In tutta la Lombardia l’anno scorso ci sono state undici denunce per usura. Ed è un dato in linea con gli anni precedenti. L’usura si conferma “un reato a elevatissima cifra oscura”, per usare le parole della coordinatrice della Dda di Milano Alessandra Dolci. “Le richieste di accesso al fondo di assistenza economica alle vittime di usura sono pochissime. Dai centri di ascolto antiusura e dalla rete di segnalazione della diocesi attivata dall’arcivescovo Delpini con la lettera ai parroci sull’usura e criminalità organizzata non abbiamo riscontri (parlo come Dda)”, sostiene Dolci.
Perché l’usura non si denuncia?
C’è il timore di subire gravi atti di ritorsione, ma c’è anche un rapporto tra usuraio e vittima che è quanto mai mutevole; può esserci sudditanza, talvolta connivenza o addirittura collusione. A volte la persona indebitata si sente quasi beneficiata del prestito, altre volte finisce per collaborare con il proprio usuraio. È successo anche che la stessa vittima abbia fatto da procacciatore per l’usuraio. Naturalmente stiamo parlando dell’usura gestita dalla criminalità organizzata, non di quella del cravattaio di quartiere.
Che importanza ha l’usura nelle attività dell’holding ‘Ndrangheta?
L’usura per la criminalità organizzata è tradizionalmente un modo per riciclare denaro. Lo era soprattutto negli anni passati. Qualche collaboratore di giustizia ci diceva: “I soldi li reinvestiamo al Nord perché lì possiamo chiedere tassi più elevati”. Ma sono elementi investigativi ormai datati. Ora l’usura è finalizzata anche a inserirsi e a rilevare le attività economiche, e il ricorso alla violenza è veramente residuale. La nostra attenzione è focalizzata sulle cooperative di servizi, che spesso sono meri contenitori di manodopera. È un sistema complesso: abbiamo un committente, che è un’impresa medio grande e che appalta ed esternalizza i servizi in favore di consorzi di cooperative, le quali sono scatole vuote (meri contenitori di manodopera e sostanziali bare fiscali): non pagano imposte, né contributi che compensano con crediti fittizi attestati da fatture false. Di questo sistema si avvantaggia il committente, che abbatte i costi di lavoro e ha una serie di servizi a prezzi fuori mercato. È un fenomeno grave: crea danno all’erario, ai lavoratori, i cui contributi non vengono versati, e soprattutto finisce per drogare il mercato consentendo a una serie di aziende di essere leader di una fetta di mercato proprio perché possono avvalersi di una serie di servizi (pulizia, facchinaggio, logistica, trasporti ecc.) a prezzi vantaggiosi. Questo è il sistema che stiamo monitorando anche attraverso le segnalazioni bancarie di operazioni sospette che attestano flussi ingiustificati di denaro ed inoltre siglando protocolli d’intesa con le sezioni fallimentari dei tribunali del Distretto. Ciò al fine di sensibilizzare i curatori fallimentari, che sono i primi ad avere contezza di questi “fallimenti annunciati”. Una visione parcellizzata dei singoli fallimenti non porrebbe invece in evidenza la gravità del fenomeno. Nelle indagine “Cavalli di razza”, nel Comasco, i fallimenti sono stati 20. In queste inchieste abbiamo anche documentato il fenomeno della “transumanza dei lavoratori”: centinaia di persone che passano dalle dipendenze di una società all’altra e che spesso non sanno chi è formalmente il loro datore di lavoro (la bara fiscale di turno).
Lei ha definito la Dda un “osservatorio privilegiato”. Se dovesse spiegare, in base alle indagini, qual è la realtà che non vediamo come la definirebbe?
Un fiume di denaro. In contanti. L’usura stessa è praticata con la consegna e restituzione di denaro contante. Una limitazione della circolazione del contante favorirebbe di per sé il decremento del fenomeno. Ma questo è un paese dove c’è un’imponente economia sommersa, dove si mischiano spesso il denaro che proviene dal traffico della droga con i proventi dell’evasione fiscale. Tutti noi bene o male utilizziamo forme di pagamento elettronico. Invece, quando siamo bravi e fortunati nelle nostre indagini, sequestriamo grossi quantitativi di denaro. Anche dalle chat criptate acquisite a seguito di indagini delle autorità francesi, abbiamo avuto modo di vedere in foto enormi quantitativi di denaro stoccati in diversi siti. La dimensione aterritoriale delle mafie, che occupano sempre più vasti settori economici, richiede una particolare formazione professionale anche a noi investigatori. Se fino a 20-30 anni fa il pm antimafia si occupava soprattutto di traffici di droga, di usura, estorsioni, e comunque di reati a connotazione violenta, ora deve avere una specifica preparazione per i reati a connotazione economica. Io oggi mi occupo perlopiù di fatture fittizie, bancarotte, indebite compensazioni di crediti d’imposta fittizi, cosa che non avrei mai immaginato 20 anni fa facendo Dda.
Le mafie hanno cambiato faccia
La ‘Ndrangheta in particolare ha una grandissima capacità di adattamento. Ha una struttura federativa, a differenza di Cosa Nostra, che è verticistica, e già questo facilita la replica di un modello: sono collegati ma ciascuna struttura è autonoma. E poi ha una visione strategica. Dopo l’indagine Infinito-Crimine del 2010…sembra passato un secolo… avevamo istituito con le forze di polizia il monitoraggio dei reati spia (la busta con il proiettile a un amministratore pubblico o a un imprenditore, la ruspa incendiata, la sventagliata di mitra contro le vetrine di un locale pubblico): erano centinaia a cavallo del 2010, ora sono pochissimi. Da allora non c’è stato più un omicidio di ‘Ndrangheta. Dopo quell’indagine, nel corso della quale abbiamo documentato 24 summit, hanno fatto esperienza e ne hanno tratto le debite conseguenze: stop alle riunioni, anche l’attività di intercettazione è diventata difficilissima. Se devono “ndranghetiare”, (parlare di ‘Ndrangheta), lo fanno in mezzo alla strada, e non portano con sé i telefoni cellulari. Al telefono o in macchina parlano più liberamente di affari, e allora diviene più semplice contestare, anziché il 416 bis, i reati a connotazione economica con aggravante dell’agevolazione mafiosa. È stato un passaggio che denota una visione strategica che arriva dalla casa-madre calabrese, la quale ha sempre privilegiato il “fare affari” nei territori dell’Italia settentrionale. “Meglio un brutto accordo che una bellissima guerra”: ecco una perla di saggezza intercettata nelle nostre indagini. E ancora: “La guerra porta solo disgrazie, la pace è buona per tutti”. Qual è allora l’evoluzione? La gestione di settori economici a bassa intensità tecnologica e ad alta presenza di manodopera. Ora quindi dicono: “Gestiamo le braccia. Offriamo dei servizi”. Il modello di impresa attuale è molto diverso rispetto a 20-30 anni fa e il fatto che molte aziende abbiano previsto l’esternalizzazione di parte dei servizi di manodopera è significativo. Il mondo del lavoro è radicalmente mutato e i mafiosi si sono inseriti in questo segmento gestendo la manovalanza.
La ‘Ndrangheta è cambiata, ma è cambiato anche il modo in cui viene vista?
Se faccio estorsioni, uso metodi brutali ed è ovvio che sono considerato un corpo estraneo. Ma se emetto fatture fittizie mi comporto come molti altri da sempre. E così quando li prendiamo cadono dalle nuvole e ci dicono: “Ma quale mafioso? Io faccio false fatture come tanti altri in questo Paese”. La ‘Ndrangheta cerca il consenso e l’accettazione: “Noi facciamo quello che fanno tanti imprenditori”, dicono. E il consenso sociale è in crescita, con rischi seri e gravi per l’economia. Trovo sorprendente che soggetti che hanno già condanne per appartenenza alla ‘Ndrangheta siano considerati dal contesto sociale operatori socio-economici e interlocutori affidabili per fare affari. Manca veramente il discredito sociale. Allora mi cadono le braccia e dico: è tutto inutile.
Come prevenire le infiltrazioni per i lavori di Milano-Cortina 2026?
Avevo chiesto di prendere spunto dal protocollo Expo per il controllo sui contratti e subappalti, sui flussi di manodopera e sulla tracciabilità dei flussi finanziari, ma così non è stato. Era anche più complesso da realizzare visto che le Olimpiadi riguardano un contesto più ampio della Città metropolitana, con diverse prefetture interessate e con investitori privati. Nel caso di Expo fu fatta una legge ad hoc, ora è stata fatta una scelta politica diversa. Quindi saranno le singole prefetture a monitorare la situazione in prima battuta. Prefetture che peraltro sono molto presenti. Le interdittive antimafia sono in crescita e sono uno strumento efficacissimo; bisognerebbe quindi rafforzare gli organici degli uffici prefettizi.
Come vengono gestiti i beni confiscati?
Sono beni gestiti spesso da associazioni che fanno capo alla diocesi e fanno un’opera meritoria. L’arcivescovo ha a cuore il tema della presenza delle mafie nel nostro territorio e abbiamo fatto, con il suo sostegno, degli incontri con i sacerdoti dei decanati. Inoltre le associazioni cattoliche gestiscono nel modo migliore i beni confiscati. Penso alla masseria di Cisliano, confiscata alla famiglia Valle, con don Massimo Mapelli che riesce a coinvolgere i ragazzi come nessun altro. L’anno scorso abbiamo inaugurato un terreno a Quinto Sole, alla periferia di Milano, confiscato a uno ‘ndranghetista: era inselvatichito e i ragazzi l’hanno ripulito. Adesso c’è una serra con ortaggi. È stata una bellissima giornata, c’era il prefetto c’erano i ragazzi che lavoravano e cantavano felici. Bravi!… Proprio bravi! Sono esempi assolutamente positivi perché abbiamo bisogno di un aiuto da parte dei giovani. Ci possono dare una mano anche con un lavoro manuale, che però consente di fare gruppo e soprattutto di riconoscersi in determinati valori. Lavorare insieme per restituire alla collettività un bene confiscato, togliere terreno alle mafie facendo crescere una cultura di rispetto delle istituzioni, dei beni comuni, dei valori della legalità e del senso civico: c’è un significato concreto e insieme profondo in tutto ció.