Non regge la tesi secondo cui, nelle Bicamerale, la norma sui conflitti d’interessi colpirebbe pure gli azzurri: intanto perché la responsabilità penale è personale…
Se i parlamentari grillini in toga permanente Federico Cafiero de Raho e Roberto Scarpinato sono in conflitto di interessi all’interno della commissione bicamerale Antimafia, allora lo sono, e forse un po’ di più, anche i sei deputati e senatori di Forza Italia. Perché il loro partito è stato fondato da Silvio Berlusconi. Logica ineccepibile quella di Marco Lillo, che tra le vestali del “Fatto quotidiano” consacrate agli dei dell’“antimafia” della sacra inquisizione è sempre il più rancoroso. Hegeliano per principio e per affezione, Lillo usa la retorica delle domande che contengono le risposte per dimostrare prima di tutto che i suoi eroi Scarpinato e de Raho sono adeguati a giudicare se stessi, l’uno per l’archiviazione dell’inchiesta “Mafia-appalti”, l’altro come ex capo del tenente Striano e dei suoi dossier illegittimi, perché su quei fatti ne sanno più di tutti. E come no? Persino nella storia della mafia c’erano tanti che ne sapevano più di tutti. Oltre agli autori dei reati, anche quelli, come per esempio il procuratore generale Roberto Scarpinato, che prese la più grande cantonata della storia con l’inchiesta “trattativa” tra lo Stato e la mafia.
Dimostrata la tesi, Lillo passa all’antitesi. Perché, se i due parlamentari grillini in toga permanente dovessero, come sollecitato dalla presidente della commissione Chiara Colosimo, astenersi su determinati argomenti per conflitto di interessi, allora andrebbero sollecitati al medesimo comportamento una serie di altri soggetti. Tutti coloro che “hanno interesse” . Soggetti esterni al lavoro parlamentare, come il generale Mario Mori, autore della relazione su “Mafia-appalti” di cui si teme l’eventuale audizione a San Macuto, e poi la famiglia Borsellino con l’avvocato Trizzino e l’intera Procura di Caltanissetta, che ha il torto di aver aperto l’inchiesta per favoreggiamento della mafia, in cui sono indagati l’ex magistrato Gioacchino Natoli e il presidente del Tribunale Vaticano Giuseppe Pignatone. E poi il centrodestra, che ha interesse a stare dalla parte di tutti costoro, che sulla storia della mafia degli anni Novanta, e sui processi che ne sono seguiti, hanno una visione diversa e opposta quanto meno da Roberto Scarpinato. Ma tutto questo zibaldone di interessi e contro- interessi nella lunghissima requisitoria di Lillo pare finalizzata a una sola conclusione, la sintesi finale del suo pseudo-ragionamento.
I parlamentari di Forza Italia sembrano essere il vero bersaglio di così tante parole che sembrano pallottole. Di carta, ormai. Perché la sorte ha sottratto al piccolo sarcasmo quotidiano di Travaglio e dei suoi compari la persona di Silvio Berlusconi. Ed è inutile definirlo come “già indagato a intermittenza, tra un’archiviazione e l’altra, fino alla sua morte, come mandante esterno delle stragi di mafia…”.
Perché non c’è stata nessuna intermittenza, e il fondatore di Forza Italia è stato archiviato, a volte su richiesta dello stesso pm, già cinque volte in inchieste paradossali e schizofreniche. In ogni caso, Marco Lillo ripassi la Costituzione, la responsabilità penale è personale. Quindi per quale motivo i sei parlamentari di Forza Italia, in virtù di una qualche ridicola responsabilità oggettiva, dovrebbero astenersi dai lavori della commissione Antimafia come degli Scarpinato o de Raho qualunque? TIZIANA MAIOLO