L’arresto dei fratelli Brusca grazie ai “pentiti”.

 

 

 
 

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Francesco Mongiovì ha ragione quando dice che i collaboratori sono fondamentali, c’ è poco da girarci attorno. Poi sulla gestione possiamo discuterne quanto vogliamo.
Lo stesso Brusca, anzi i fratelli Brusca, furono arrestati grazie all’ apporto di collaboratori come ben spiegò il dr Sabella, il PM che coordinò le indagini per la ricerca del latitante. Come ben spiegò il dottor Alfonso Sabella nel suo libro CACCITORE di MAFIOSI
 
“Un arresto importantissimo che non sarebbe mai stato possibile senza l’aiuto dei pentiti. Le prime, concrete indicazioni che ci hanno portato sulle tracce del boss latitante sono venute infatti proprio dal mondo dei collaboratori di giustizia, da alcuni ex fedelissimi di Leoluca Bagarella che, una volta arrestati, sono passati dalla parte dello Stato. Senza le rivelazioni di chi conosce l’organizzazione dall’interno, Cosa nostra sarebbe ancora oggi un pianeta inesplorato, un mondo invisibile e invincibile.
L’inchiesta sulla latitanza di Giovanni Brusca si trascinava ormai da quattro anni. Un nuovo impulso alle indagini viene da Tullio Cannella, l’imprenditore edile dell’Euromare Village, il fondatore di Sicilia Libera. Cannella è legato da vecchia amicizia a Tony Calvaruso, l’autista di don Luchino, anche lui finito in carcere. In prigione Tullio si pente; Tony invece, sulle prime, non cede.
A fine anno, durante una drammatica udienza di un processo, nell’aula bunker di Rebibbia a Roma, Cannella rivolge un pubblico appello al suo ex amico, invitandolo a fare come lui, a collaborare con la giustizia.
Fino ad allora rimasto duro come una roccia, Calvaruso rompe gli indugi, «si mette a Modello tredici» e ci chiama. È il 5 gennaio del nuovo anno. La vigilia della Befana. Per noi, l’autista di Bagarella che collabora è davvero un bel regalo.
Tony Calvaruso ha vissuto per ben due anni fianco a fianco con Leoluca Bagarella e del capo corleonese conosce vizi, abitudini e segreti. Lo ha scarrozzato in macchina qua e là e ha una straordinaria memoria
fotografica: ricorda con precisione volti e luoghi. Soprattutto luoghi, covi, tane e rifugi. La sua testimonianza è preziosissima. È in carcere a Rebibbia, braccio speciale, sotto stretta sorveglianza.
Quel giorno, un freddissimo venerdì, chiede un contatto con la Dia e con noi magistrati della procura di Palermo. Nel parlatorio del carcere Tony esordisce: «Vi posso dare un’informazione utile: so dove Giovanni Brusca si è fabbricato la casa».
Per noi, in quel momento, Brusca rappresenta l’icona del male. Il suo nome è ai primi posti della lista dei latitanti. Insomma, è l’obiettivo numero uno.” 

 

Francesco Mongiovì: “Uomo di Stato. La mia vita in Polizia, dalla scorta a Falcone agli arresti di Brusca e Provenzano”.

 

Francesco Mongiovì Uomo di Stato. La mia vita in Polizia, dalla scorta a Falcone agli arresti di Brusca e Provenzano

Palermo, anni Ottanta. Francesco entra in Polizia nel clima rovente dopo l’attentato al generale Dalla Chiesa. Seguiranno anni di servizio allo Stato, prima come scorta nella Quarto Savona 15, questo il nome in codice del servizio di protezione del giudice Giovanni Falcone, e poi nella Sezione Catturandi, per dare la caccia e consegnare alla giustizia i latinanti più pericolosi, come Giovanni Brusca, l’uomo che premette il telecomando della strage di Capaci. Tra aneddoti e frammenti di vita vera, Francesco Mongiovì ci porta dietro le quinte della sua Palermo, ripercorrendo anni di missioni pericolose, spesso sotto copertura, per mostrarci dall’interno la lotta alla mafia.

“La cupezza di quei maledetti giorni delle stragi di Capaci e di via d’Amelio ci sovrastano e rivivono nelle parole di Mongiovì, con un coinvolgimento emotivo non altrimenti riscontrabile. I nominativi dei latitanti catturati, Provenzano, Aglieri, Brusca, solo per citarne alcuni, scorrono veloci nella narrazione per quanti sono ma, se solo ci si attardasse a soppesarne la caratura criminale, ci si renderebbe conto della loro valenza stratosferica”. Franco Gabrielli

Francesco Mongiovì (Palermo, 1959), già Sovrintendente Capo Coordinatore della Polizia di Stato, oggi in quiescenza, alla fine del 1988 è stato assegnato alla scorta del giudice Giovanni Falcone. Dopo la strage di Capaci è stato destinato alla Sezione Catturandi, in cui è rimasto per ventitré anni partecipando attivamente alla cattura di molti dei più pericolosi boss mafiosi di Cosa Nostra. Ha concluso la sua carriera nella Sezione Antidroga.

Stefano Marina, laureato in Lettere e Filosofia, è giornalista pubblicista e docente presso alcuni istituti superiori di Verona e provincia. Ha diretto riviste, programmi presso emittenti televisive locali, curato convegni e manifestazioni sulla legalità. Ha all’attivo diverse pubblicazioni, tra cui il volume Giovanni Falcone (Villaggio Maori, 2017).

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