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GASPARE CERVELLO
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ANGELO CORBO
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GIUSEPPE COSTANZA
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ANTONELLO MARINI
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GIUSEPPE SAMMARCO
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ERNESTO CASIGLIA
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RANIERO RECUPERO
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ANTONINO COPPOLINO
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ANTONIO VASSALLO
Gli Angeli custodi di Giovanni Falcone vittime a Capaci insieme al magistrato e a Francesca Morvillo
VIDEO CAPACI il dopo strage
Servizio RAI NEWS – VIDEO
Sangue, panico e un ‘muro d’asfalto’: cosa ho visto coi miei occhi quel giorno a Capaci
A bordo della sua automobile, Salvatore Gambino si trova a pochi metri dal punto dell’esplosione. L’agricoltore, che al tempo aveva 32 anni, fu il primo testimone — e il primo a prestare soccorso.
“Stavo guidando la mia auto, una Fiat Tempra color grigio topo. Ero insieme a mio cugino Salvatore, tornavamo da Palermo dopo una giornata di lavoro. Eravamo in autostrada, in direzione Palermo-Punta Raisi. Stavamo parlando del più e del meno, non ricordo di cosa… sono passati tanti anni.”
Gambino siede davanti a me, in una piccola utilitaria guidata dal figlio: ripercorriamo il tragitto di quel giorno. Man mano che ci avviciniamo al luogo della strage, l’uomo inizia a raccontare.
«Ho sentito il botto all’uscita dell’autostrada, mi trovavo sulla rampa dello svincolo di Capaci. Un boato enorme. Ho subito pensato che fosse caduto un aereo, visto che qua vicino c’è l’aeroporto”
“Sono arrivato sul cavalcavia e ho visto una grande fumata nera. Ho lasciato l’auto lì sopra e sono sceso direttamente in autostrada. Ricordo delle persone correre: scappavano, ‘c’è puzza di gas’ urlavano. Pure io sentivo puzza di gas. Siamo arrivati lì e abbiamo visto una voragine gigantesca.”
“Ricordo le prime auto, quelle nella corsia opposta: c’erano dei feriti, ma non sembrava avessero bisogno d’aiuto.”
Gambino e suo cugino, allora, si dirigono verso la Fiat Croma bianca, quella guidata da Giovanni Falcone.
“Appena mi sono avvicinato un uomo mi ha puntato una pistola addosso, urlandomi di non toccare l’auto. Era confuso, stordito dalla botta. Mi ha nuovamente intimato di non avvicinarmi,” prosegue. “Gli risposi: se ci sono persone vive, io devo prestare soccorso. Se hai coraggio, spara.”
L’uomo armato è uno tra Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo — i tre agenti della scorta sopravvissuti all’attentato, che viaggiavano nella Fiat Croma Azzurra che chiudeva il corteo. Furono proprio loro a raccontare l’esplosione: un boato seguito da uno sbalzo, e “un muro d’asfalto” che si alza dall’autostrada.
Usciti dall’auto feriti e frastornati, i tre uomini della sicurezza accerchiano la Fiat Croma Bianca, temendo che gli attentatori possano sferrare un nuovo attacco.
“Quando ha capito che volevo aiutare, ha lasciato che mi avvicinassi: ci siamo messi a togliere i detriti e la terra, abbiamo anche tolto il parabrezza. Io non pensavo a niente, solo ad aiutare.”
“Abbiamo trascinato fuori dall’auto l’uomo che sedeva sul sedile posteriore, credo che fosse cosciente. Il conducente e la donna sul sedile del passeggero erano in condizioni gravissime. Mentre tiravo fuori la donna è arrivata l’ambulanza: l’ho presa in braccio e l’ho passata al paramedico. Aveva la gamba spezzata, mi ricordo.”
“L’uomo alla guida era una maschera di sangue, non l’abbiamo potuto aiutare: il manubrio che gli bloccava il petto. Quando sono arrivati, i pompieri hanno tagliato le lamiere con una sega a scoppio, e hanno liberato il corpo.”
“Solo più tardi ho capito cosa stava succedendo: quando sono arrivati i soccorsi, i poliziotti, i carabinieri, i giornalisti, e ho sentito qualcuno dire che quello era il Giudice Falcone.
“Quando abbiamo finito di dare soccorso alla Croma Bianca, dopo un po’, abbiamo trovato l’ultima macchina: era lì, nel terreno adiacente, lato mare, lontano dall’autostrada. Non c’era niente da fare: le ruote erano in aria, l’abitacolo completamente schiacciato,”
Più tardi, Gambino si trova ancora sulla scena dell’attentato. La polizia gli chiede di seguirlo, affinché racconti quello che ha visto.
“Ho potuto prendere la mia auto, accompagnato da un agente che era seduto accanto a me: non abbiamo mai parlato, siamo rimasti in silenzio. C’era una volante con le sirene accese davanti a noi, ad aprirci la strada.”
“In Questura c’era una brutta aria, erano tutti agitati. Abbiamo dovuto aspettare per ore in una stanza, senza un bicchiere d’acqua, senza poterci muovere. Ho chiesto di telefonare alla mia famiglia ma mi hanno detto che i telefoni erano fuori uso. Poi il giudice che aspettavamo non è più venuto e siamo stati interrogati da alcuni poliziotti. Alle tre ci hanno fatto andare via.”
“Quando sono tornato a casa ho trovato mia moglie e i miei figli svegli: erano in apprensione per me, non avevano mie notizie dalla mattina, quando ero uscito per andare a lavorare. Pensavano che fossi rimasto coinvolto nell’esplosione. Mi sono tolto i vestiti: erano sporchi di terra e di polvere… e del sangue della Morvillo. Mi sono fatto una doccia e sono andato a letto.” VICE.COM 2016