12 luglio 1992, Paolo Borsellino sente avvicinarsi l’ora della sua eliminazione…

 


12 luglio 1992
“Sono le sei del mattino, quando mi sveglio” ricorda il tenente CARMELO CANALE. “Nella camera d´albergo che condividiamo, il procuratore é giá al lavoro.
Lo vedo scrivere su questa agenda rossa. Gli chiedo: ma che fa? Vuol diventare pentito pure lei? Non stará prendendo nota su cosa abbia mangiato ieri sera a cena e chi c´era con noi?”

La sera precedente, a cena, erano in quattro: con Borsellino e Canale, c´erano DIEGO CAVALIERO ed il sostituto procuratore Alfredo Greco. “Carmelo – risponde gelido Borsellino per me é finito il tempo di parlare. Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch´io ho le mie cose da scrivere. E qua dentro ce n´é anche per lei.“Il mio problema è il tempo.
Sente scivolare via i giorni, le 24 ore di un giorno sono troppo poche per la mole di lavoro enorme che vuole portare avanti. Intanto aspetta di essere sentito in merito alla strage di Capaci a Caltanissetta ma la chiamata non arriva. CAPONNETTO lo chiama spesso ed è preoccupato: lo sente stanco e insoddisfatto a causa delle molte difficoltà che sta trovando. “Mi ritrovo più o meno nella stessa situazione in cui si trovava Giovanni”, gli dice. Condizioni di lavoro difficili, ostacoli all’interno della Procura. Caponnetto chiede ad Ayala di controllare Borsellino, è veramente preoccupato.
Borsellino, davanti alle richieste di lavorare meno formulate da Ayala, risponde: “Giuseppe, non posso lavorare meno. Mi resta poco tempo. Ad essere preoccupato per lui è anche uno dei suoi più cari amici, Alfio Lo Presti, che un giorno gli propone di essere prudente, di lasciare perdere e andare via da Palermo, il pericolo è troppo alto. “Allora tu pensi che col mio lavoro non ho concluso niente, che i miei anni da magistrato sono stati inutili. Certo, il male è sempre diffuso, ma come sarebbe stato se io non avessi dato il mio contributo, se io ogni volta fossi fuggito? Non hai rispetto per i miei sentimenti, per tutte le mie scelte di questi anni, non mi sei amico se mi consigli così”, Borsellino si offende e si arrabbia terribilmente e a fatica l’amico riesce a fargli capire quanto la sua sia solo una supplica all’attenzione. Tesi

 

 

◽️Copia dall’AGENDA GRIGIA del dottor Borsellino


12 luglio 1992 PAOLO BORSELLINO
a Salerno al battesimo del figlio dell’amico e collega, DIEGO CAVALIERO. Cavaliero desidera che Borsellino faccia da padrino di battesimo al suo bambino, Massimo. La risposta è immediata: «Ne sono felice, così tolgo questo bambino dalle mani di un miscredente come te».  Il battesimo è fissato a Salerno per il 12 luglio, domenica. «Ma non è Paolo quello che ho di fronte è completamente assente». Tranne per un momento, quando prende il suo nuovo figlioccio sulle gambe e sorride. Probabilmente è l’ultima fotografia, appena sette giorni prima della strage.  

DIEGO CAVALIERO  Magistrato collega di Borsellino a Marsala  – «L’ultimo sorriso di Borsellino». Parla l’allievo 

Dagli insegnamenti sul campo alla grande fede. Sette giorni prima della strage, il magistrato palermitano aveva fatto da padrino di Battesimo al primogenito del giovane giudice salernitano «Paolo era un macinacarte. Per lui il lavoro era importantissimo, ma non era la sua vita». Non ha mai fatto a gara per essere amico o erede di Paolo Borsellino, ma Diego Cavaliero, oggi 59 anni e consigliere di Corte d’Appello di Salerno, del magistrato assassinato in via D’Amelio esattamente 25 anni fa assieme ai cinque agenti di scorta era una sorta di «figlio putativo». Per un quarto di secolo ha tenuto i suoi ricordi come un tesoro prezioso da custodire gelosamente. Del suo rapporto con il giudice palermitano ha parlato solo nelle aule di giustizia di Caltanissetta, durante gli innumerevoli processi per fare luce sulla strage del 19 luglio 1992, ma senza giungere a nessuna verità. Adesso di colui che riconosce come «padre, amico e maestro», parla nel libro ‘Paolo Borsellino. L’uomo giusto’ (San Paolo Editore) e tira fuori aneddoti, che fanno del giudice Borsellino una persona capace di porre attenzione all’altro con cui entra in relazione. Cavaliero incontra Borsellino, che è stato appena nominato procuratore capo a Marsala, quando viene assegnato come uditore giudiziario proprio alla procura di Marsala. I due magistrati, gli unici in servizio, a partire dal gennaio 1987, si dividono il lavoro a metà. Ma Borsellino capisce di avere alcune lacune sul lavoro da svolgere come pubblico ministero, avendo svolto sempre il ruolo di giudice istruttore, in vigore nel vecchio Codice di procedura penale sostituito poi nel 1988. Così un giorno, davanti a un piatto di spaghetti sul lungomare di Marsala, dice a Cavaliero: «Diego, insegnami a fare il procuratore della Repubblica. Ho sempre fatto il giudice istruttore, ma mi rendo conto che ho delle grosse lacune. Tu sei più fresco di studi». «Lui in ogni caso è il capo, un leader» sottolinea. «Grazie anche al suo ruolo in famiglia, riesce a mediare sempre tra la funzione di padre e quella di magistrato. 
Il pedagogo parla al giudice». I due vivono e lavorano in maniera simbiotica. Cavaliero diventa di casa dai Borsellino, frequenta la villetta di Villagrazia, fa amicizia coi figli, accompagna il giudice dalla mamma in via D’Amelio. Poi il giovane magistrato è costretto, per motivi familiari, a tornare a Salerno, ma ogni scusa è buona per incontrarsi.
Accade anche alla fine di giugno 1992, a Giovinazzo, in Puglia, dove Borsellino si trova per un convegno. Giovanni Falcone è stato ucciso da poco più di un mese, l’albergo è assediato per motivi di sicurezza.  «Mi dice: ‘Sai Diego, quando subisci la perdita di un parente caro, tu vai al suo funerale e piangi non solo perché ti è morto il parente o l’amico, ma perché sai che la tua fine è più vicina’» racconta Cavaliero. È la prova che Borsellino è perfettamente consapevole della fine a cui sta andando incontro. Cavaliero desidera che Borsellino faccia da padrino di battesimo al suo bambino, Massimo. La risposta è immediata: «Ne sono felice, così tolgo questo bambino dalle mani di un miscredente come te».
Il battesimo è fissato a Salerno per il 12 luglio, domenica. Il luogo della strage a Palermo, in via D’Amelio, dove il magistrato palermitano si era recato a trovare l’anziana madre il 19 luglio 1992 «Ma non è Paolo quello che ho di fronte – racconta Cavaliero – è completamente assente». Tranne per un momento, quando prende il suo nuovo figlioccio sulle gambe e sorride. Probabilmente è l’ultima fotografia, appena sette giorni prima della strage.
Cavaliero è un testimone prezioso anche del modo di vivere la fede cristiana di queste giudice: «Credo che la fede lo abbia aiutato in quello che è il concetto di morale, che va anche al di là della religione, ma individua ciò che è giusto o sbagliato in senso assoluto». Resta l’amarezza e la delusione su quella verità negata. «Perché è morto Paolo non si sa e forse non si saprà mai. Ci sono due fatti che da uomo della strada non riesco a capire. Il primo è il problema dell’agenda rossa sparita dalla borsa ritrovata dentro la Croma blindata in via D’Amelio. Perché non è stato fatto l’esame del Dna sulla borsa, visto che lo hanno fatto sui mozziconi di sigaretta ritrovati a Capaci, rendendo immediata l’individuazione di chi aveva schiacciato il telecomando per la strage?» si interroga Cavaliero. E poi la creazione del falso pentito Vincenzo Scarantino: «Come si è arrivati a questa figura?». «Paolo è morto da solo – aggiunge – con la consapevolezza di andare a morire, ha affrontato il proprio destino come un samurai, che credeva nella giustizia non come principio astratto ma come affermazione di verità, affrontando un nemico armato della propria fede cristiana e della propria idea di legalità e di giustizia».