PAOLO BORSELLINO: “Un amico mi ha tradito”

 

 

 

VIDEO deposizioni CAMASSA e RUSSO

AUDIO deposizioni Camassa

 

Quando Borsellino pianse: “Un amico mi ha tradito” La deposizione di Alessandra Camassa al processo di Caltanissetta: “Era molto turbato, voleva indagare su Capaci” Paolo Borsellino non riuscì a trattenere le lacrime quando, davanti a due colleghi, disse “non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire”.
Il magistrato ucciso in via D’Amelio si sfogò così con i suoi colleghi Alessandra Camassa e Massimo Russo. L’episodio, noto, è stato ancora una volta confermato dalla Camassa, che ha deposto a Caltanissetta oggi nel processo Borsellino quater. 
“Ricordo che il giudice Borsellino si alzò dalla sedia si distese sul divano manifestando stanchezza e avvilimento, iniziò a lacrimare in modo evidente. E ci disse: ‘Non posso credere, non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire’. Io e il collega Massimo Russo siamo rimasti sorpresi.
Questo pianto all’epoca mi impressionò, non avevo mai visto Borsellino piangere. Paolo era particolarmente turbato in quel periodo. Questo avvenne prima del 4 luglio 92. Solo anni dopo capii che quel particolare poteva avere un interesse investigativo”

La Camassa ha anche riferito di non aver chiesto nient’altro, pensando che Borsellino si riferisse a questioni personali e ha anche detto che Borsellino, in sua presenza, non ha mai pronunciato la parola “trattativa” ed era rammaricato per il fatto che alla Procura di Palermo, non gli era permesso di seguire indagini sulla mafia. “Credo che ad ostacolarlo fosse Giammanco. Borsellino, nonostante fosse una persona tendenzialmente ottimista, dopo la morte di Giovanni Falcone spesso era turbato. Sosteneva che alla Procura di Palermo, si sentiva forte la presenza e il peso del potere politico. Borsellino pensava di poter dare il suo contributo nella lotta alla mafia palermitana e alle indagini sulla strage di Capaci”. LA REPUBBLICA


AUDIO Deposizioni MASSIMO RUSSO ai processi

 

17 luglio 2022 Borsellino, trent’anni dopo: MASSIMO RUSSO “Quando ci disse che era stato tradito”

I depistaggi su Paolo Borsellino erano cominciati quando il magistrato era ancora in vita e come capo della procura di Marsala aveva promosso importanti inchieste sulla mafia.
Nei ricordi di Massimo Russo, che a quel tempo, era la fine degli anni Ottanta, era uno dei sostituti che lavoravano al fianco di Borsellino, riaffiora il caso di Vincenzo Calcara, pentito molto loquace ma con tante ombre. Un giorno Calcara si presentò dal magistrato, lo abbracciò e confessò di essere stato incaricato di ucciderlo con un fucile di precisione. Solo dopo qualche tempo si scoprì che Calcara aveva inventato quella e tante altre storie.
“Non era vero nulla, Calcara non era nessuno nella mafia”, dice Russo per il quale si stava in quel momento sperimentando un depistaggio con molte analogie con il caso di Vincenzo Scarantino. Calcara è da considerare quindi un “depistatore ante litteram”.
La sua “confessione”, secondo l’ex pm poi assessore regionale col centrodestra, non ha prodotto altre conseguenze a differenza di quella confezionata attraverso Scarantino che a distanza di trent’anni continua a produrre effetti devastanti nella ricerca giudiziaria della verità.
Due le criticità individuate da Russo per spiegare il grande depistaggio: una “caduta professionale da parte dei magistrati che fino alla Cassazione non hanno saputo sventare la colossale bugia e un debole filtro critico dell’informazione”.
Al tempo in cui, da procuratore di Marsala, Borsellino rischiava di essere perfino sanzionato dal Csm per le sue denunce sul calo di tensione nella lotta alla mafia ,ai giovani colleghi raccomandava: “Distinguere sempre le persone dalle istituzioni che rappresentano”. Dopo trent’anni Massimo Russo ricorda quel messaggio come una “grande lezione civile”.
Lo era soprattutto per lui, che da gip era passato in procura anche per la forza attrattiva che esercitava la storia professionale del nuovo capo.
Borsellino non era solo il magistrato autorevole e impegnato ma anche il “collega della porta accanto che aveva con i suoi sostituti un rapporto umano, gioviale e fraterno”.
Tra le indagini promosse a quel tempo dalla procura di Marsala c’era anche quella sulla guerra di mafia di Partanna, affidata ad Alessandra Camassa, che raccolse il contributo di Piera Aiello e di Rita Atria. Proprio con Atria, che aveva solo 17 anni, Borsellino aveva stabilito un rapporto così forte che la giovane decise di suicidarsi: con la strage le era venuta a mancare la figura paterna che non aveva mai avuto.
Borsellino era intanto rientrato a Palermo come procuratore aggiunto.
Quasi un mese prima che fosse assassinato, Russo e Camassa andarono a trovarlo.
“Trovammo – ricorda Russo – un uomo piegato dal dolore per la fine di Giovanni Falcone.
Aveva le lacrime agli occhi.
Si abbandonò sul divano. ‘Un amico mi ha tradito’, disse.

E aggiunse di sentirsi in un ‘nido di vipere’.
Sul momento pensammo a uno sfogo segnato dall’amarezza. Quando ci rendemmo conto che in quelle parole c’era il senso di un grande dramma umano ne abbiamo riferito anche in aula”.
Borsellino aveva chiaro il seguito della storia. E per questo mostrò a Russo e Camassa la sua condizione di un uomo molto provato.


18 giugno 2019  “Un amico mi ha tradito”, il pianto di Borsellino e le nuove indagini sul depistaggio

Dopo 27 anni dalla strage di via D’Amelio finalmente c’è una nuova svolta per la ricerca della verità. La recente notizia dell’indagine della procura di Messina che coinvolge due magistrati Carmelo Petralia e Anna Maria Palma (che gestirono il falso pentito Vincenzo Scarantino) ha l’effetto di un vero “terremoto” che farà discutere. In attesa di conoscere i dettagli su questo accertamento tecnico irripetibile su 19 bobine audio che saranno analizzate domani – mercoledì 19 giugno – a Roma alla presenza degli avvocati delle parti, analizziamo alcuni dettagli ormai noti. La sentenza Borsellino quater dell’anno scorso ha certificato il colossale depistaggio (“uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”)nelle indagini sulla strage del 19 luglio 1992. Oggi pertanto occorre soffermarsi su chi – tra gli uomini dello Stato – può aver diretto e orchestrato quell’inganno.

TALPE INSOSPETTABILI E TRADITORI.

Da 10 anni ormai è noto un particolare significativo: la presenza di almeno un traditore all’interno della cerchia stretta del giudice Borsellino. Nell’interrogatorio del 14 luglio 2009, infatti, i giudici Alessandra Camassa e Massimo Russo – all’epoca giovani colleghi di Borsellino – hanno rivelato per la prima volta un dettaglio importante: “Ricordo – testimoniò la Camassa in aula – che il giudice Borsellino si alzò dalla sedia, si distese sul divano manifestando stanchezza e avvilimento, iniziò a lacrimare in modo evidente. E ci disse: ‘Non posso credere, non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire’. Io e il collega Massimo Russo siamo rimasti sorpresi. Ebbi la netta sensazione che quella notizia l’avesse appresa pochissimo tempo prima… Non ebbi la forza di chiedere a chi si riferisse e volli cambiare anzi argomento”.
Alla domanda del pm Nino di Matteo sulla tempistica di quel ricordo la Camassa lo ha collocato a fine giugno del ’92, orientativamente tra il 22 e il 25 giugno, sicuramente prima del 4 luglio: Solo anni dopo capii che quel particolare poteva avere un interesse investigativo, ma di questo fatto ne parlammo in più occasioni con mio marito e con lo stesso Massimo Russo”.
Quest’ultimo ricorda di aver chiesto a Borsellino di come andavano le cose in Procura: «”Qui è un covo di vipere“, mi disse». Lo sfogo di Borsellino nasceva da alcune domande che Camassa e Russo gli avevano posto sull’esporsi troppo interessandosi alle indagini sulla strage di Capaci.
Il 25 giugno infatti Borsellino disse nel suo ultimo discorso pubblico alla Biblioteca comunale di Palermo:In questo momento inoltre, oltre che magistrato, io sono testimone… (…) Questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone. Borsellino però non fu mai convocato dalla procura di Caltanissetta, retta allora da Giovanni Tinebra. Su di lui, ormai defunto, pesano gravi ombre: dalle accuse di Scarantino fino al coinvolgimento “irrituale” del “numero tre del Sisde Bruno Contrada di collaborare alle indagini” su via D’Amelio. Un’anomalia, quella della collaborazione dei Servizi segreti alle indagini della procura, espressamente vietata dalle norme. Tinebra affidò poi ad Arnaldo La Barbera (ex capo della squadra mobile di Palermo, a libro paga del Sisde con il nome in codice Rutilius), “una task force investigativa, che avrà un ruolo determinante nella gestione deitre falsi collaboratori di giustizia, Scarantino, Candura e Valenti“, si legge nella relazione conclusiva dell’inchiesta sul depistaggio di via D’Amelio, redatta dalla Commissione Antimafia dell’Ars.

IL ROS.

E poi ci sono i ricordi della moglie di Borsellino, Agnese, che riferisce in aula che il marito le disse: “Ho visto la mafia in diretta”, e che “il generale Subranni è punciutu“, cioè affiliato alla mafia: “Era sbalordito, ma lo disse con tono assolutamente certo, senza svelarmi la fonte. Aggiunse che quando glielo avevano detto era stato tanto male da avere avuto conati di vomito: per lui l’Arma dei carabinieri era intoccabile…”  Antonio Subranni era a capo del ROS nel ’92, e insieme a Mario Mori è stato condannato in 1° grado nel processo Trattativa a 12 anni di reclusione. “Ricordo perfettamente – è la testimonianza di Agnese Borsellino – che il sabato 18 luglio 1992 andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini, senza essere seguiti dalla scorta. Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere”.

LE NUOVE INDAGINI.

Al momento a processo ci sono tre poliziotti sotto accusa per il depistaggio: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Dovranno dimostrare di essere estranei al “taroccamento” di Scarantino, il falso pentito costruito a tavolino che sostiene di essere stato imboccato dai poliziotti e da alcuni pm ad autoaccusarsi della strage, pur essendo innocente. Pochi giorni fa Scarantino ha ritrattato clamorosamente, escludendo i pm Di Matteo e Petralia dal depistaggio: “Il dottor Di Matteo non mi ha mai suggerito niente, il dottor Carmelo Petralia neppure. Mi hanno convinto i poliziotti a parlare della strage”.
Ma per Fiammetta Borsellino “questi poliziotti non hanno agito da soli, ma sotto la direzione, il controllo e la supervisione di magistrati e di pubblici ministeri”. Tra i magistrati che hanno gestito Scarantino ci sono Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, oggi accusati di “calunnia aggravata”. Già il 26 luglio 1995 Scarantino ritrattava le sue dichiarazioni con un’intervista a Studio Aperto. “Contestualmente – si legge nella relazione ARS  – la procura di Caltanissetta invia all’ufficio legale Mediaset di Milano un’ordinanza dove si chiede di eliminare tutto dai nastri e dai server. Anche se un tecnico disubbidiente di Milano, ma siciliano, sente che dietro quella richiesta c’è qualcosa che gli puzza e conserva una copia del servizio” del giornalista Angelo Mangano.  
“Prima ancora che l’intervista andasse in onda, i pm Palma e Petraliaannunciavano già alle agenzie di stampa la ritrattazione della ritrattazione di Scarantino, anticipando il contenuto del verbale fatto quella sera col falso pentito. Come facevano a prevederlo?“, è una delle tredici domande poste da Fiammetta Borsellino.

Carmelo Petralia, attuale procuratore aggiunto di Catania, si è difeso pochi giorni fa parlando di “macelleria mediatica” e di “fango” in un’intervista del quotidiano La Sicilia. Anna Maria Palma invece è avvocato generale di Palermo. In un’intervista di Salvo Palazzolo pubblicata su Repubblica lo scorso 19 luglio 2018, si è detta amareggiata per il clamore attorno al suo nome: «Come tutti desidero che sulla strage non rimangano ombre. Me lo chiedo anche io, molto spesso, cosa sia successo. Io non ho subito pressioni da nessuno. Ho operato sempre in maniera trasparente». E sul depistaggio precisò: «Ho maturato alcuni convincimenti, ulteriori precisazioni le fornirò nelle sedi competenti». Nel curriculum della Palma un ruolo di capo di gabinetto alla presidenza del Senato retta dal berlusconiano Renato Schifani.

L’AGENDA ROSSA.

Infine, ma non meno importante, la misteriosa scomparsa dell’agenda rossa. Anche qui è un magistrato che bisognerebbe riascoltare: si tratta di Giuseppe Ayala, tra i primi ad arrivare in via D’Amelio. Le sue numerose versioni sulla borsa contenente l‘agenda rossa di Paolo Borsellino sono considerate contraddittorie” da Fiammetta Borsellino.  Davide Guarcello IL SICILIA


4 maggio 2012 Camassa: “Borsellino disse | che era stato tradito da un amico

“A fine giugno del 1992 io e il collega Massimo Russo avemmo un incontro con Borsellino. Era un dialogo normale, si parlava di indagini. A un certo punto lui si alzò, si stese sul divano e cominciò a lacrimare e disse: ‘non posso credere che un amico mi abbia tradito’”. A raccontare l’episodio è il giudice Alessandra Camassa, ex pm a Marsala quando il magistrato assassinato dalla mafia era a capo della Procura. Camassa sta deponendo al processo per favoreggiamento alla mafia al generale dei carabinieri Mario Mori. “Ebbi la sensazione netta – ha proseguito- che avesse ricevuto da pochissimo una notizia e che fosse ancora sconvolto. Tanto da sfogarsi con le prime persone entrate nella sua stanza”. Il magistrato ha spiegato di non avere fatto domande ulteriori a Borsellino per imbarazzo. “Ero così imbarazzata – ha sostenuto – che quasi cambiai discorso. Pensai a uno sfogo personale e non volli essere invadente”. “Quando allora ascoltai quello sfogo – ha concluso – non lo ricollegai ad alcuna attività d’indagine. Pensai a un problema personale, per questo non ne parlai dopo la strage. Se fossi stata chiamata a testimoniare prima probabilmente l’avrei detto”. Il giudice Camassa ha raccontato l’episodio per la prima volta il 14 luglio del 2009 ai pm di Caltanissetta. LIVE SICILIA


15 novembre 2004 – Canale non tradì Borsellino

Alle 18,30 di ieri, dopo otto anni tra indagini e processo, il tenente dei carabineri Carmelo Canale, l’ ombra del giudice Paolo Borsellino, ritenuto il più fidato dei suoi collaboratori e diventato imputato con l’ accusa di avere favorito la mafia, s’ è scrollato di dosso il marchio di «traditore».
E’ stato assolto «perché il fatto non sussiste». E subito dopo avere appreso la notizia della sentenza, Canale, che aveva atteso fuori dal palazzo di giustizia, dice di dedicare questo giorno «a tre persone scomparse, a mia figlia Antonella (morta qualche anno fa per una grave malattia, ndr) al giudice Paolo Borsellino ed a mio cognato Antonino Lombardo (maresciallo dei carabinieri suicidatosi in caserma dopo avere appreso che un pentito lo accusava di essere vicino ai boss, ndr).
Altri sono i traditori di Borsellino e lo dirò nei prossimi giorni». Poi abbracci e baci con la figlia Manuela, con il nipote Fabio, figlio del maresciallo Lombardo, con i suoi avvocati e con la «squadra di Borsellino», i carabinieri che lavorarono con il magistrato e che sono stati sempre vicino al tenente Canale.
Per lui il pubblico ministero, Massimo Russo, aveva chiesto la condanna a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa. Ma i giudici della seconda sezione del tribunale di Palermo non hanno accolto la sua richiesta ed hanno assolto Canale ed altri due imputati il medico marsalese Giuseppe Pandolfo e Gaspare Casciolo, presunto capo mafia del trapanese.
«Sono sereno, sia con la mia coscienza personale che professionale – dice scuro in volto il pm Massimo Russo che era accompagnato dal procuratore aggiunto Sergio Lari – aspettiamo di leggere adesso le motivazioni per poi decidere sul da farsi.
Tutto quello che dovevamo fare, lo abbiamo fatto».
Il tenente Carmelo Canale che per anni aveva vissuto fianco a fianco con il giudice Paolo Borsellino, prima a Marsala dove il magistrato era procuratore e poi a Palermo, fino al giorno della sua morte nella strage di via D’ Amelio, era finito nella bufera giudiziaria dopo che alcuni pentiti lo avevano accusato di passare informazioni alle cosche della mafia trapanese. Fu anche accusato di avere ricevuto soldi con i quali si sarebbe costruito una casa e di averli utilizzati anche per curare la figlia gravemente ammalata.
«Canale è stato un Giano Bifronte – aveva detto il pm nel chiedere la sua condanna – uno che indossava la divisa del servitore dello Stato e, al tempo stesso, violava il giuramento di fedeltà alle istituzioni.
Canale ha fatto parte della mafia, una mafia che è diventata il mostro che è grazie ad individui abietti come lui. Tutte le accuse rivolte a Canale dai pentiti sono state riscontrate in un lavoro investigativo durato dieci anni». Ma lui, il tenente Canale, ha sempre negato di avere favorito Cosa nostra e, soprattutto, di avere tradito Paolo Borsellino che di lui si fidava ciecamente.Sospeso dal servizio, è stato poi reintegrato ma trasferito a Reggio Calabria dove lavora tutt’ ora. Ieri, per lui, l’ incubo è finito. –
L’ inchiesta Il caso giudiziario nel quale rimane coinvolto il tenente dei carabinieri Carmelo Canale si apre nel 1996 dopo le dichiarazioni ai magistrati da parte di sette collaboratori di giustizia – I pentiti Ad accusare Canale, tra gli altri, i trapanesi Antonino Patti e Vincenzo Sinacori e gli ex boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca e Angelo Siino. Tutti parlano di «favori» per Cosa nostra da parte di Canale – Il processo è iniziato nel 2000 davanti alla seconda sezione del tribunale di Palermo. Per Canale l’ accusa è di concorso in associazione mafiosa e corruzione.
Il pm Massimo Russo chiede dieci anni di reclusione – La sentenza Dopo otto ore di camera di consiglio il tribunale assolve Canale perché il fatto non sussiste. Assolti anche i due coimputati: il medico marsalese Giuseppe Pandolfo e Gaspare Casciolo

FRANCESCO VIVIANO 16 novembre 2004 LA REPUBBLICA


Quando Borsellino disse”: “Mi hanno tradito”- VIDEO “Il dottore si è disteso sul divano, cominciò a piangere, e disse: “non posso credere che un amico mi abbia tradito”.


I 57 GIORNI DI PAOLO BORSELLINO E IL COVO DI VIPERE –
di Fabio Trizzino