«Quando volai in Costa Rica per sfuggire alla mafia: l’estate del 1992 diventai Marco Canale»
«Guardi ‘sti friggitelli. E i pomodori, senta che profumo! Solo acqua e sole, niente concimi. Qui sono fuori da tutto, ma ho tutto. L’unica scocciatura è che devo comprare sale, zucchero e caffè». Il vento tira forte sui colli di Montenero di Bisaccia. Antonio Di Pietro ci aspetta al cancello verde della sua masseria. «La mia estate è sempre stata qui, in campagna. Il mare? Da quassù si sente il profumo». Scoprire il buen retiro dell’uomo simbolo di Mani pulite sa di spy story. Un po’ com’è lui, del resto. Prima bisogna raggiungere un punto su Google maps, poi è il «Tonino nazionale» che ti guida per telefono. «C’è ancora qualche scocciatore da tenere a bada», spiega. Ad attenderci ci sono le oche, le galline, i pastori abruzzesi, gli ulivi, le vigne e l’orto. Qui è nato Antonio Di Pietro. A pochi metri di distanza, nel 1987, morì suo padre Giuseppe travolto da una balla di fieno. Da qui «Tonino» se ne andò a 10 anni, ma è sempre tornato. «Ora fino alla fine: a ottobre saranno 75, mi godo la mia terza età». È come ritrovarsi in un portale del tempo. E dall’estate 2025 torniamo a quella del 1992: Mani pulite infuriava già, ma la mafia voleva uccidere anche Di Pietro, dopo Falcone e Borsellino.
Di Pietro, lei nella vita ha fatto di tutto: cameriere, gelataio, operaio, poliziotto, pm, ministro, deputato e oggi è avvocato. Ma nell’estate del 1992 lei assunse addirittura un’identità di copertura. Ci racconta?
«Diventai Marco Canale. Ero stato un testimone importante per la procura di Falcone a Palermo e poi a Caltanissetta. Io ritengo che Borsellino sia stato ucciso non tanto per le indagini già fatte, ma per la maxi inchiesta che stava avviando: una “Mani Pulite siciliana”, perché le cosche mafiose stavano investendo miliardi nelle imprese edili al Nord».
Il 19 luglio 1992 la bomba di via D’Amelio uccide Borsellino. E lei dov’era?
«Pochi giorni prima avevo ricevuto un’informativa dei carabinieri del Ros: pure io ero tra gli obiettivi di Cosa nostra. In fretta e furia partii con mia moglie verso la Costa Rica, con un passaporto e una nuova identità.
In aereo facemmo più scali. Il resto della mia famiglia si sparpagliò, sempre per sicurezza.
Sono stato protetto molto bene dallo Stato e dalle forze di polizia. Non ne parlo volentieri: sono passati 33 anni ma fu un lungo periodo di paura, temevo per i nostri figli».
Chi è oggi Antonio Di Pietro?
«Sono un contadino anomalo. Non fatturo. Nei miei terreni si producono grano, olio, vino, verdure, coriandolo e semi di girasole. Ho affittato tutto a due agricoltori del territorio, per la cifra simbolica di un euro l’anno. Mi piace vedere la mia terra in ordine, com’era quando l’ha lasciata mio padre».
Suo padre è morto a pochi passi da qui.
«Laggiù. Era il 1987, facevo già il pm a Milano. Mi telefonò un vicino. Papà fu travolto da una balla di fieno, una tragedia che mi ha segnato».
E quando ha deciso di ritirarsi quassù?
«Il 1° luglio 2023, giorno in cui qui si è sposato Antonio Giuseppe, il mio figlio più piccolo. Ha voluto fare il matrimonio in mezzo a quegli ulivi. Due giorni dopo la fine della festa mi ritrovai qui, solo. Avevo comprato tutto nuovo: piatti, biancheria, cucina. E mi chiesi: perché me ne devo tornare a Bergamo? Così sono rimasto».
La sua giornata com’è?
«La sveglia varia, a seconda di quando canta il gallo. Poi scrivo, metto a posto le mie carte e sto nell’orto o a chiacchierare con chi viene a trovarmi».
Chi l’ha più delusa in politica?
«Uno per tutti: il senatore Sergio De Gregorio, che io candidai con l’Italia dei valori e che nel 2008 poi si vendette a Berlusconi per 3 milioni di euro,facendo cadere il governo Prodi».
Un politico di cui è rimasto amico?
«Ho avuto amici che hanno fatto politica, ma non sono mai stato amico di un politico. Ho avuto rapporti politici con tutto il sistema. Sono stato il fondatore dell’Ulivo. E poi non è facile arrivare fin qui (sorride, ndr)».
Tra Mani pulite e la sua discesa in politica aveva raggiunto una popolarità enorme. D’estate i paparazzi la inseguivano ovunque…
«Anche in Sardegna li vedevo spuntare. Ma non mi sono mai arrabbiato: facevano il loro lavoro».
E di Berlusconi cosa pensa?
«Lasciamolo riposare in pace. Le dico però che, complessivamente, ho affrontato 253 cause. Di queste: 37 come indagato e le altre come parte offesa. Le prime si sono concluse nella fase delle indagini preliminari, con archiviazioni o condanne di altri. Se avessi incassato tutti i risarcimenti che mi sono stati riconosciuti oggi sarei milionario. Da Berlusconi, però, ho ricevuto 100 mila euro per quando mi diffamò raccontando su giornali e televisioni che non avevo mai conseguito la laurea e che in verità ero un agente dei servizi segreti».
Per molti è un giustizialista. Lo è stato?
«Io non sono né giustizialista né garantista. Credo che la legge debba essere uguale per tutti. Sia per il povero Cristo, sia per il “mammasantissima”».
Prima di congedarci, Di Pietro va a controllare se la gallina ha fatto l’uovo, per offrircene qualcuno fresco. Ma niente. Allora ci racconta la sua ricetta estiva preferita: «Si chiama “zuppetta”: soffritto di cipolla, poi si aggiungono peperoni e pomodori e si cuoce a lungo e a fuoco lento. Alla fine ci mette sopra un bell’uovo in camicia. Vedrà che goduria. Vada piano eh!».
di Claudio Bozza, inviato a Montenero di Bisaccia CORRIERE DELLA SERA 22.8.2025
ANTONIO DI PIETRO