Lo scontro è latente: c’è e non c’è. Probabilmente ci sarà davvero solo la prossima settimana, intanto la presidente della commissione antimafia Chiara Colosimo insiste con la sua idea di cambiare la legge e inserire il conflitto d’interessi tra i motivi di incompatibilità con i lavori, sia per quello che riguarda la partecipazione alle attività sia per la consultazione dei documenti. Un’alzata d’ingegno ad alto tasso di strumentalità, perché si capisce bene che gli obiettivi al centro del mirino sono i pentastellati Roberto Scarpinato e Federico Cafiero de Raho: il primo è molto recentemente finito al centro di un caso perché avrebbe concordato con l’ex pm Gioacchino Natoli (accusato di favoreggiamento alla mafia) le risposte da dare durante un’audizione; il secondo perché il caso dei presunti dossieraggi che da mesi agita le cronache politiche riguarda soprattutto gli anni in cui c’era lui a dirigere la Dna dalla quale uscivano sin troppo facilmente notizie riservate.
Ieri, alla riunione dell’ufficio di presidenza allargato ai rappresentanti dei gruppi, la destra si è presentata piuttosto compatta a sostegno dell’idea di Colosimo, mentre Pd, M5s e Avs si sono espressi in maniera contraria.
Il primo punto sollevato come obiezione riguarda l’eccessiva genericità della proposta: parlare di conflitto d’interessi senza aggiungere altro, spiega Elisabetta Piccolotti di Avs, «può essere utilizzato dalle maggioranze per limitare le prerogative di alcuni parlamentari». Da qui la conclusione che, così com’è, la proposta «non è votabile».
Dal Pd Walter Verini dice che di cambiare la legge istitutiva della commissione antimafia non se ne parla, ma un discorso diverso sarebbe rivedere magari il regolamento, perché in effetti possono esistere situazioni al limite in cui sarebbe meglio intervenire e, di contro, esistono di certo situazioni in cui parlare di conflitto d’interessi tout court potrebbe ledere le prerogative dei parlamentari. La questione, insomma, andrebbe spiegata meglio.
Cafiero de Raho, vicepresidente della commissione, a proposito delle prerogative parlamentari, ha evocato lo spettro dell’incostituzionalità.
La destra, Colosimo in testa, sembra intenzionata a tenere il punto, ma in ogni caso la discussione è stata aggiornata alla settimana prossima, quando sarà inevitabile però che il confronto si scaldi. Se da un lato infatti l’obiettivo di colpire Scarpinato e de Raho è piuttosto palese, non si può negare che la posizione dei due 5s è delicato. Il caso Natoli è certamente motivo d’imbarazzo (per non dire altro), mentre la faccenda dei dossieraggi e delle spiate investe in maniera diretta de Raho, che comunque sin qui ha partecipato a tutte le riunioni della commissione dedicate al tema, dall’audizione del suo successore Giovanni Melillo fino a quelle del pm di Perugia Raffaele Cantone, titolare dell’inchiesta.
Una situazione stravagante, anche se non così inconsueta: le commissioni d’inchiesta sono di per sé creature ibride, dotate di poteri investigativi ma prive poi della possibilità di comminare sanzioni. E l’antimafia, per quanto permanente, non fa eccezione e, spesso e volentieri, nella storia repubblicana è diventata teatro di regolamenti di conti giudiziari fuori dalle aule dei tribunali. Del resto, in tempi per nulla sospetti, fu Bettino Craxi a spiegare come funzionano certe cose: se si vuole insabbiare un caso, diceva, la cosa migliore da fare è una commissione d’inchiesta.