ARCHIVIO 🟧 CAPONNETTO: sul vero perché del trasferimento di Falcone e Borsellino all’ASINARA riuscimmo a mantenere il segreto

 


ANSA 16 giugno 1992

 ”Per lungo tempo  questo episodio rimase sconosciuto ai piu’ e quando la notizia trapelo’ riuscimmo a mantenere il segreto sulla drammatica motivazione di quello improvviso trasferimento, che la stampa ha sempre attribuito alla decisione dei due colleghi di appartarsi in luogo sicuro ed isolato per meglio dedicarsi alla stesura delle parti della sentenza-ordinanza ad essi assegnate.
In realta’ –
rivela Caponnetto nell’ articolo di ‘Suddovest’ – avendo lasciato Palermo con la massima urgenza, a poche ore dalla segnalazione ricevuta, essi non avevano avuto alcuna possibilita’ di scegliere e portare con se’ alcuna parte dell’immenso materiale raccolto, colla conseguenza che, per 15 giorni, dovettero forzatamente sospendere il proprio lavoro.
Per tale motivo insistevano ogni giorno per poter ritornare in ufficio e riprendere il lavoro interrotto: ma cio’ fu loro consentito solo quando fummo sufficientemente tranquilli sul ‘cessato pericolo’. Si sa che, per quel ‘soggiorno obbligato’, Falcone e Borsellino dovettero ‘pagare il conto’ allo Stato nel senso che fu loro presentato il conto per i pasti consumati sull’isola”. 

 

 

 


Dal 5 al 30 agosto 1985 Falcone e Borsellino furono “deportati” assieme alle famiglie sull’isola-penitenziario dell’Asinara


I primi giorni in cui siamo arrivati all’Asinara attendevano che arrivassero gli incartamenti  del Maxiprocesso e ricordo che si sentivano come dei leoni in gabbia, impotenti, sentivano di avere le mani legate senza poter far nulla, ma sono stati anche i giorni in cui si sono goduti una sorta di “vacanza obbligata”, forse almeno per qualche ora, da quello che era diventato il loro obiettivo primario.
Quando arrivarono i faldoni invece si gettarono anima e corpo su quegli incartamenti e furono totalmente assorbiti da tutto ciò che comportarono.
Per quanto riguarda noi familiari, sicuramente mia mamma, mio fratello Manfredi e mia sorella Lucia avranno avuto una percezione diversa rispetto a me che ero più piccola, ma ad ogni modo la percezione di pericolo si avvertiva.
Il 6 agosto 1985 i corleonesi avevano ucciso a Palermo Ninni Cassarà, vicecapo della Squadra Mobile e capo della sezione investigativa.
Più di un collaboratore prezioso per mio padre e per Falcone. Da quella tragedia in poi il loro lavoro all’Asinara proseguì con un altro ritmo”.
FIAMMETTA BORSELLINO

 

 

LUCIA, MANFREDI e FIAMMETTA BORSELLINO: “Quando fummo “deportati” all’Asinara”

 

 

FIAMMETTA BORSELLINO: “La mia vita all’Asinara e quella frase di Falcone…”

 

 

Asinara, Manfredi Borsellino torna nell’isola parco dopo 37 anni

 

 

 

 

 

ERA D’ESTATE

 

UN RACCONTO CREPUSCOLARE CHE ILLUMINA LA DIMENSIONE UMANA DEI GIUDICI FALCONE E BORSELLINO.

 

Recensione di Paola Casella

Estate 1985. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vengono trasferiti d’urgenza all’Asinara insieme alle loro famiglie in seguito ad una minaccia più allarmante del solito. I giudici stanno lavorando al maxiprocesso penale che, la storia insegna, porterà in carcere molti dei protagonisti della criminalità organizzata. Dunque entrambi sono entrati nel mirino di Cosa Nostra, ma anche di quella parte della politica che preferisce il “vivi e lascia vivere”, quando si tratta di mafia.
Era d’estate racconta l’ostruzionismo dello Stato che, dopo aver mandato i due giudici “in vacanza coatta”, rifiutava di inviare loro i faldoni necessari per mettere in piedi l’istruttoria del maxiprocesso, e descrive la minaccia all’incolumità di due uomini e delle loro famiglie, ma sceglie di farlo in un contesto di acqua e luce, invece che in un teatro delle ombre, attraverso i colori pastello di un’estate di metà anni Ottanta filmata come un home movie di grande delicatezza nei confronti dei suoi protagonisti, il cui eroismo quotidiano era più grande di quello celebrato dalla Storia.
Fiorella Infascelli racconta due morituri la cui consapevolezza di andare incontro ad un destino già deciso era totale, ma insufficiente a farli desistere dalla ricerca di giustizia e verità. In quest’ottica Falcone e Borsellino sono due eroi classici, dunque spesso la televisione, meno spesso il cinema, hanno attinto a queste due figure donchisciottesche. Ma Infascelli preferisce illuminarne la dimensione umana affiancando loro le famiglie e quei figli che non potevano non risentire dell’incombenza della morte sulle teste dei loro padri. In un racconto che è crepuscolare nonostante la luminosità quasi accecante Infascelli ripercorre i giorni, sette anni prima delle stragi di Capaci e via d’Amelio, in cui i due giudici si sono ritrovati a condividere la quotidianità, i pasti, i bagni in mare, come amici di infanzia invece che come colleghi di lavoro.  
Le scene più riuscite riguardano proprio il legame di collaborazione e di stima fra Giovanni e Paolo, interpretati con credibilità e tenerezza da Massimo Popolizio (con altalenante accento siciliano) e Giuseppe Fiorello (la cui sicilianità invece tracima da ogni frase): il temperamento fumantino di Falcone, la dolcezza paterna e coniugale di Borsellino, l’ironia profondamente siciliana con cui entrambi discettano della propria morte. Meno riuscito il personaggio di Francesca Morvillo di cui non viene sottolineata l’importanza come compagna di lavoro, oltre che di vita, di Falcone, preferendo assegnarle una dimensione domestica che la apparenta ad Agnese Borsellino.