Di Investigative Reporting Project Italy (IRPI)
Con un’economia fortemente votata al commercio internazionale e con strutture logistiche all’avanguardia, l’Olanda è una delle più importanti ‘porte d’Europa’. Qui si trova il più grande porto del continente, quello di Rotterdam, nonché il terzo più grande aeroporto mercantile, Schiphol, vicino ad Amsterdam. Da qui lungo una fitta rete di autostrade e canali si muovono verso le vicine frontiere di Belgio e Germania enormi volumi di merci. Appena oltre questi confini si trovano altri centri logistici quasi altrettanto importanti, come il porto di Anversa in Belgio, o quello fluviale di Duisburg in Germania. Questo spiega in parte come mai, assieme a Spagna e Germania, l’Olanda sia il Paese europeo che maggiormente attrae le cosche italiane. Ma c’e di più: la mancanza di specifiche norme antimafia, un regime fiscale molto favorevole, un’economia solida e la possibilità di muovere agevolmente flussi di denaro verso paradisi fiscali collegati a questo paese dalla sua storia coloniale rendono l’Olanda una provincia molto appetibile per l’impero mafioso che si va espandendo nel mondo. “Le mafie portano i loro soldi dove possono vederli fruttare in modo soddisfacente” spiega a Irpi il procuratore Giuseppe Lombardodella Dda di Reggio Calabria. “Gli investimenti che continuano a fare in Italia servono per lo più a mantenere la fedeltà della gente del loro ‘feudo’”
Grazie soprattutto al traffico di stupefacenti, le mafie italiane sono arrivate a fatturare decine di miliardi di euro all’anno e, come tutte le multinazionali di queste dimensioni, hanno sviluppato una raffinata capacità di sfruttare al meglio le divergenze legislative dei vari paesi in cui operano. In particolare, per le mafie l’Olanda è diventata il più importante scalo per il traffico di cocaina dal Sudamerica che, specialmente per la ‘ndrangheta calabrese, rappresenta il vero e proprio core-business, con un fatturato stimato oltre i 44 miliardi di euro all’anno. Nonostante l’Olanda sia un paese produttore di marijuana e droghe sintetiche (Mdma), quasi il 90% delle richieste di collaborazione inoltrate dalle autorità italiane riguardano il traffico di cocaina dal Sudamerica. Secondariamente, l’hashish dal Marocco, a conferma di come la qualità delle strutture portuali renda il Paese uno snodo del narcotraffico internazionale. Intorno al quale nascono collaborazioni con altri gruppi criminali, specialmente al porto di Rotterdam. I passaggi più rischiosi, come il recupero dei carichi dai container, sono spesso affidati a gruppi meno potenti, ma comunque ben organizzati, come reti di criminali olandesi o albanesi.
Dai proventi del narcotraffico si costruiscono e prosperano altre attività criminali. Indagini condotte dalle procure, dalle autorità fiscali e dai servizi di intelligence olandesi hanno rilevato frodi, evasione fiscale, riciclaggio e ricettazione, oltre a flussi di denaro sospetto diretti a ‘service provider’ finanziari locali, probabilmente utilizzati per raggiungere i paradisi fiscalilegati all’Olanda. Questi reati, come pure la presenza di numerosi latitanti nascosti nel Paese, restano in larga parte collegati al narcotraffico, come ha dimostrato l’operazione del 2015 Acero-Krupy delle procure di Reggio Calabria e Roma, che ha recentemente messo in luce gli affari olandesi della famiglia Crupi, affiliata ai Commisso di Siderno.
Sono stati i Paesi Bassi in questo caso a far partire le indagini, ma ben presto la collaborazione delle autorità italiane si è resa necessaria. Tutto è cominciato da un vero e proprio tempio del commercio internazionale olandese: l’asta dei fiori di Aalsmeer, il più importante mercato del mondo per il settore. Qui alcune aziende legate ai clan calabresi, attive nell’import-export di fiori e piante, hanno commesso una serie di frodi che hanno mandato in bancarotta alcune aziende olandesi, mettendo in allarme le autorità locali. L’azienda della famiglia Crupi metteva in contatto fornitori olandesi con agenti di importatori italiani e questi ultimi facevano piccole ordinazioni, stabilendo un rapporto di fiducia con il fornitore.
Alla prima occasione, gli italiani richiedevano una grossa fornitura, per San Valentino e per la Festa della mamma, per somme che potevano raggiungere le centinaia di migliaia di euro. Queste forniture non venivano pagate, e alle ripetute richieste degli olandesi gli italiani rispondevano con minacce in pieno stile mafioso. Per le aziende truffate era molto difficile anche semplicemente identificare i beneficiari della truffa: le forniture iniziali infatti venivano sempre pagate in contanti, oppure tramite aziende di facciata registrate in paradisi fiscali come il Liechtenstein, le British Virgin Islands oppure Cipro. Quando però le autorità italiane hanno cominciato a collaborare a questa indagine, è emerso che la Fresh BV, l’azienda principale dei Crupi ad Aalsmeer, serviva soprattutto per veicolare un importante traffico di cocaina fra l’Olanda e l’Italia.
La struttura commerciale olandese offriva un cruciale supporto: a metà strada fra Rotterdam e Schiphol, il mercato di Aalsmeer muove migliaia di container al giorno, in entrata e in uscita. I fiori sono prodotti deperibili, e in quanto tali beneficiano di controlli più leggeri alle frontiere. Fin troppo facile quindi nascondere i carichi di droga dentro le spedizioni gestite dalla Fresh BV e dirette ad aziende italiane dei Crupi stessi. Diversi paesi sudamericani sono inoltre regolari fornitori del mercato di Aalsmeer. La ‘ndrangheta quindi si è inserita con successo in una struttura preesistente, che gli ha offerto una copertura eccellente.
Come l’indagine ha dimostrato, i reati rilevati dalle autorità locali erano assolutamente accessori rispetto a quelli principali, ma l’attenzione alle frodi ha permesso di accendere un faro su un importante caso di narcotraffico. Se la collaborazione sul piano investigativo può portare a ottimi risultati, quando l’indagine arriva ai giudici la faccenda si complica: in questo caso, mancando in Olanda un reato di associazione mafiosa, i giudici olandesi hanno scelto di archiviare il caso e lasciar procedere i procuratori italiani da soli, contando su condanne più severe in Italia. E nel dibattimento italiano ancora in corso a Reggio Calabria questa archiviazione, per di più suggellata dalla dicitura “mancanza di interesse nazionale”, è diventata una delle principali armi impugnate dalla difesa degli imputati. Inoltre, la mancanza di attività investigative altrettanto approfondite sul fronte olandese ha impedito di chiarire come facessero i Crupi a importare la cocaina nei Paesi Bassi. Nelle carte italiane si legge di viaggi in Ecuador e Colombia organizzati dagli uomini dei Crupi, ma i loro carichi non sono stati mai bloccati nei porti olandesi, lasciando tutt’oggi aperto il canale di importazione principale.
Secondo le dichiarazioni di alcuni imputati in questo processo, la Fresh BVriceveva grandi quantità di contanti nella sua sede di Aalsmeer. Non è stato chiarito come venissero riciclati, i numeri però sono impressionanti: le stime delle autorità olandesi parlano di 15 milioni di euro depositati sui conti olandesi legati alle aziende in questione in solo due anni e mezzo. Si tratta di cifre al ribasso, che riguardano solo uno dei molti gruppi mafiosi attivi nel paese. Secondo le ricerche dell’intelligence fiscale olandese, almeno 22 ristoranti italiani nei Paesi Bassi sono associabili alle mafie italiane. Più di una volta si sono scoperte irregolarità nelle vendite di queste attività: in alcuni casi, un parente del venditore continuava a percepire reddito dalla nuova azienda, senza essere apparentemente impiegato dalla nuova gestione del ristorante; in altri, sono state trovate “liste di impiegati” italiani che risultavano percepire un salario dal ristorante come se fossero lavoratori, senza che ci fosse nessuna traccia della loro residenza nei Paesi Bassi.
È particolarmente difficile tracciare i flussi finanziari delle mafie in Olanda. Sono pochi i casi in cui le aziende sospette sono riconducibili a persone fisiche. Nella maggior parte dei casi vengono utilizzate fiduciarie o fondi di investimento, che garantiscono in modo perfettamente legale tutto l’anonimato di cui i mafiosi hanno bisogno. La possibilità di svolgere un lavoro cruciale per il proprio clan nel narcotraffico attira in Olanda un numero rilevante di latitanti. Fra il 1994 e il 2014 risulta accertata la presenza di 55 persone collegate a clan mafiosi.
Un esempio eccellente è quello di Sebastiano Signati, considerato figura chiave per il narcotraffico del clan Pelle-Vottari della ‘ndrangheta di San Luca. Era infatti lui a tenere in mano i rapporti con i fornitorisudamericani, tanto che la sua condanna in contumacia a 27 anni del Tribunale di Reggio Calabria cita ben tre tonnellate di cocaina importate dal broker in Europa. Nell’aprile del 2011 la polizia militare olandese lo ha fermato a bordo di una macchina assieme ad altri quattro italiani e a una donna cubana. Signati ha esibito un documento riconosciuto come falso e la polizia lo ha messo in carcere. Una settimana dopo gli viene concesso di uscire su cauzione, perché indebolito da una recente operazione chirurgica. Gli è bastato versare diecimila euro, pochi spiccioli per lui. E’ il prezzo della libertà: scomparirà di nuovo e verrà scovato solo quattro anni dopo, nel novembre 2015, in una clinica privata in Belgio. Dopo undici anni di latitanza.
Per quanto in costante miglioramento, il quadro legale in cui la collaborazione fra autorità giudiziarie italiane e olandesi si muove presenta ancora diverse criticità. La piu grande è naturalmente la mancanza del reato di associazione mafiosa, ma non è l’unica. Per esempio, quando l’Italia chiede che venga effettuato un arresto e la conseguente estradizione sotto mandato di cattura europeo, la polizia olandese non ha la possibilità di condurre indagini e approfondimenti indipendenti. Inoltre, se un cittadino italiano richiede la residenza nei Paesi Bassi, non sono previsti controlli sul suo casellario giudiziale. E dopo cinque anni viene considerato un residente permanente, dunque non può essere estradato se non in casi eccezionali.
Significativo l’esempio di Rocco Gasperoni, trafficante di cocaina legato alla ‘ndrangheta che ha abitato in Olanda per oltre vent’anni, fin da quando, negli anni Novanta, collaborava con i broker calabresi Rocco Piscioneri e Nicola Assisi all’importazione di cocaina in Europa. Gasperoni, una condanna definitiva a 14 anni da scontare, ha potuto continuare a gestire la sua pizzeria a Den Haag senza il minimo problema fino al 2015, quando le ripetute richieste di arresto da parte italiana sono state ascoltate. Le autorità locali hanno però deciso di permettergli di scontare la pena nel proprio territorio, considerati anche l’età avanzata del condannato e la lunga permanenza nei Paesi Bassi. Tanto l’Italia quanto l’Olanda, comunque, hanno dimostrato di voler migliorare la collaborazione nella lotta alle mafie. FQ