da sempre hanno visto protagonisti grandi aziende, politici e mafiosi andare a braccetto?
A tal proposito va ricordato questo articolo di Liberazione del 25 luglio del 1997, che offre una visione più completa di cosa sia la mafia e quali gli interessi della stessa.
Una parcellizzazione della mafia e dei suoi interessi non permette una visione globale degli eventi succedutisi, limitandosi a osservare i singoli tasselli di un complesso mosaico.
Che le mafie si adattino alla società influenzando la politica e l’economia, sarebbe un po’ come dire che abbiamo scoperto l’acqua calda.
I mercati economici sono in costante evoluzione e se volessimo dare ascolto alle parole di Giovanni Falcone in merito al principio di seguire i soldi per trovare la mafia, avremmo trovato da tempo il bandolo della matassa.
Mafia e denaro sono infatti un binomio inscindibile.
È la mafia liquida, quella che impregna ogni tessuto della società, dall’imprenditoria alla politica al mondo giudiziario, a quello investigativo.
E che dire di Pasquasia e di ciò che il boss Leonardo Messina aveva raccontato al giudice Paolo Borsellino poco prima che questi venisse ucciso nell’attentato di via D’Amelio?
Storie di reati di associazione a delinquere finalizzata allo smaltimento illecito di rifiuti speciali e ferrosi, frode in pubbliche forniture, corruzione, falso, peculato, furto, appropriazione indebita aggravata dall’abuso di prestazione d’opera, turbativa d’asta, reati fiscali finalizzati alla creazione di quantità ingenti di fondi neri destinati al pagamento dei pubblici funzionari, concorso esterno in associazione mafiosa, che finirono nell’inchiesta ‘Bonifica Pasquasia’, conclusasi il 27 ottobre 2016, che portò a 11 arresti e 32 indagati.
Se negli anni 80/90, come riportato nell’articolo di Liberazione, accanto ai nomi della grande industria comparivano imprese di piccole dimensioni, la stessa cosa continuò ad avvenire anche nei decenni successivi senza che nessuno si turbasse o se ne chiedesse il perché.
Come nel caso del termovalorizzatore che doveva realizzarsi a Campofranco, quando nel corso del processo all’ex presidente della Regione il pubblico ministero gli chiese quando gli uffici avessero saputo che la zona era stata individuata come sito per un termovalorizzatore Giorgio Colaianni, dirigente del Commissariato per l’emergenza rifiuti rispose:
“Solo dopo l’esito della ti, secondo il quale se ne sarebbe parlato prima delle regionali del 2001. A lui lo aveva detto il boss di Sambuca di Sicilia, Leo Sutera.
L’Asi di Agrigento (cui appartiene l’area), aveva ricevuto una richiesta dell’Enel il 19 luglio del 2002, inviata via fax alle 7:54 del mattino.
Efficientissimo, il comitato direttivo dell’Asi deliberò l’assegnazione del terreno nella stessa giornata. L’Enel si aggiudicò poi la gara in cordata con altre società grazie ad un bando per il quale l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia europea. Doveva essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di Bruxelles e invece la Protezione civile dell’epoca concesse una deroga perché ci si limitasse alla Gazzetta della Regione.
Fatto sta che, alla luce di quanto accaduto, è davvero difficile immaginare che la scelta di quell’area per il termovalorizzatore fosse stata appresa dalla classe politica solo nell’estate del 2003, ossia quando era ormai troppo tardi.
In quella data, di sicuro lo hanno saputo i residenti dei comuni dell’area. La mafia, invece lo sapeva già almeno dal 2001, quando il boss di Sambuca ne parlò per la prima volta.
La vicenda di Natoli giustamente è al vaglio dei magistrati.
Ma vogliamo veramente fermarci a un “Mafia e appalti” monco delle sue parti più cruciali?
Vogliamo veramente cristallizzare le stragi del ’92 come fossero opera solo di ‘Cosa nostra’?
Un’indagine che doveva essere un punto di partenza oggi rischia di trasformarsi in un punto di arrivo, escludendo qualsivoglia altra causa e il coinvolgimento di ulteriori figure istituzionali che non siano appartenenti al solo ambito della magistratura.
Depistaggi e insabbiamenti non possono essere frutto di iniziative di singoli appartenenti alle forze dell’ordine o di pochi magistrati, se vogliamo realmente arrivare alla verità dobbiamo allargare la nostra visuale a un quadro più complesso che non escluda alcuna altra concausa nelle stragi.
Gian J. Morici 6 Luglio 2024 VALLE DEI TEMPLI
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