(…) FIAMMETTA BORSELLINO non assolve nemmeno l’ex pm “antimafia” Ilda Boccassini, la prima tra i magistrati che operarono in quegli anni in Sicilia (fu applicata per due anni a Caltanissetta, dopo le stragi di mafia, dal 1992 al 1994) ad avanzare dubbi sulla genuinità delle parole di Scarantino.
Aveva lasciato una relazione scritta al procuratore capo Tinebra, prima di tornare a Milano.
A Fiammetta Borsellino questo non basta: “Io dico che se la Boccassini aveva qualche dubbio sul falso pentito Scarantino doveva fare una denuncia pubblica, così è troppo comodo.
La Boccassini è quello stesso magistrato che ha autorizzato dieci colloqui investigativi di Scarantino a Pianosa e poi si è saputo che servivano a fare dire il falso a Scarantino con torture e minacce”.
La ex pm, conclude la figlia del magistrato, non avrebbe dovuto limitarsi a una “letterina”.
Perché avrebbe potuto far esplodere il caso. Forse. O forse no, visti i tempi. Già, i tempi.
La fila delle responsabilità è lunga, dovrebbe partire da quegli agenti di polizia penitenziaria che fisicamente furono addosso tra il 1992 e il 1993 ai detenuti, mafiosi e non, deportati nelle carceri speciali di Pianosa e Asinara.
E poi quegli altri che tramite i colloqui investigativi si attivavano per costruire il “pentitificio” che avrebbe consentito a questori, capi di polizia, magistrati e governi di risolvere i “casi” delle stragi di Cosa Nostra. Le uccisioni di Falcone e Borsellino e tutte le altre, in modo da chiudere in bellezza (si fa per dire) un’intera storia.
Con le leggi speciali, i colloqui investigativi senza controlli e qualche capro espiatorio da tenere in galera a vita.
Non Totò Riina e gli altri boss, perché erano tutti latitanti. da IL RIFORMISTA 7 luglio 2022