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31.7.2025 Caselli, dietro morte Borsellino non c’è indagine mafia-appalti – ANSA
“Non ci sono elementi per dire che la strage via D’Amelio sia collegata all’indagine mafia-appalti e, inoltre, nè prima del mio arrivo alla procura di Palermo nè dopo c’è stata una cattiva gestione di quell’indagine.
Ridurre la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, eroi moderni di epica grandezza, al tentativo di fermare l’inchiesta mafia-appalti significa ridimensionare il loro valore storico.
Entrambi, sia Falcone che Borsellino, sono stati uccisi per una vendetta postuma di Cosa nostra che li riteneva i suoi peggiori nemici.
In più Borsellino fu fermato per impedire che riferisse ai magistrati di Caltanissetta, qualora mai l’avessero convocato, quanto a sua conoscenza sull’attentato a Falcone”.
Lo ha detto l’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli nel corso della sua audizione davanti alla commissione nazionale antimafia nell’ambito delle attività d’indagine svolte sulla strage costata la vita al giudice Borsellino e alla sua scorta.
“Trovo ingiusto strumentalizzare una tesi a discapito di altre”, ha aggiunto.
Caselli, che ha retto al Pocura di Palermo dopo le stragi mafiose del ’92 (dal 1993 al 1999), ha anche ricordato i successi dell’azione della magistratura di quegli anni. “Dopo la reazione dello Stato seguita agli attentati del ’92 c’è stato il più alto numero di collaborazioni con la giustizia, segno di un cambio di egemonia politica e sociale perché il mafioso si pente quando si fida dello Stato – non dimentichiamo poi i successi contro l’ala militare di cosa nostra, che ha subito colpi durissimi (come le condanne a 650 ergastoli e centinaia di anni di carcere), e le indagini sul lato oscuro dei rapporti tra pezzi Stato e boss”. Caselli ha rivendicato dunque i meriti e i successi della sua Procura. “Quei magistrati – ha spiegato – hanno diritto a rispetto autentico e spargere fango non è compito della commissione Antimafia”.
L’ex procuratore capo di Palermo Caselli in Commissione antimafia: «Le stragi del ’92 sono una vendetta postuma, non c’entra mafia-appalti»
«Non esistono elementi sufficienti a collegare la strage di via D’Amelio al dossier su mafia e appalti». Lo ha affermato Gian Carlo Caselli, già procuratore di Palermo, nell’audizione in corso davanti alla Commissione antimafia. «Falcone e Borsellino – ha ricordato Caselli – sono due eroi moderni, di epica grandezza, veri e propri giganti della storia non solo giudiziaria e non solo italiana. Dire che sono stati uccisi solo per i collegamenti con la vicenda mafia e appalti equivale a farne funzionari solerti, onesti, capaci, ma ben al di sotto di quello che fu il loro reale valore». «Il mio affetto per i familiari di Borsellino è sincero e profondo, legato a eventi che hanno cambiato l’Italia e le nostre vite: l’avvocato Trizzino ha potuto illustrare fin da subito le conclusioni che a mio avviso vanno raggiunte, ovvero la presenza di vipere nella Procura di Palermo nel 1992 e la configurabilità di un collegamento tra via d’Amelio e l’inchiesta mafia-appalti», ha proseguito l’ex procuratore capo di Palermo.
«Di fronte alle critiche rispetto al mio operato da procuratore non posso che formulare alcune osservazioni – continua Caselli, – Procura e magistratura di Palermo sono state in prima linea insieme a politica, Forze dell’Ordine, esercito e società civile per impedire che il nostro Stato diventasse assoggettato alla mafia e la nostra democrazia venisse travolta: un dato importante è il numero di mafiosi che dopo le stragi si sono pentiti e hanno collaborato con la giustizia, in pochi anni siamo passati da un numero esiguo a uno molto elevato. Come ci ha insegnato Falcone, il mafioso si pente e collabora con la giustizia quando comincia a fidarsi dello Stato: anche in virtù delle confessioni rese dai pentiti siamo riusciti a catturare un numero importante di mafiosi latitanti».
«Agli arresti sono seguiti i processi, basati sempre su prove consistenti: l’ala militare di Cosa nostra è finita alla sbarra, con 650 ergastoli e centinaia di condanne da trent’anni in giù; mai ce ne sono state così tante nella storia di Palermo. Si è inoltre impostata una nuova strategia d’attacco al lato oscuro del sistema mafia, indagando le relazioni esterne con settori della società civile e dello Stato, così da affrontare anche la cosiddetta criminalità dei potenti. Nessuno pretende che i pm di Palermo vengano pensati come salvatori della patria, ma di sicuro hanno diritto a un rispetto autentico: mettere in funzione macchine che spargano dubbi non è certo compito di una commissione parlamentare».
«Le stragi di Capaci e di via d’Amelio sono una vendetta postuma di Cosa nostra contro Falcone e Borsellino, acerrimi nemici, e il tentativo di seppellire nel sangue un metodo di lavoro vincente, quello del pool. Il presunto legame con l’inchiesta mafia appalti è allo stato del tutto indimostrato». conclude Caselli.
Omicidio di Paolo Borsellino, Caselli: “Fu ucciso perché era il nemico più odiato di Cosa nostra”
Queste le parole di Giancarlo Caselli, ex Procuratore di Palermo davanti alla Commissione nazionale antimafia. Paolo Borsellino “fu ucciso per un motivo semplice: Perché era Paolo Borsellino, il nemico più odiato di Cosa nostra. Responsabile del maxiprocesso che ha decreto la fine dell’impunità di Cosa nostra e quando le condanne divennero definitive Cosa nostra fu costretta ad agire”. Sono le parole di Giancarlo Caselli, ex Procuratore di Palermo davanti alla Commissione nazionale antimafia. Caselli: “Non dimentichiamo poi i successi contro l’ala militare di cosa nostra, che ha subito colpi durissimi” “Dopo la reazione dello Stato seguita agli attentati del ’92 c’è stato il più alto numero di collaborazioni con la giustizia, segno di un cambio di egemonia politica e sociale perché il mafioso si pente quando si fida dello Stato. Non dimentichiamo poi i successi contro l’ala militare di cosa nostra, che ha subito colpi durissimi e le indagini sul lato oscuro dei rapporti tra pezzi Stato e boss”. Così l’ex Procuratore di Palermo, Giancarlo Caselli davanti alla Commissione nazionale . “Trovo ingiusto strumentalizzare una tesi a discapito di altre. Non ci sono elementi per dire che la strage via D’Amelio sia collegata all’indagine mafia-appalti e, inoltre, né prima del mio arrivo alla procura di Palermo né dopo c’è stata una cattiva gestione di quell’indagine. Entrambi, sia Falcone che Borsellino, sono stati uccisi per una vendetta postuma di Cosa nostra che li riteneva i suoi peggiori nemici. In più Borsellino fu fermato per impedire che riferisse ai magistrati di Caltanissetta, qualora mai l’avessero convocato, quanto a sua conoscenza sull’attentato a Falcone”. Così, l’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli proseguendo la sua audizione davanti alla commissione nazionale antimafia nell’ambito dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio. Federico Rosa QdS 31.7.2025
Falso! Falso! Falso! Caselli ha spazzato via la coltre di bugie che sta avvolgendo l’Antimafia
Gian Carlo Caselli, intervenendo oggi in Commissione parlamentare antimafia, ha spazzato via la coltre di falsità con la quale Mori, De Donno, Trizzino hanno fin qui avviluppato la Commissione Antimafia, scandendo ripetutamente e per titoli precisi: Falso! Falso! Falso!
Grazie a questo “sgombero” democratico sarebbe ora finalmente possibile guardare oltre ed intravedere le figure-negate dalla narrazione mainstream, quelle cioè sulle quali per nulla al mondo doveva cadere l’attenzione degli onorevoli commissari e dell’opinione pubblica. Figure-negate come Giuseppe Graviano, Paolo Bellini, Marcello Dell’Utri, Guido Lo Porto. Ovvero alcuni dei protagonisti, noti e meno noti, della transizione tra prima e seconda Repubblica. Personalità dalle traiettorie che intrecciano pericolosamente quelle degli attuali attori di governo. Di Giuseppe Graviano, cioè il collegamento ineludibile tra tutti i fatti stragisti del ’92-’93, mai preso in considerazione dalle ricostruzioni Mori-Colosimo, Caselli pare chiedersi: ma come diavolo è stato possibile? Forse, rispondo io, la totale scomparsa di Giuseppe Graviano dalla scena del crimine dipende dalle domande che Graviano avrebbe trascinato sulla ribalta, domande impertinenti ed insopportabili: dal bar Doney a Spatuzza, dall’arresto a Milano, alle “esternazioni” durante il processo “‘ndrangheta stragista”, fino al misterioso e spettacolare ruolo dello storico fiancheggiatore, il gelataio di Omegna, nella rocambolesca vicenda mediatico-investigativa che ha quasi rovinato la festa (al ROS) per la cattura di Matteo Messina Denaro e la carriera all’incauto Giletti, cui sarebbe stata fatta intravedere la foto maledetta della merenda sul lago di Berlusconi, Graviano, Delfino. Paolo Bellini cioè una delle fonti adoperate dagli uomini di Mori per tenere aperto il dialogo con Cosa Nostra, che a Mori avrebbe recapitato tramite il capitano Tempesta prova documentale delle richieste dei boss di Cosa Nostra, prova che Mori avrebbe distrutto come se niente fosse, forse ritenendo che negoziare è governare, non punire. Quel Paolo Bellini che è stato definitivamente condannato per la strage di Bologna del 2 Agosto del 1980, diventa così il secondo collegamento ineludibile tra eversione neo fascista, P2, apparati infedeli, Cosa Nostra e stragi. Con Bellini per Bologna è stato condannato, serve ricordarlo incidentalmente, anche Luigi Ciavardini, quello dell’abbraccio garrulo ed imperdonabile con la presidente Colosimo. Marcello Dell’Utri… be’, è Marcello Dell’Utri, quello che merita l’imperitura stima da parte di De Donno, in sintonia con lo stesso Mori (che invece disprezza i magistrati di Palermo), manifestata platealmente, col silenzio (assenso?) della presidente Colosimo, il 19 giugno scorso in Parlamento (nella sua articolazione sammacutiana). Nonostante le condanne prima per truffe societarie e fiscali, poi per mafia, nonostante l’informativa Grande Oriente, nonostante l’allarme lanciato dallo stesso, stimatissimo Borsellino,nella sepolta intervista alla tv francese Canal Plus due giorni prima della strage di Capaci, che illumina i rapporti tra Vittorio Mangano, Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Guido Lo Porto, dal 1972 parlamentare per nove legislature prima con la casacca del MSI poi AN, quindi presidente dell’ARS negli anni gloriosi di Berlusconi a Palazzo Chigi e di Cuffaro in quello dei Normanni. Compagno di scuola ed amico personale di Paolo Borsellino, come ricorderà egli stesso quando nel Maggio del 1992 prese pubblicamente le distanze dalla iniziativa del MSI che lo volle candidare alla Presidenza della Repubblica. Arrestato con il fascio-mafioso Pierluigi Concutelli già nel 1968, attovagliato con mafiosi di primordine coinvolti nella organizzazione della strage di Capaci secondo le confidenze di Alberto Lo Cicero. Confidenze, quelle di Lo Cicero, delle quali Borsellino era informato ed alle quali aveva attribuito grande rilevanza, tanto da volersene occupare personalmente: ma venne ucciso il giorno stesso in cui Giammanco gli diede la delega su Palermo (telefonandogli sorprendentemente alle 7:30 del mattino della domenica 19 luglio 1992… Come se non avesse proprio potuto attendere l’indomani). Giuseppe Graviano e Paolo Bellini, insomma, sembrerebbero circoscrivere la “base”, Marcello Dell’Utri e Guido Lo Porto “l’altezza” di un solido geometricamente incistato nel cuore della Repubblica italiana. Un solido dalle radici profonde negli apparati illegali posti a difesa dello status quo e che, tutt’altro che passato, continua a produrre i suoi mefitici frutti avvelenati, carichi di disprezzo per la Costituzione. Di questa solida cisti continueremo ad occuparci, ma oggi resti agli atti che quel “Falso! Falso! Falso!” ripetuto in Antimafia da Gian Carlo Caselli mi è parso una specie di acconto sul riscatto atteso fin da quel: “Assolto! Assolto! Assolto!”.
31.7.2025 VERINI (PD) Caselli ha confermato quanto non sia possibile e quanto DEPISTANTE sia ridurre le cause della strage di Via D’Amelio al solo filone mafia e appalti
GIANCARLO CASELLI