13.9.1988 «Falcone dice il falso»

 

A Palermo nuovo strappo nella magistratura «Falcone dice il falso» E’ l’accusa di Meli: «Non ho mai sollecitato la chiusura dei processi sugli omicidi politici di Cosa Nostra» – Il pool antimafia: «II consigliere istruttore ha respinto gli atti dell’inchiesta sulle cosche delle Madonie» – Il caso al Csm ROMA — Nuovo scambio d’accuse Ira 1 giudici del pool antimafia e il consigliere istruttore Antonino Meli alla vigilia del plenum del Csm sul «caso Palermo». Falcone e 1 suoi colleglli denunciano l’ennesimo scontro con il capo dell’ufficio istruzione, avvenuto quest’estate dopo il pronunciamento del Consiglio: un processo di mafia inviato da un’altra procura è stato negato ai giudici del pool. Ma Meli, finito sotto accusa, replica: quanto dichiarato da Falcone nelle sue audizioni al Csm è falso. Il consigliere istruttore nega di aver mai sollecitato il giudice antimafia a chiudere frettolosamente i processi sugli omicidi «politici» di Cosa Nostra, e aggiunge: ‘Né la maggioranza né la minoranza del comitato ristretto del Csm che si è occupato del caso hanno ritenuto, nei rispettivi documenti, di potermi muovere appunti specifici di qualsiasi genere e natura-. Il magistrato sostiene che i suoi interventi nell’ufficio istruzione sono serviti solo a ‘ristabilire delle legalità che erano state ignorate prima del mio arrivo a Palermo». In questo clima avvelenato comincia oggi pomeriggio al Csm il dibattito che dovrebbe portare a quella «sentenza» definitiva richiesta dal Presidente della Repubblica. Ma ancora ieri sera i consiglieri erano alla ricerca di una complicata mediazione per scongiurare la spaccatura dell’organo di autogoverno. Alle 22,30 è iniziata una riunione con il vicepresidente del Consiglio Mirabella per tentare di cucire insieme i documenti dei due schieramenti: quello a favore di Meli e quello che invece difende Falcone. Prima delle roventi dichiarazioni di Meli è arrivato a Roma il carteggio con l’ultima accusa lanciata da Falcone. Racconta di un’inchiesta sulla mafia, iniziata dalla procura della Repubblica di Termini Imerese con il blitz delle Madonie. I giudici della provincia, di fronte all’ipotesi di una «associazione sovversiva di stampo mafioso», ne inviarono una parte all’ufficio istruzione di Palermo. Se Cosa Nostra è un fenomeno unitario — dicono gli investigatori antimafia —, unitaria dev’essere la risposta giudiziaria. Ma il nuovo consigliere istruttore, Meli, non è d’accordo con questa impostazione. Respinge gli atti inviatigli da Termini Imerese e si appresta a sollevare un conflitto di competenza. I giudici del pool protestano, e scrìvono al capo dell’ufficio. Il quale rinvia la sollevazione del conflitto, ma insiste sulla non acquisizione degli atti. Passano i giorni e i magistrati antimafia tornano al la carica. Chiedono di poter vedere le carte del processo di Termini, il primo incontro ufficiale con Meli si trasforma subito in uno scontro. Il consigliere istruttore si riserva ancora di decide re. La querelle arriva sul tavolo del presidente del tribunale, Palmeri, il quale decide di mandare tutto al Csm, con una sua lettera in cui sostanzialmente dice che cosi non si può più andare avanti. E’ una sorta di ultimatum al Consiglio, che ieri ha deciso di acquisire il carteggio insieme ad un altro atto d’accusa contro il consigliere Meli: la relazione dell’ispettore inviato a Palermo dal ministro Vassalli. Sulla base di queste nuove carte è iniziata anche la trattativa in seno al Csm, nel tentativo di trovare una risposta unitaria. La minoranza che in agosto sostenne Giovanni Falcone (Md, «verdi», pei e psi) chiede come punto irrinunciabile la fissazione di regole precise e vincolanti sul funzionamento del pool antimafia, secondo i criteri precedenti alla gestione MeU. La maggioranza che fece quadrato intomo al consigliere istruttore (Mi, Unicost, de e pli) insiste invece per un avvicendamento dei giudici nel pool e per una «condanna» di Paolo Borsellino. Il procuratore di Marsala sarebbe infatti «colpevole» di avere scatenato il «caso» con un’intervista giornalistica anziché attraverso i canali istituzionali. Ma sarà difficile far passare questa linea alla luce del rapporto ministeriale, dove c’è scritto che le denunce avanzate da Borsellino hanno colto nel segno. A queste posizioni, anco ra troppo distanti, è giunta ieri la trattativa durante le riunioni del comitato anti mafia e della commissione riforma. Poi sono cominciati gli incontri di corrente fra i «togati» e i contatti con i partiti da parte dei «laici». Giovanni Bianconi Il consigliere istruttore Antonino Meli e il giudice Falcone LA STAMPA

 

16.9.1988 Meli si sente vincitore, Falcone non parla

Meli si sente vincitore, Falcone non parla Meli si sente vincitore, Falcone non parla DAL NOSTRO INVIATO PALERMO — -Non ho altro da dire, leggete il comunicato, basta con questa storia squallida, arrivederci’. Antonino Meli, secco e deciso come sempre, attraversa in fretta l’atrio del tribunale e se ne va. Niente colpi di scena, niente show oggi al Palazzo di Giustizia: a 24 ore dall’inattesa sentenza del Csm, a Palermo si apre il periodo della tregua armata. Ma già ieri, a conferma che il clima di tensione continua, il presidente della corte d’appello Carmelo Conti e Antonino Palmeri, presidente del tribunale, sono stati convocati a Roma dal Csm. Basta con i commenti, basta con le recriminazione o le classifiche vincitori-vinti. Dopo essersene uscito l’altra sera in una sconcertante dichiarazione a caldo (che nella sostanza suonava come ‘il Consiglio può dire quel che vuole, il capo dell’Ufficio resto io»), Antonino Meli ha scelto, per la prima volta, la via del comunicato stampa. Un messaggio carico di riconoscimenti formali ma denso di sostanziali riaffermazioni di potere. Falcone, neanche a dirlo, resta chiuso in un silenzio ostinato: se il cronista, anzi, bussa alla porta del suo «bunker», è proprio l’inconfondibile vocetta di Falcone a rispondere -il dottor Falcone non c’è’. Basta eon le polemiche, allora. A meno di non voler individuare nuòvi spunti nel lungo comunicato che il capo dell’Ufficio istruzione ha diffuso ieri mattina, dopo una lunga riunione coi colleglli più fidati. ‘Prendo atto con soddisfazione.— scrive Antonino Meli — del documénto unitario approvato ièri dal plenum del Consiglio Superiore della Magistratura». Un documento, conttinua il giudice, -che giustamente non ha accolto talune proposte di cui avevo ritenuto doveroso evidenziare subito l’illegittimità». Anche Meli è soddisfatto, dunque, soddisfattissimo. Ma sapete perché? A suo avviso la risoluzione del Csm si presta a una lettura molto differente da quella accreditata ieri. Il Consiglio, è vero, riconosce la necessità «di una forte specializzazione dei magistrati incaricati di inchieste antimafia», ma è d’accordo anche sulla «necessitò di estendere gradualmente l’assegnazione di simili processi». Soprattutto, riconosce «/a doverosa ed insostituibile preroga¬ tiva del Capo dell’Ufficio di programmare e realizzare il potenziamento del pool antimafia, di cui è il primo e diretto responsabile, attraverso il giusto coinvolgimento di tutti indistintamente i magistrati dell’ufficio». Tutto chiaro, dunque: e che domani, esaurito il bagno di unanimismo, nessuno sostenga di non aver ben compreso le opinioni di Meli. Il Consiglio Superiore, secondo lui, non ha fatto altro che rafforzare le prerogative del «Capo dell’Ufficio», non ha potuto che condividerne l’impostazione e la linea. Ma non è tutto, seguite questa chiusa: ‘Prendo atto altresì, con grande soddisfazione, che al di là della sterile e fuorviante ricerca di torti e ragioni individuali il plenum del Csm ha sottolineato con assoluta evidenza la totale infondatezza dei fatti denunziati dal dott. Borsellino». In una città in culle parole sono pietre, certi giudizi si trasformano in macigni. Non solo Falcone è un ‘bugiardo», ma Paolo Borsellino (che a giudizio dei signori di Palazzo dei Marescialli, -pur con alcune inesattezze, ha comunque segnalato un problema reale») diventa di colpo un giudice sbugiarda¬ to. ‘Sono convinto — conclude Meli — che il documento segni una netta sconfitta delle polemiche che fanno soltanto il gioco della mafia, e confido che tutti i magistrati dell’Ufficio, cui confermo là mia stima, sapranno coglierne l’alto significato». Ieri mattina, in procura, c’era un gruppo di giudici che celebrava la vittoria, proprio mentre all’Ufficio istruzione un altro gruppo tentava di mettere la sordina alla sconfitta. E poi, cosa intendeva dire Meli quando, interpellato a caldo, rammentava di essere sempre lui il Capo dell’Ufficio, di essere lui quello che, per delega, in fondo assegna al pool antimafia il diritto di esistere? H magistrato non rivendicava una specie di diritto divino: si limitava a rammentare quelle prerogative che, direttive o no, nessuno può togliergli. Anche le^reazioni emotive» — per usare la definizione di Curti Giardina — hanno un retroterra: e su questo punto la posizione di Meli non è mutata di un millimetro. Formalmente, da ieri 1 giudici di Palermo sono tutti uniti: nella sostanza, il terreno dello scontro è stato soltanto spostato dalle questioni di principio ai proble¬ mi concreti. Quando rammenta che «se le raccomandazioni sono contrarie alla legge io non sono tenuto a seguirle», il Consigliere istruttore di Palermo prefigura una situazione che, fra due settimane o fra due mesi, si verificherà. In quanto Capo dell’Ufficio istruzione, Meli è titolare delle principali indagini sulla mafia a Palermo. Soprattutto, di quel «maxiprocesso» da cui, in un modo o nell’altro, molte altre inchieste derivano come appendici. In qualche caso può anche trattarsi di appendici scottanti: pensate all’inchiesta su Ciancimino (150 imputati, un giro di decine di miliardi, ma soprattutto l’albero genealogico di quel «comitato d’affari» che per trént’anni ha gestito le cose palermitane). Pensate al cosiddetto «blitz delle Madonie», compiuto pochi mesi fa a Termini Imerese, trasmesso a Palermo ma, sul piano delle indagini, ancora bloccato dal fatto che tra gli imputati c’è il consuocero di Meli. Nell’astenérsi dal condurre questa inchiesta il Consigliere istruttore di Palermo ha perfettamente ragione. Ma come si risolverà, il conflitto, se non con un ricorso alla Cassazione? g.