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Totò Riina avrebbe deciso di uccidere Paolo Borsellino perchĂŠ temeva si opponesse alla Trattativa. Mentre âlâinvito al dialogo pervenuto dai Carabinieri attraverso Vito Ciancimino (âŚ) può certamente avere determinato lâeffetto dellâaccelerazione (âŚ) con la finalitĂ di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato e di lucrare, quindi (âŚ) maggiori vantaggiâ.
âQuesto afferma la sentenza di Palermo sul processo Trattativa Stato-mafia, emessa dai giudici della Corte dâAssise lâanno scorso.
Attualmente il processo è in fase di appelloâ. A ricordarlo allâAdnkronos a 28 anni dai fatti di Via DâAmelio è Gian Carlo Caselli, giudice istruttore a Torino, che poi ha guidato la Procura della Repubblica di Palermo subito dopo lâuccione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nonchĂŠ delle persone delle loro scorte. Oggi dirige lâOsservatorio di Coldiretti sulla criminalitĂ nellâagricoltura e sulle âagromafieâ.
Di recente lâex magistrato ha pubblicato anche un saggio, insieme al collega Guido Lo Forte giĂ pm a Palermo e a Messina come procuratore capo della Repubblica. Si intitola âLo Stato Illegaleâ (Editori Laterza) e traccia la storia degli stretti legami tra mafia, politica e imprenditoria nel periodo che va da Portella della Ginestra a oggi: allâeccidio di via DâAmelio del â92 sono dedicate ampie parti del volume.âNel capitolo dedicato alle stragi e ai relativi processi, fino a quello sulla Trattativa -sostiene Caselli- viene precisato che la storia di Borsellino ha avuto uno sviluppo tanto clamoroso quanto scellerato.
A Caltanissetta sono stati celebrati vari processi sulla strage di via DâAmelio. Ma il cosiddetto âBorsellino quaterâ ha segnato un ribaltone, perchĂŠ la motivazione della sentenza di primo grado (1865 pagine, depositate il 30 giugno 2018) è totalmente sconvolgente: le dichiarazioni del pentito Vincenzo Scarantino, poste a fondamento dei precedenti processi sulla strage e di svariate condanne allâergastolo, sono false in quanto frutto âdi uno dei piĂš gravi depistaggi della storia giudiziaria italianaâ, realizzato da âsoggetti inseriti negli apparati dello Stato’â.
Qui la sentenza fa riferimento specifico âal gruppo di investigatori dellâepoca guidato da Arnaldo La Barbera, appositamente istituito per le indagini sulle stragi presso la Procura di Caltanissetta: sarebbero stati loro a indirizzare lâinchiesta costruendo falsi pentiti, per scopi che sicuramente vanno ben oltre lâansia di ottenere risultati nella ricerca dei responsabili del delitto del 19 luglio 1992â.
âI giudici -conclude Caselli- e lo abbiamo scritto chiaramente con Lo Forte anche nel libro, sottolineano lâiniziativa âdecisamente irritualeâ dellâallora procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, di chiedere la collaborazione nelle indagini di Bruno Contrada e quella improvvida di non voler sentire ciò che Paolo Borsellino poteva rappresentare in ordine alla strage di Capaciâ..
AdnKronos, 18 luglio 2020
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