Secondo SALVATORE BORSELLINO ieri i figli di suo fratello hanno partecipato a una squallida cerimonia in memoria del loro padre

Manfredi e Lucia alla cerimonia in memoria del padre Paolo Borsellino

📌 Un comunicato di tale natura non richiede commenti. Il livello dello scontro da tempo avviato dall’Ing. Salvatore Borsellino (vedasi note in calce) nei confronti di Fiammetta, Lucia e Manfredi Borsellino ha ormai superato il perimetro di una qualsivoglia accettabile dialettica di merito. 


Ha avuto luogo ieri alla camera, nella sala del Transatlantico, la squallida esibizione della borsa di Paolo Borsellino, asportata il giorno stesso della strage dalla macchina ancora in fiamme del magistrato non da mani di appartenenti alla criminalitĂ  organizzata ma da chi vestiva una divisa da carabiniere.
Quel giorno l’asportazione di un reperto di tale importanza dal luogo di una strage che ha cambiato la vita del nostro paese non era stato ritenuto degno nemmeno di una relazione di servizio, ma quella borsa conteneva l’Agenda Rossa di Paolo Borsellino, la scatola nera di quella strage annunciata, e quell’agenda a più di trenta anni di distanza non è ancora venuta alla luce e non potrà venire alla luce dato che ancora non si è mai svolta la fase dibattimentale di un processo per individuare i mandanti di quel furto.
Questo nonostante più di una volta, all’approssimarsi del 19 luglio, vengano con ampia risonanza della cronaca, eseguite perquisizioni nelle case e negli uffici di persone ormai defunte, come l’allora capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, o l’allora capo della Procura di Caltanissetta Giovanni Tinebra, persone nelle cui mani forse quell’agenda sarà transitata ma che in ogni caso, prima di morire, hanno sicuramente provveduto a farla custodire in luoghi più sicuri delle proprie abitazioni come i caveaux nei sotterranei di quei servizi segreti, di cui lo stesso La Barbera faceva parte, e dove quell’Agenda sicuramente, a mio avviso, oggi si trova.
E’ l’esibizione di quell’agenda che avrebbe meritato questa cerimonia in Parlamento alla presenza di tutti i più alti funzionari dello stato e non della borsa che la conteneva che dovrebbe essere conservata negli archivi del tribunale come corpo di reato di un processo che dopo più di trenta anni non ancora avuto luogo.
Non pensi la presidente del consiglio Giorgia Meloni che per legittimarsi basti esibire la borsa di Paolo Borsellino o passare nel giorno del suo insediamento sotto la sua gigantografia, ci sono giĂ  troppe persone nel nostro paese che hanno dietro la propria scrivania la foto-manifesto di Paolo e Giovanni senza esserne affatto degni.
Non pensino i rappresentanti di questo sistema di potere di legittimarsi ricordando che Paolo avesse idee politiche di destra, si trattava di una destra che con quella oggi al governo che ha scelto di convivere con la mafia, che ha affermato per bocca di un ministro di uno dei suoi primi governi, che con la mafia si può convivere, non ha niente a che fare.
Non pensi la presidente di una commissione parlamentare antimafia, completamente delegittimata dal peso che viene dato al suo interno ai consulenti insediati per le pressioni del generale Mori (?) e dal suo limitare le indagini alla sola strage di Via D’Amelio e ad un fantomatico dossier mafia appalti che mai avrebbe potuto giustificare l’improvvisa accelerazione di quella strage, di potere riacquistare credibilità con questa squallida esibizione.
Non pensi l’allora maresciallo Canale Canale di riacquistare credibilità dopo le sue altalenanti dichiarazioni relative all’incontro dei Paolo Borsellino con il Ros nella Caserma Carini, prima attribuite alle indagini di Paolo sull’autore della lettera del Corvo e in seguito, molto in seguito, attribuite al suo interesse per il dossier mafia-appalti.
Egli stesso ammette di avere detto una bugia parlando dell’amicizia di Paolo per Vincenzo Parisi e, come è noto, una bugia tira l’altra, e dovrebbe sapere, quando rivela che Paolo gli avrebbe confidato che avrebbe fatto arrestare il suo capo Pietro Giammanco, che un magistrato non può richiedere l’arresto di un altro magistrato facente parte del suo ufficio.
E dovrebbe anche ricordare, perché e lui stesso ad averlo detto, che Paolo Borsellino gli aveva detto un giorno che nell’Agenda Rossa ce n’era anche per lui.
Quello che più mi dispiace è però che a questa squallida cerimonia di Stato abbia presenziato anche il Presidente della Repubblica perché ho ancora impresso il tragico silenzio con il quale aveva risposto all’appello a lui rivolto dal Coordinamento delle Associazioni dei familiari delle vittime di stragi e di attentati perché non firmasse quel decreto Sicurezza che con il suo famigerato articolo 31 da ai servizi la facoltà di compiere, protetti dalla legge, tutti quei reati che hanno sempre commesso anche nella preparazione di quella lunga serie di stragi che hanno insanguinato il nostro paese decreto di cui appena qualche giorno fa, la stessa Corte di Cassazione ha fatto notare le tante deviazioni dai dettati della nostra Costituzione.
Salvatore Borsellino
 
 
 
 

Ma se da un lato ai figli di Paolo mi lega il terribile dolore per questa morte annunziata e l’insopprimibile esigenza di verità su una strage nella quale è stata stroncata la vita del loro padre e di mio fratello,
da essi è emersa una posizione processuale che si è venuta a differenziare nel corso dei tanti processi, arrivando purtroppo, e con mio grande dolore, a influire anche sui rapporti personali. Devo dire, da parte mia, che ho ascoltato con sconcerto le dichiarazioni fatte in questa sede nei confronti dei due magistrati o meglio di un magistrato e di un ex magistrato, oggi senatore della Repubblica. Mi riferisco a Nino Di Matteo e a Roberto Scarpinato ai quali mi sento invece di dover manifestare pubblicamente e in questa stessa sede la mia stima e la mia gratitudine per avere in questi lunghi anni ricercato con tutte le loro forze quella verità e quella giustizia per le quali continuo a combattere in nome di quell’agenda rossa che ho scelto a simbolo della mia lotta. Sono ben altri i magistrati verso i quali bisognerebbe puntare il dito.
 
Dall’audizione di Salvatore Borsellino in Commissione Antimafia 18 ottobre 2023

 

 


22.6.2018 

“Ti chiedo scusa per le incaute affermazioni di un membro della mia famiglia”

 

 

 

Via d’Amelio, Salvatore Borsellino al pm Di Matteo: “Miei familiari ti accusano del depistaggio. Io ti chiedo scusa”

“Ti chiedo scusa se qualche mio familiare ti ha accusato di essere coinvolto nel depistaggio Scarantino“. Così Salvatore Borsellino al pm Nino Di Matteo, intervenuto a un’iniziativa pubblica alla Camera del Lavoro di Milano. “Sono sicuro che per quel depistaggio sono altri i magistrati che debbono essere portati a processo. Quindi ti chiedo scusa per le amarezze che ti hanno portato queste incaute affermazioni che sono state fatte da membri della mia famiglia. So che queste amarezze ti hanno portato a declinare l’invito per presentare un libro scritto da ragazzi del movimento Agende Rosse in via d’Amelio. Spero che tu riesca a superare queste remore”, ha continuato il fratello del magistrato ucciso in via d’Amelio il 19 luglio del 1992.
Il riferimento di Salvatore Borsellino è per la nipote, Fiammetta, figlia di Paolo. “Abbiamo avuto un balordo della Guadagna come pentito fasullo e una Procura massonica guidata all’epoca da Gianni Tinebra che è morto, ma dove c’erano Annamaria Palma, Carmelo Petralia, Nino Di Matteo…” aveva detto alcuni mesi fa l’ultimogenita del giudice in un’intervista al Corriere della Sera. “Venticinque anni di schifezze e menzogne. All’Antimafia consegnerò inconfutabili atti processuali dai quali si evincono le manovre per occultare la verità sulla trama di via D’Amelio”, aveva continuato Fiammetta, che sulla questione ha anche inviato una lettera al Csm.  

Dopo le parole della figlia del magistrato assassinato, il pm Di Matteo – ora in servizio alla procura nazionale – aveva chiesto di essere sentito dalla commissione Antimafia. “Quando vennero avviate le indagini, io non ero magistrato ma uditore… Entrai a far parte del pool che seguiva le stragi di mafia solo nel novembre ’94, quindi due anni e 2 mesi dopo l’arresto di Scarantino avvenuto sulla base di accuse di pentiti che mai ho interrogato e intercettazioni che mai ho ascoltato all’epoca”, ha detto il pm ricordando che “a occuparsi delle stragi all’epoca erano il dottor Tinebra, il dottor Cardella e, forse ricordo male, ma al primo interrogatorio di Scarantino c’era anche la dottoressa Boccassini. Se c’è stato un depistaggio, è la mia opinione, si è cominciato a realizzare prima del settembre 1992”. Ilda Boccassini, nell’ottobre del 1994, prima di lasciare Caltanissetta, scrisse una lettera al procuratore Tinebra esprimendo dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni di Scarantino, ma Di Matteo non ne seppe nulla per quasi un decennio, fino al “2011- 2012. Mai parlato di stragi con la Boccassini”.

 

 


 

 
 
 
 
 
 
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