24.4.1994 ARCHIVIO 🟧 «Fermate Riina è una bestia sanguinaria»

 

 

Appello dell’ex boss nell’aula-bunker di Rebibbia: «Cosa Nostra è un male, va combattuta» «Fermate Riina, è una bestia sanguinaria» Cancemi: «Per punizione, voleva uccidere anche i bimbi dei pentiti»
Da dietro il muro di carabinieri che lo protegge da telecamere e fotografi, sale l’ultimo appello al pentimento dei mafiosi. E l’ultimo attacco a Totò Riina, «la belva», «il demonio».
Davanti ai giudici della corte d’assise di Palermo, nell’aula-bunker di Rebibbia, parla Salvatore Cancemi, il primo collaboratore della giustizia uscito dalle file della «commissione» di Cosa Nostra. «Bisogna combattere questo male che è Cosa Nostra – dice il mafioso pentito -, deve essere estirpato come una pianta.
Desidero chiedere alla corte che non sia vano il mio sacrificio, io ho perso tutta la mia famiglia».
Cancemi dice che bisogna difendere la legge sui pentiti, perché ò il principale strumento per combattere la mafia, l’arma in mano allo Stato più temuta da Riina. «Io – spiega l’exboss della “famiglia” di Porta Nuova – ho sentito dire da Riina che si dovevano ammazzare tutti i pentiti fino al ventesimo grado di parentela, a cominciare dai bambini di sei anni.
In quell’occasione mi si sono drizzati i capelli, quando ho sentito quelle parole, i bambini di sei anni. Riina diceva che si sarebbe giocato i denti per far annullare la legge sui pentiti.
Io sono rimasto sconcertato (un verbo che nell’accezione siciliana indica la nausea, il disgusto, ndr) di fare parte di Cosa Nostra perché Riina era diventato un Lucifero, un demonio».
I giudici palermitani hanno ascoltato Cancemi per sapere qualcosa dell’omicidio che stanno giudicando, quello del capo della Squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano, assassinato il 21 luglio 1979.
Il pentito ha raccontato che ad uccidere il poliziotto furono Leoluca Bagarella, il cognato di Riina che Cancemi ha definito «la sua arma personale», e Domenico Ganci, figlio del capo della “famiglia” della Noce Raffaele Ganci.
Sia Domenico che Raffaele sono coinvolti nella strage di Capaci dove morirono, due anni fa, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta.
All’omicidio di Boris Giuliano, ha raccontato Cancemi, doveva partecipare anche Pino Greco detto «Scarpuzzedda», il quale però arrivò in ritardo all’appuntamento con gli altri killer, e dopo si rammaricò per non aver potuto prendere parte all’agguato.
Con Giuliano, Cosa Nostra eliminò uno dei suoi più pericolosi nemici di quel periodo.
Il capo della Mobile, quando fu ucciso, aveva da poco diretto un’indagine che aveva portato alla scoperta di due valigie piene di narco-dollari giunte all’aeroporto di Punta Raisi, ed era in contatto con l’avvocato Giorgio Ambrosoli, il liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona, anche lui assassinato nel luglio del ’79. Al processo per l’omicidio Giuliano sono allegati alcuni verbali degli interrogatori di Cancemi.
Fra le carte ci sono anche i passaggi di un confronto tra il pentito e Raffaele Ganci, che in pratica ha salvato la vita a Cancemi avvertendolo che Provenzano lo voleva vedere e facendogli capire che l’intenzione del boss divenuto il capo della mafia dopo l’arresto di Riina era quella di ucciderlo.
«Lei – ha detto Cancemi al capofamiglia della Noce – mi ha salvato la vita. Collabori anche lei, Riina ha distrutto Cosa Nostra, ha detto di uccidere donne e bambini davanti ai quali uno si deve inginocchiare.
La prego, collabori anche lei, noi a Palermo non dobbiamo più far scorrere una goccia di sangue. Riina è un cane, un cane arrabbiato che ha fatto perdere tutti i valori a Cosa Nostra.
Riina ha voluto le stragi per distruggere Cosa Nostra».
Il pentito, in aula, ha anche ripetuto che Provenzano voleva sequestratre il capitano dei carabinieri che arrestò Riina, e ha ricordato il brindisi organizzato dal capo della mafia, dopo la strage di Capaci, perché «tutto era andato bene», [gio. bia.]