Andrea Landretta
Se nel polverone ci sono finiti gli amici, si è sempre pronti a fare un passo indietro, a mangiarsi velocemente le proprie parole e a cambiare frettolosamente idea. Così, le intercettazioni, da garanzia della verità, diventano semplici conversazioni tra amici, dà fastidio che organi dello Stato le usino per ricercare la realtà dei fatti.
Sulla morte di Paolo Borsellino, Chiara Colosimo, presidente della commissione Antimafia, ha da sempre promesso di voler fare sul serio, di indagare fino alla fine per ritrovare la verità.
Al centro dell’attenzione, in questo momento, ci sono i due parlamentari voluti da Giuseppe Conte, Cafiero De Raho e soprattutto Roberto Scarpinato, beccato in una conversazione con Gioacchino Natoli, allora collega che, secondo la magistratura di Caltanissetta, non avrebbe indagato per bene sul rapporto Mafia-appalti scritto dai Ros, cruciale per conoscere cosa si nasconde dietro la morte di Paolo Borsellino.
De Raho, invece, viene sfiorato dalla vicenda dei casi di dossieraggio in cui sono coinvolti il finanziere Pasquale Striano e l’ex pm Antonio Laudati che operavano nella struttura della Direzione Nazionale Antimafia di cui De Raho era a capo all’epoca dei fatti.
De Raho e Scarpinato sono membri, entrambi, della commissione Antimafia e, si capisce, il conflitto d’interessi può chiaramente sorgere.
Per Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, non è così e difende i due pupilli del Movimento Cinque Stelle: Travaglio sostiene che Natoli “ha detto la verità e non c’è motivo di indagarlo.
Se Scarpinato e Federico Cafiero De Raho avessero fatto qualcosa di male o d’illecito, sarebbe doveroso indagarli, intercettarli, arrestarli e condannarli. Ma non hanno fatto nulla”. Travaglio, insomma, sputa sentenze di assoluzione prima ancora che lo facciano gli organi preposti, in una svolta garantista che bene si comprende nella difesa dei due membri del Movimento Cinque Stelle. La colpa di Chiara Colosimo e del centrodestra sarebbe quella di voler indagare su un fatto, la morte di Borsellino, che è chiaro qualcuno abbia voluto insabbiare fin dal suo accadimento, il 19 luglio di trentadue anni fa.
Travaglio, addirittura, definisce “tragicomico” indagare sul filone mafia-appalti come pista da seguire per conoscere la verità sulla morte di Borsellino. Malgrado, è ormai conclamato, il legame c’è e sembra essere forte: nell’indagare sulla morte di Giovanni Falcone di alcune settimane prima, Borsellino, come rivelato anche da chi in quei giorni ebbe contatti con lui, seguiva appunto la pista della possibile connessione tra l’omicidio di Salvo Lima, parlamentare democristiano, e l’uccisione del collega. Alla base di tutto ci sarebbe la possibile mancata attenuazione della posizione di Lima nelle indagini che portarono all’arresto di Angelo Siino, mafioso e poi collaboratore di giustizia. Secondo le ricostruzioni di Vittorio Teresi, allora sostituto procuratore, e dell’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino in commissione, questa stessa rivelazione potrebbe essere stata fatta da Borsellino nientemeno che a Scarpinato. Dunque il conflitto di interesse, che Travaglio sminuisce e, anzi, rinnega.
In commissione Antimafia è, per ora, tutto rimandato a martedì. Allo studio c’è la modifica del regolamento, per risolvere la questione dei conflitti di interessi. In un caso simile a quanto sta accadendo nella commissione d’inchiesta sul Covid per il leader dei Cinque stelle, che paradossalmente dovrà indagare e decidere sul suo stesso operato da premier durante la pandemia, l’intenzione della presidenza è quella di congelare la posizione dei due all’interno della commissione per non escludere a priori qualsiasi eventuale interferenza nelle indagini. Si cerca un accordo tra le parti, ma la maggioranza potrebbe avere i numeri per agire da sola. In ogni modo, è singolare che adesso che, finalmente, la commissione Antimafia sia tornata a indagare sulla morte di Borsellino, sorgano problemi del genere e giudizi approssimativi contro il suo operato.