Riina si sposa ma per procura. Cerimonia in cella, senza moglie. Una pura formalità, naturalmente, visto che il «padrino» ammogliato 10 è già da anni, da quando cioè il prete-boss Agostino Coppola celebrò il matrimonio religioso, in una villa – sembra – di Capaci.
Don Totò e Ninetta Bagarella, allora vivevano in clandestinità: per questo motivo la loro unione non potè essere registrata allo stato civile.
Adesso, comunque, l’ex capo di Cosa nostra ha deciso di sanare questa anomalia che evidentemente provoca più di una complicazione burocratica, specialmente per quel che riguarda i quattro figli, tutti nati durante i 23 anni di clandestinità di don Totò e Ninetta Bagarella. 11 boss ha chiesto così – attraverso i suoi avvocati – di «poter sposare» la moglie.
Sarà un matrimonio per procura, a dispetto di quanti pensavano già di assistere ad una delle solite cerimonie in carcere, con la sposa commossa, il cappellano che invoca il miracolo della redenzione e i figli non più bambini che baciano sulle guance i genitori «neosposi». No, non sarà così.
Anche se la «cerimonia» – particolare – avverrà all’Ucciardone.
Il matrimonio per procura non prevede la presenza della sposa. In carcere andrà un notaio che raccoglierà la volontà di Riina di sposare la signora Bagarella e designerà il «procuratore», cioè quello che dovrà comparire davanti all’ufficiale di stato civile con la delega autenticata dal notaio.
Solo in quel momento, quando l’atto sarà trascritto, il matrimonio sarà valido a tutti gli effetti. Salvatore Riina aveva chiesto già da tempo di poter espletare questa «formalità».
Ma erano troppe le complicazioni che si opponevano, a partire dal fatto che né lui, né la moglie erano in possesso di regolari documenti d’identità, essendo vissuti sempre sotto false generalità.
Meno di un mese fa gli avvocati hanno presentato la richiesta per ottenere l’autorizzazione a far en- Ninetta Bagare a trare in carcere il notaio che dovrà raccogliere la procura.
Non risulta – al momento – che i Riina abbiano chiesto altri tipi di autorizzazioni, per esempio quella di poter celebrare in carcere le nozze. E’ una scelta che i protagonisti della vicenda hanno compiuto in piena autonomia.
Tranne sorprese dell’ultima ora. Naturalmente i legali di Riina hanno dovuto avanzare la richiesta alle numerosissime procure e alle Corti interessate alla condizione giudiziaria del boss. Fino a questo momento non sembra vi siano impedimenti di alcun tipo.
L’ultima Corte interpellata, quella presieduta da Ignazio La Mantia, non ha opposto alcuna opposizione. Anche la procura della Repubblica di Palermo ha dato il via libera, seppure dopo qualche iniziale perplessità dovuta non ad un rifiuto pregiudiziale nei confronti della richiesta di matrimonio di Riina, ma piuttosto alle modalità con cui si sovrebbe svolgere l’atto burocratico. In sostanza, nulla deve cambiare il sistema di sicurezza attorno al detenuto. Quando avverrà tutto ciò?
La data non è ancora certa, dipende dalla disponibilità offerta dalla magistratura.
D’altra parte i Riina non sembrano avere fretta, visto che per loro si tratta, appunto, di una formalità. Il matrimonio «vero», quello coi confetti e con la cerimonia l’hanno celebrato quasi vent’anni fa. Ci tenevano tanto a quella festa che, malgrado l’ossero ricercati, fecero stampare i biglietti d’invito, la cosiddetta «partecipazione», come se si trattasse di una cerimonia normale.
Una copia di quei cartoncini fu trovato nella casa dove gli sposi andarono ad abitari; dopo le nozze;: era un appartamento di piazza San Lorenzo a Palermo.
Lo aveva «messo a disposizione» il ragioniere Giuseppe Mandatari. Sì, proprio il «gran maestro» arrestato ieri con l’accusa di essere il commercialista del boss. Francesco La Licata Ninetta Bagarella Salvatore Riina ha chiesto di poter sposare «ufficialmente» Ninetta Bagarella con la quale in realtà si era unito, con rito religioso, vent’anni. 14.12.1994 LA STAMPA
Don Totò e Ninetta Bagarella, allora vivevano in clandestinità: per questo motivo la loro unione non potè essere registrata allo stato civile.
Adesso, comunque, l’ex capo di Cosa nostra ha deciso di sanare questa anomalia che evidentemente provoca più di una complicazione burocratica, specialmente per quel che riguarda i quattro figli, tutti nati durante i 23 anni di clandestinità di don Totò e Ninetta Bagarella. 11 boss ha chiesto così – attraverso i suoi avvocati – di «poter sposare» la moglie.
Sarà un matrimonio per procura, a dispetto di quanti pensavano già di assistere ad una delle solite cerimonie in carcere, con la sposa commossa, il cappellano che invoca il miracolo della redenzione e i figli non più bambini che baciano sulle guance i genitori «neosposi». No, non sarà così.
Anche se la «cerimonia» – particolare – avverrà all’Ucciardone.
Il matrimonio per procura non prevede la presenza della sposa. In carcere andrà un notaio che raccoglierà la volontà di Riina di sposare la signora Bagarella e designerà il «procuratore», cioè quello che dovrà comparire davanti all’ufficiale di stato civile con la delega autenticata dal notaio.
Solo in quel momento, quando l’atto sarà trascritto, il matrimonio sarà valido a tutti gli effetti. Salvatore Riina aveva chiesto già da tempo di poter espletare questa «formalità».
Ma erano troppe le complicazioni che si opponevano, a partire dal fatto che né lui, né la moglie erano in possesso di regolari documenti d’identità, essendo vissuti sempre sotto false generalità.
Meno di un mese fa gli avvocati hanno presentato la richiesta per ottenere l’autorizzazione a far en- Ninetta Bagare a trare in carcere il notaio che dovrà raccogliere la procura.
Non risulta – al momento – che i Riina abbiano chiesto altri tipi di autorizzazioni, per esempio quella di poter celebrare in carcere le nozze. E’ una scelta che i protagonisti della vicenda hanno compiuto in piena autonomia.
Tranne sorprese dell’ultima ora. Naturalmente i legali di Riina hanno dovuto avanzare la richiesta alle numerosissime procure e alle Corti interessate alla condizione giudiziaria del boss. Fino a questo momento non sembra vi siano impedimenti di alcun tipo.
L’ultima Corte interpellata, quella presieduta da Ignazio La Mantia, non ha opposto alcuna opposizione. Anche la procura della Repubblica di Palermo ha dato il via libera, seppure dopo qualche iniziale perplessità dovuta non ad un rifiuto pregiudiziale nei confronti della richiesta di matrimonio di Riina, ma piuttosto alle modalità con cui si sovrebbe svolgere l’atto burocratico. In sostanza, nulla deve cambiare il sistema di sicurezza attorno al detenuto. Quando avverrà tutto ciò?
La data non è ancora certa, dipende dalla disponibilità offerta dalla magistratura.
D’altra parte i Riina non sembrano avere fretta, visto che per loro si tratta, appunto, di una formalità. Il matrimonio «vero», quello coi confetti e con la cerimonia l’hanno celebrato quasi vent’anni fa. Ci tenevano tanto a quella festa che, malgrado l’ossero ricercati, fecero stampare i biglietti d’invito, la cosiddetta «partecipazione», come se si trattasse di una cerimonia normale.
Una copia di quei cartoncini fu trovato nella casa dove gli sposi andarono ad abitari; dopo le nozze;: era un appartamento di piazza San Lorenzo a Palermo.
Lo aveva «messo a disposizione» il ragioniere Giuseppe Mandatari. Sì, proprio il «gran maestro» arrestato ieri con l’accusa di essere il commercialista del boss. Francesco La Licata Ninetta Bagarella Salvatore Riina ha chiesto di poter sposare «ufficialmente» Ninetta Bagarella con la quale in realtà si era unito, con rito religioso, vent’anni. 14.12.1994 LA STAMPA
3.11.1993 «Il mio Riina, il migliore dei mariti»
«Lo voglio sposare anche civilmente ma per la legge e il Comune lui non esiste» Parla la moglie del boss: «Lavorava nei cantieri per sfamarci.
Ora lo accusano di tutti i mali d’Italia» «Il mio Riina il migliore dei mariti» «Era nessuno, l’hanno fatto diventare un mostro»
Ora lo accusano di tutti i mali d’Italia» «Il mio Riina il migliore dei mariti» «Era nessuno, l’hanno fatto diventare un mostro»
Bagarella, la moglie di Salvatore Riina, la donna che da otto mesi è vanamente inseguita da giornalisti e fotografi, cammina lentamente per il centro di Corleone, a fianco di una signora anziana, la zia. Sale da via Bentivegna, percorre la piazza del Municipio ed entra nel palazzo. Intorno ci sono crocchi che conversano, ma nessuno si volta o la saluta.
Non ci sono persone che la precedono o la seguono.
Le due donne salgono negli uffici del Comune e fanno la fila in un corridoio stretto, ingombro di fascicoli e pieno di cittadini corleonesi che rumorosamente aspettano l’esito di pratiche, firme, duplicati, permessi, certificati.
Le due donne si mettono in fila, in silenzio, e di nuovo nessuno bada a loro. Né per lasciare il posto nella fila, né per salutare.
Mi avvicino dopo averla guardata a lungo e averne incrociato lo sguardo. «E’ lei la signora Antonietta Bagarella?». «Sì», mi risponde. «Ma lei lo sapeva già, quindi perché me lo ha chiesto?».
Mi presento, nome e cognome, giornalista. Resta in silenzio per alcuni secondi. «Da che cosa mi ha riconosciuto?». «Dalla montatura degli occhiali, signora.
Una foto che le hanno fatto a Palermo, quando lei andò ad assistere al processo di suo marito». «Ah, quella.
Allora lei non è di quelli che mi fecero la posta per un mese e poi tutto quello che ottennero fu una foto sfocata». Antonietta Bagarella ha 49 anni e quattro figli.
Porta i capelli neri corti, il volto è rimasto simile a quello delle foto di gioventù, gli occhi scuri dietro gli occhiali da miope sono spesso abbassati, ma quando puntano l’interlocutore sono all’altezza della sua fama di donna intelligente, determinata, sicura.
E con la «cultura», quella che Riina non ha. Porta una giacca di panno chiaro, a quadretti, un golfino di lana girocollo rosa, una gonna scura, le scarpe basse, tiene tra le mani una borsetta.
Pare quello che è, un’insegnante.
Quello che sarebbe stata se non fosse fuggita ventidue anni fa da Corleone al seguito del suo amore. E’ una libera cittadina, senza alcun debito da pagare alla giustizia.
Ma nella sua famiglia diversi morirono ammazzati nella guerra di mafia degli Anni 60, suo fratello maggiore Calogero è in carcere, il minore Leoluca, latitante, è considerato uno dei killer più pericolosi in circolazione ed è sposato con la sorella di quel Giuseppe Marchese che si è «pentito» e ha fatto prendere Salvatore Riina. E questo complica ancora di più le cose.
La zia, Giuseppina Mondello, è invece vestita come da sempre si vestono le donne siciliane: con un vestito scuro. E’ la sua accompagnatrice ovunque. Mi ricordo delle vecchie foto di ventidue anni fa, quando Salvatore Riina era uno sconosciu- to e lei invece famosa, come la prima donna proposta per il confino perché mafiosa.
Arrivò in tribunale a Palermo, insegnante delle scuole magistrali, una bella ragazza di 27 anni accompagnata dalla stessa zia e stupì tutti i giornalisti quando dichiarò la sua unica colpa: amare Riina, volerlo sposare. Adesso, in quel corridoio, incominciamo a parlare e, lentamente, in silenzio, tutte le persone in attesa escono dal corridoio. Restiamo soli.
Le dico dei suoi compagni di scuola che avevo intervistato e che ricordavano con affetto la «Ninetta» studiosa, seduta al primo banco del ginnasio liceo Guido Baccelli. Antonietta Bagarella legge i giornali, ne compra molti ogni mattina alla cartolibreria in piazza: «Ho letto, li ringrazio. Mi hanno fatto piacere le loro parole, perché hanno valorizzato quella che ero. E quella che sono rimasta: io sono ancora la ragazza di allora, non sono cambiata». Sono sentimentali, i suoi compagni di scuola, le dico. «Sì, ma hanno ragione.
Quelli erano bei tempi». Sospira. «I tempi che non torneranno più».
Ora mi guarda fisso e parla a voce bassa: «Che cosa vuole sapere? Non sapete già tutto? Vuole scrivere anche lei un libro? Guardi che già quattro ne sono usciti.
Tutti credono di sapere e non sanno niente. Chi gliele dà le notizie? Come le hanno avute? E’ uno schifo! E’ uno schifo vedere come ci si vende per poco.
Nessuno ha rispetto per la vita privata delle persone, nessuno ha più educazione. E dire che se non fossero stati così, i giornalisti, io con loro avrei anche potuto parlare, avrei potuto dire delle cose. Ma sono stati stupidi. Anche ai miei figli hanno fatto cose bruttissime, che cosa c’entrano loro?».
Però le fotografie non le hanno pubblicate, dico. «E’ vero. Perlomeno quello. Ma si sono comportati male ugualmente».
Le spunta un brevissimo sorriso. Si ferma un attimo, poi riprende. «Riina, Riina, Riina… Sembra che adesso tutto è colpa di Riina. Ma cu è ‘stu Riina? Riina è nessuno, e l’hanno trasformato peggio che un mostro, un fantoccio, l’hanno fatto un fantoccio buono per tutte le cose.
Lo vuol sapere chi è veramente Salvatore Riina? Riina è un buon marito e un buon padre di famiglia. Il migliore dei mariti e il migliore dei padri di famiglia.
Non ci sono persone che la precedono o la seguono.
Le due donne salgono negli uffici del Comune e fanno la fila in un corridoio stretto, ingombro di fascicoli e pieno di cittadini corleonesi che rumorosamente aspettano l’esito di pratiche, firme, duplicati, permessi, certificati.
Le due donne si mettono in fila, in silenzio, e di nuovo nessuno bada a loro. Né per lasciare il posto nella fila, né per salutare.
Mi avvicino dopo averla guardata a lungo e averne incrociato lo sguardo. «E’ lei la signora Antonietta Bagarella?». «Sì», mi risponde. «Ma lei lo sapeva già, quindi perché me lo ha chiesto?».
Mi presento, nome e cognome, giornalista. Resta in silenzio per alcuni secondi. «Da che cosa mi ha riconosciuto?». «Dalla montatura degli occhiali, signora.
Una foto che le hanno fatto a Palermo, quando lei andò ad assistere al processo di suo marito». «Ah, quella.
Allora lei non è di quelli che mi fecero la posta per un mese e poi tutto quello che ottennero fu una foto sfocata». Antonietta Bagarella ha 49 anni e quattro figli.
Porta i capelli neri corti, il volto è rimasto simile a quello delle foto di gioventù, gli occhi scuri dietro gli occhiali da miope sono spesso abbassati, ma quando puntano l’interlocutore sono all’altezza della sua fama di donna intelligente, determinata, sicura.
E con la «cultura», quella che Riina non ha. Porta una giacca di panno chiaro, a quadretti, un golfino di lana girocollo rosa, una gonna scura, le scarpe basse, tiene tra le mani una borsetta.
Pare quello che è, un’insegnante.
Quello che sarebbe stata se non fosse fuggita ventidue anni fa da Corleone al seguito del suo amore. E’ una libera cittadina, senza alcun debito da pagare alla giustizia.
Ma nella sua famiglia diversi morirono ammazzati nella guerra di mafia degli Anni 60, suo fratello maggiore Calogero è in carcere, il minore Leoluca, latitante, è considerato uno dei killer più pericolosi in circolazione ed è sposato con la sorella di quel Giuseppe Marchese che si è «pentito» e ha fatto prendere Salvatore Riina. E questo complica ancora di più le cose.
La zia, Giuseppina Mondello, è invece vestita come da sempre si vestono le donne siciliane: con un vestito scuro. E’ la sua accompagnatrice ovunque. Mi ricordo delle vecchie foto di ventidue anni fa, quando Salvatore Riina era uno sconosciu- to e lei invece famosa, come la prima donna proposta per il confino perché mafiosa.
Arrivò in tribunale a Palermo, insegnante delle scuole magistrali, una bella ragazza di 27 anni accompagnata dalla stessa zia e stupì tutti i giornalisti quando dichiarò la sua unica colpa: amare Riina, volerlo sposare. Adesso, in quel corridoio, incominciamo a parlare e, lentamente, in silenzio, tutte le persone in attesa escono dal corridoio. Restiamo soli.
Le dico dei suoi compagni di scuola che avevo intervistato e che ricordavano con affetto la «Ninetta» studiosa, seduta al primo banco del ginnasio liceo Guido Baccelli. Antonietta Bagarella legge i giornali, ne compra molti ogni mattina alla cartolibreria in piazza: «Ho letto, li ringrazio. Mi hanno fatto piacere le loro parole, perché hanno valorizzato quella che ero. E quella che sono rimasta: io sono ancora la ragazza di allora, non sono cambiata». Sono sentimentali, i suoi compagni di scuola, le dico. «Sì, ma hanno ragione.
Quelli erano bei tempi». Sospira. «I tempi che non torneranno più».
Ora mi guarda fisso e parla a voce bassa: «Che cosa vuole sapere? Non sapete già tutto? Vuole scrivere anche lei un libro? Guardi che già quattro ne sono usciti.
Tutti credono di sapere e non sanno niente. Chi gliele dà le notizie? Come le hanno avute? E’ uno schifo! E’ uno schifo vedere come ci si vende per poco.
Nessuno ha rispetto per la vita privata delle persone, nessuno ha più educazione. E dire che se non fossero stati così, i giornalisti, io con loro avrei anche potuto parlare, avrei potuto dire delle cose. Ma sono stati stupidi. Anche ai miei figli hanno fatto cose bruttissime, che cosa c’entrano loro?».
Però le fotografie non le hanno pubblicate, dico. «E’ vero. Perlomeno quello. Ma si sono comportati male ugualmente».
Le spunta un brevissimo sorriso. Si ferma un attimo, poi riprende. «Riina, Riina, Riina… Sembra che adesso tutto è colpa di Riina. Ma cu è ‘stu Riina? Riina è nessuno, e l’hanno trasformato peggio che un mostro, un fantoccio, l’hanno fatto un fantoccio buono per tutte le cose.
Lo vuol sapere chi è veramente Salvatore Riina? Riina è un buon marito e un buon padre di famiglia. Il migliore dei mariti e il migliore dei padri di famiglia.
Un uomo che ha sempre solo lavorato, per portare a casa il pane per i figli, per non fargli mancare niente. Ha lavorato nei cantieri e adesso non può nemmeno dire dove ha lavorato, perché ci andrebbero di mezzo altre persone».
Continua a guardare fisso: «Ma lo vede come siamo combinati in Italia? Non vede che va tutto a rotoli? Basta che uno si sveglia la mattina e accusa e arrestano le persone. Al Nord, a Milano, a Torino, lo sapete bene…
Le sembra giusto? Guardi che può capitare a tutti, anche a lei.
Un giorno uno si alza e l’accusa e basta la sua parola. Ha visto dove sono arrivati? Sino al Capo dello Stato, fino ai generali, e solo per una donna che si era inventata tutto.
Una cosa giusta hanno fatto, quando hanno arrestato quella Di Rosa. Hanno fatto bene, così bisogna fare. E le sembra giusto che per un sospetto sequestrano i beni di uno che ha lavorato tutta la vita?». E’ lei che conduce la conversazione.
«Ha figli, lei? Ha famiglia? Se ha famiglia, allora può capire.
Ora io sono qui e ai miei figli non faccio mancare niente, vanno a scuola, hanno la casa, la madre, la zia che è vicina.
Ma gli manca il padre. E a me manca mio marito. Chi ha famiglia, mi capisce». Chiedo quando ha visto l’ultima volta Salvatore Riina, ma mi ferma subito con la mano, un gesto che non ammette repliche. «Di questo, niente».
Le chiedo perché è in Comune. «Documenti, ma ci fanno aspettare. Per avere un documento che ci devono, ci fanno perdere la giornata». Ora sembra sia arrivato il suo turno, le due donne vengono fatte accomodare in un’altra stanza.
Esce il segretario comunale. «Perché viene qui la signora Bagarella? Certificati. Chiede il certificato di residenza per Salvatore Riina.
Ed è nel suo pieno diritto, solo che ormai la cosa non dipende più da noi». Allarga le braccia: «Dipende da Roma». Piccola storia strana, dalle conseguenze imprevedibili.
Cancellato dalle liste del Comune di Corleone più di vent’anni fa per non aver risposto alle domande del censimento, Riina non ha oggi identità. Per l’anagrafe, praticamente non esiste. Detenuto da otto mesi in isolamento nel carcere romano di Rebibbia, tre ergastoli definitivi come membro della cupola di Cosa Nostra, decine di processi in corso, una volta arrestato ha fatto la richiesta di riottenere la residenza al paese. Una richiesta legittima, cui la risposta dovrebbe essere automatica.
Ma la pratica da Corleone è finita a Roma e da otto mesi Roma nega il via libera.
Ma ad Antonietta Bagarella, quella carta è la cosa che interessa di più, perché senza quella carta non può compiere il passo più importante della sua vita futura, e quello cui ha sempre pensato da quando era ragazza: sposare, ufficialmente, con rito civile, Salvatore Riina. I due, in realtà, sono già sposati, con cerimonia religiosa celebrata nel 1974 a Palermo, in una situazione di clandestinità.
Officiò il rito padre Agostino Coppola, il nipote del boss Frank Tre Dita, il prete che fu poi inquisito come terminale dei riscatti dei sequestri di persona compiuti da Luciano Liggio.
Coppola assicurò la coppia che il matrimonio era valido, ma poi le carte scomparvero. Ed ora Antonietta vuole normalizzare, al più presto: per sé, per i suoi figli, per le future condizioni di detenzione del marito, per la comunione o la divisione dei beni. Sarebbe il matrimonio dell’anno, a Roma 10 sanno e dicono di no.
E’ uno scontro sottile ma importantissimo: nessun favore al capo di Cosa Nostra, se da parte sua non ci saranno segni di collaborazione. In questo caso, naturalmente, tutto potrebbe cambiare. La questione è stata finora tenuta segreta, e neppure gli avvocati di Riina la sollevano.
A tenere i contatti tra Riina e lo Stato è solo la sua piccola e fedele moglie, che da Corleone, settimana dopo settimana, negli uffici del municipio solleva 11 caso, accompagnata dalla zia.
Il futuro del boss di Cosa Nostra passa ancora da lei. Se riuscirà a vincere, ci saranno le nozze. Se alle nozze Riina tiene allora collabori, dicono a Roma. Aspetto le due donne.
Escono dal Comune con passo lento, in silenzio.
Brutte notizie anche questa volta: il certificato di residenza non è arrivato. Si avviano, solitarie, verso la casa di via Scorzone, dove abitano con i ragazzi che a quest’ora stanno tornando da scuola. Non c’è più niente che Antonietta Bagarella abbia da dire al giornalista, per ora. «E’ diventato tardi, mi deve scusare, ma ora dobbiamo andare a casa perché abbiamo i nostri doveri».
Nessuno le guarda, nessuno le saluta, nessuno le segue. Nessuno mi chiede che cosa ci siamo detti. Del documento che non arriva sono in molti a sapere ma nessuno parla.
E’ la solita Corleone, naturalmente. La Corleone dove è tornata la «maestrina» che se ne andò ventidue anni fa ed ora ha ripreso, da sola, a gestire le cose di famiglia. Ripetendo al paese: «Sposerò mio marito». Enrico Deaglio « LA STAMPA
Un giorno uno si alza e l’accusa e basta la sua parola. Ha visto dove sono arrivati? Sino al Capo dello Stato, fino ai generali, e solo per una donna che si era inventata tutto.
Una cosa giusta hanno fatto, quando hanno arrestato quella Di Rosa. Hanno fatto bene, così bisogna fare. E le sembra giusto che per un sospetto sequestrano i beni di uno che ha lavorato tutta la vita?». E’ lei che conduce la conversazione.
«Ha figli, lei? Ha famiglia? Se ha famiglia, allora può capire.
Ora io sono qui e ai miei figli non faccio mancare niente, vanno a scuola, hanno la casa, la madre, la zia che è vicina.
Ma gli manca il padre. E a me manca mio marito. Chi ha famiglia, mi capisce». Chiedo quando ha visto l’ultima volta Salvatore Riina, ma mi ferma subito con la mano, un gesto che non ammette repliche. «Di questo, niente».
Le chiedo perché è in Comune. «Documenti, ma ci fanno aspettare. Per avere un documento che ci devono, ci fanno perdere la giornata». Ora sembra sia arrivato il suo turno, le due donne vengono fatte accomodare in un’altra stanza.
Esce il segretario comunale. «Perché viene qui la signora Bagarella? Certificati. Chiede il certificato di residenza per Salvatore Riina.
Ed è nel suo pieno diritto, solo che ormai la cosa non dipende più da noi». Allarga le braccia: «Dipende da Roma». Piccola storia strana, dalle conseguenze imprevedibili.
Cancellato dalle liste del Comune di Corleone più di vent’anni fa per non aver risposto alle domande del censimento, Riina non ha oggi identità. Per l’anagrafe, praticamente non esiste. Detenuto da otto mesi in isolamento nel carcere romano di Rebibbia, tre ergastoli definitivi come membro della cupola di Cosa Nostra, decine di processi in corso, una volta arrestato ha fatto la richiesta di riottenere la residenza al paese. Una richiesta legittima, cui la risposta dovrebbe essere automatica.
Ma la pratica da Corleone è finita a Roma e da otto mesi Roma nega il via libera.
Ma ad Antonietta Bagarella, quella carta è la cosa che interessa di più, perché senza quella carta non può compiere il passo più importante della sua vita futura, e quello cui ha sempre pensato da quando era ragazza: sposare, ufficialmente, con rito civile, Salvatore Riina. I due, in realtà, sono già sposati, con cerimonia religiosa celebrata nel 1974 a Palermo, in una situazione di clandestinità.
Officiò il rito padre Agostino Coppola, il nipote del boss Frank Tre Dita, il prete che fu poi inquisito come terminale dei riscatti dei sequestri di persona compiuti da Luciano Liggio.
Coppola assicurò la coppia che il matrimonio era valido, ma poi le carte scomparvero. Ed ora Antonietta vuole normalizzare, al più presto: per sé, per i suoi figli, per le future condizioni di detenzione del marito, per la comunione o la divisione dei beni. Sarebbe il matrimonio dell’anno, a Roma 10 sanno e dicono di no.
E’ uno scontro sottile ma importantissimo: nessun favore al capo di Cosa Nostra, se da parte sua non ci saranno segni di collaborazione. In questo caso, naturalmente, tutto potrebbe cambiare. La questione è stata finora tenuta segreta, e neppure gli avvocati di Riina la sollevano.
A tenere i contatti tra Riina e lo Stato è solo la sua piccola e fedele moglie, che da Corleone, settimana dopo settimana, negli uffici del municipio solleva 11 caso, accompagnata dalla zia.
Il futuro del boss di Cosa Nostra passa ancora da lei. Se riuscirà a vincere, ci saranno le nozze. Se alle nozze Riina tiene allora collabori, dicono a Roma. Aspetto le due donne.
Escono dal Comune con passo lento, in silenzio.
Brutte notizie anche questa volta: il certificato di residenza non è arrivato. Si avviano, solitarie, verso la casa di via Scorzone, dove abitano con i ragazzi che a quest’ora stanno tornando da scuola. Non c’è più niente che Antonietta Bagarella abbia da dire al giornalista, per ora. «E’ diventato tardi, mi deve scusare, ma ora dobbiamo andare a casa perché abbiamo i nostri doveri».
Nessuno le guarda, nessuno le saluta, nessuno le segue. Nessuno mi chiede che cosa ci siamo detti. Del documento che non arriva sono in molti a sapere ma nessuno parla.
E’ la solita Corleone, naturalmente. La Corleone dove è tornata la «maestrina» che se ne andò ventidue anni fa ed ora ha ripreso, da sola, a gestire le cose di famiglia. Ripetendo al paese: «Sposerò mio marito». Enrico Deaglio « LA STAMPA