MAFIA e APPALTI 🟧 LIANA MILELLA: ecco cosa pensava il dottor FALCONE della gestione della Procura di Palermo

 

 

Cosa  pensava il dottor Falcone rispetto a come la procura di Palermo gestiva il rapporto mafia appalti dei Ros. A riferirlo a verbale  è la giornalista  LILIANA MILELLA

 

24 giugno 1992 Il Sole 24 Ore pubblica un articolo a firma di Liana Milella in cui viene riportato il contenuto di alcune pagine del diario di Falcone

 


Caro Pd, su “mafia-appalti” Falcone la pensava come i Ros: chi cambia le carte?

 

Ci sono manoscritti di Borsellino che i dem potrebbero chiedere a Colosimo di recuperare: a qualcuno interessa davvero sapere la verità?
Che il M5S accusi di falsità la ricostruzione dell’ex Ros Giuseppe De Donno, introdotto brevemente dal suo ex capo Mario Mori, non stupisce. Parliamo pur sempre di un movimento politico che oggi ha “reclutato” come senatore l’ex magistrato Roberto Scarpinato, uno dei titolari della famosa indagine “mafia e appalti”, che ha fatto del teorema – rivelatosi fallimentare – sulla “trattativa Stato-mafia” uno dei capisaldi della propria narrazione. Stupisce, semmai, la reazione dei parlamentari del Partito Democratico, membri della Commissione antimafia presieduta da Chiara Colosimo.
Stupisce perché, se il M5S ha come punti di riferimento un Marco Travaglio o un Giorgio Bongiovanni di Antimafia2000 – l’uomo che parla con gli alieni, vedere per credere – il PD, sul fronte del fenomeno mafioso stragista, ha (o almeno dovrebbe avere) come punti di riferimento storici come Salvatore Lupo o le analisi lucide di Massimo Bordin, di cui è appena ricorso il sesto anniversario della morte. Ecco perché ha provocato stupore quando, nel comunicato sottoscritto, tra gli altri, da Deborah Serracchiani, Franco Mirabelli e Giuseppe Provenzano, abbiamo letto che sono rimasti colpiti «dal fatto che nelle circa due ore di relazioni, gran parte del tempo sia stato dedicato ad autodifese dei propri comportamenti». Dal tenore di questo passaggio si sottintende che avrebbero avuto comportamenti ambigui dai quali sono stati costretti a difendersi. No, non è così.

Mori e De Donne assolti da tutte le accuse

Partendo dal fatto che non devono difendersi da nulla, visto che – pensiamo solo a Mario Mori – hanno subito processi su processi che hanno “vinto” con assoluzioni senza equivoci, la relazione era concentrata sul procedimento del dossier mafia-appalti. Non è stata autodifesa: casomai sono stati costretti a smentire le bufale che vengono riproposte in continuazione. Basti pensare al discorso secondo cui loro avrebbero nascosto dolosamente i nomi dei politici, per poi tirarli fuori all’improvviso solo in una successiva informativa: non è smentita da De Donno, anche se ha tutto il diritto di farlo, ma dagli atti giudiziari, che andrebbero letti laicamente, senza farsi fuorviare da chi ha altri interessi. Nell’immaginario, sembra che a criticare l’operato di una parte della procura di Palermo di allora siano stati solo gli ex Ros. Quasi da far capire che loro erano interessati a delegittimare per “indicibili” motivi.

Le parole di Giovanni Falcone

Se si avesse la pazienza di leggere tutta la documentazione, dai verbali emerge che è stato Falcone stesso a criticare i suoi colleghi. Il giudice ha seguito effettivamente tutte le indagini dei Ros partite dall’anno ‘88 e scaturite con il dossier depositato – per suo stesso volere – il 20 febbraio del 1991. Parliamo di indagini che riguardano – come si legge nel dossier sottoscritto anche da Falcone – «fatti accertati in Palermo, nella regione Sicilia e nel territorio nazionale dal 1988 in poi». Grazie alle informative precedenti al dossier, Falcone – come altri magistrati della procura di Palermo – era perfettamente a conoscenza, già con le informative inviate a partire da settembre 1990, dell’esistenza di una complessa attività investigativa volta alla “identificazione” dei personaggi della politica e dell’imprenditoria nazionali. Dai verbali si evince che Falcone – conoscendo appunto il dossier e le informative precedenti dei Ros – si mostrò molto critico nei confronti della Procura, soprattutto a seguito di quei soli sei arresti. Ne riportiamo soltanto due, ma è solo la punta dell’iceberg.

I verbali

Il primo è un verbale di assunzione di informazioni del 1997 riguardante Liana Milella, all’epoca giornalista del Sole 24 Ore. È stata sentita avendo, all’indomani della strage di Capaci, pubblicato sul giornale le annotazioni dei diari di Falcone che lui stesso le aveva consegnato.
Il motivo della consegna dei diari, ha detto Milella, era perché «era preoccupato di mostrare, almeno alle persone a lui più vicine, quali fossero i reali motivi che lo avevano indotto a lasciare Palermo». Non solo. «Anche prima di consegnarmi i suoi “appunti” – ha raccontato Milella – Falcone disse che alla Procura di Palermo non aveva più spazi e possibilità operative per lavorare efficacemente». E ha aggiunto: «Ciò a causa della contrapposizione che si era venuta a creare con il Procuratore Giammanco e con i sostituti procuratori a Giammanco più vicini, tra i quali in particolare il dr. Lo Forte e il dr. Pignatone».

Mafia-Appalti: la verità

Ma veniamo a mafia-appalti. Alla domanda se avesse avuto o meno qualche confidenza da Falcone relativamente alla gestione di quel dossier dei Ros, Milella ha risposto: «Falcone, in più occasioni, e in particolare dopo gli arresti, aveva commentato, con grande delusione, gli sviluppi di quell’inchiesta dicendomi che riteneva riduttiva la scelta di arrestare solo certe persone e riferendomi che non si volevano sviluppi di alcun genere nei confronti dei politici».

L’altro verbale è del 1998 e riguarda la testimonianza dell’ex ministro Claudio Martelli. L’argomento è sempre mafia-appalti ed è stata posta la domanda se Falcone mai ne parlò con lui, relativamente alla gestione del procedimento. «Quel che ricordo – ha raccontato Martelli – è che Falcone osservò che Giammanco aveva trascurato o insabbiato quell’indagine. Quando poi è sorto un certo clamore (i giornali critici, ndr), allora il procuratore di Palermo aveva avuto la bella pensata di venire a Roma e, con un atto irrituale, di consegnare al ministro quella documentazione. Per questo Falcone mi suggerì di non incontrare Giammanco. Non escludo che vi sia traccia formale della decisione mia o degli Uffici, di considerare irrituale e irricevibile la trasmissione di quegli atti dalla Procura di Palermo al ministero della Giustizia».

Tutte le strade portano a “Mafia-appalti”

Un altro falso mito sostiene che il nesso mafia appalti-stragi sia un’invenzione degli ex Ros. Nel comunicato del PD si lascia intendere che sia farina del sacco di Mori e De Donno. Falso. Tutte le sentenze su Capaci e via D’Amelio confermano quel legame, a meno di pensare che Pm e giudici, fino al Borsellino quater, fossero eterodiretti dai Ros. I fatti parlano: Borsellino, appena nominato procuratore aggiunto a Palermo nel gennaio 1992, era visto con timore da Cosa Nostra. Pino Lipari, tra i vertici mafiosi e archiviato nel 92 nell’inchiesta mafia-appalti, disse che avrebbe creato problemi a “quel santo cristiano di Giammanco”.
Le difficoltà non mancarono: a Borsellino furono inizialmente assegnate solo Trapani e Agrigento, non Palermo. Le sentenze di Caltanissetta chiariscono che quella delega arrivò solo il giorno della sua morte, dopo continue sollecitazioni. Borsellino, inoltre, aveva mostrato particolare attenzione, dopo la morte del collega e amico Giovanni Falcone, per le inchieste riguardanti il coinvolgimento di Cosa Nostra nel settore degli appalti pubblici, avendo intuito l’interesse primario che tale settore rivestiva per la mafia. Secondo quanto già emerso nel procedimento Borsellino ter, fu lui stesso a proporre, il 25 giugno 1992 durante un incontro alla caserma Carini di Palermo, la creazione di un gruppo del Ros coordinato da De Donno per approfondire quelle indagini.
Il suo interesse per il tema, unito all’incarico di procuratore aggiunto e alla concreta possibilità che venisse nominato Procuratore Nazionale Antimafia, secondo tutte le sentenze furono elementi che spinsero Cosa Nostra ad accelerarne l’eliminazione (Falcone e Borsellino erano nel mirino da anni). Anche perché, da quella posizione, avrebbe potuto coordinarsi con Di Pietro e saldare l’indagine con Tangentopoli.
Che Borsellino stesse, da solo, ricostruendo mafia appalti negli ultimi giorni di vita, lo confermano i verbali desecretati dalla Commissione antimafia. Qualcuno, dentro la Procura, remava contro.
Non possiamo pretenderlo dal M5S, ma almeno dal PD si spera che non si remi contro ancora oggi. Anzi, sappiamo che tra le carte sequestrate in ufficio ci sono diversi manoscritti di Borsellino. Il PD potrebbe collaborare e chiedere a Chiara Colosimo di recuperarli. A qualcuno interessa


 

Mafia-appalti, il verbale di Falcone desecretato: ”Sta emergendo un quadro preoccupante”

 
Desecretata l’audizione del 1990 in Antimafia di Giovanno Falcone che parla dell’omicidio Mattarella e rivela l’indagine in corso su mafia-appalti dei Ros, definiti “encomiabili professionisti”

 

Giovanni Falcone, assieme a tutti gli altri colleghi della procura di Palermo, tra i quali l’allora capo Pietro Giammanco, viene sentito il 22 giugno del 1990 dalla commissione Antimafia nazionale venuta apposta a Palermo per ascoltarli. Si tratta del verbale appena desecretato grazie all’azione svolta da Nicola Morra, presidente della commissione nazionale Antimafia.
Mafia-appalti e omicidio Mattarella: i temi principali I temi principali sono l’omicidio Mattarella e il discorso mafia–appalti.  «Allo stato, purtroppo o per fortuna (le cose accadono tutte in una volta), stanno venendo a maturazione in questo momento i risultati di indagini svolte in almeno un biennio dai carabinieri di Palermo, con encomiabile professionalità, e sta venendo fuori un quadro della situazione che non esiterei a definire preoccupante». Falcone era sempre informato dai Ros: indagini svolte con encomia

È Falcone che parla, lo fa riferendosi all’indagine in corso da parte degli ex Ros Giuseppe De Donno e Mario Mori. Quello che poi scaturirà con il deposito del dossier nel febbraio del 1991.Nel corso delle indagini Falcone era perennemente informato dai Ros, tanto da dare qualche anticipazione alla Commissione. Come detto, le indagini erano ancora in corso. Falcone però ha detto innanzi alla Commissione Antimafia: «Possiamo ritenere abbastanza fondato che c’è almeno nella Sicilia occidentale una centrale unica di natura sicuramente mafiosa che dirige e l’assegnazione degli appalti e soprattutto l’esecuzione degli appalti medesimi, con inevitabili coinvolgimenti delle amministrazioni locali sia a livello di strutture burocratiche sia a livello di alcuni amministratori». «Il problema dei pubblici appalti, abbiamo detto in più riprese e ormai da anni che è un punto cruciale nella strategia antimafia» A cosa fa capo tutta questa gestione? «Non abbiamo difficoltà a dire che tutto fa capo a Salvatore Riina», risponde Falcone.  Non può entrare nei dettagli, l’indagine dei Ros è delicata, ma il giudice tiene un punto fermo, ovvero che «il problema dei pubblici appalti, abbiamo detto in più riprese e ormai da anni che è un punto cruciale nella strategia antimafia». E sottolinea: «Abbiamo la conferma di un sistema mafioso che, per quanto concerne i grandi appalti, ed anche nei piccoli centri per tutti gli appalti, ne gestisce in pieno l’esecuzione».
Che cosa intendeva per centrale unica? Ma cosa intende per centrale unica? Sono le domande ripetute, sul tema, che i membri della commissione gli pongono. Falcone ci ha tenuto a sottolineare che non bisogna errare di semplificazione. «Ora, per evitare equivoci, vorrei chiarire che quando parlo di centrale unica non vorrei che venisse interpretata in maniera meccanicistica e semplice, se non semplicistica e riduttiva», spiega il giudice. «La realtà – prosegue Falcone -, purtroppo, è molto più articolata e complessa di quel che noi vorremmo, però, ormai è sicuro, c’è un vertice che dirige e coordina le assegnazioni e le esecuzioni, cioè tutta la materia».
Il comitato d’affari è regionale, ma le aggiudicazioni sono anche altrove Ma allora è una centrale al livello nazionale? Falcone spiega più chiaramente che il comitato d’affari è regionale, perché la mafia è territoriale. «Il presupposto dell’intervento dell’organizzazione mafiosa sta nel controllo del territorio», ribadisce. Ma aggiunge che le aggiudicazioni sono anche altrove. Su questo ultimo punto però mette un punto fermo: «Il problema sarà ampiamente chiarito, ma non posso farlo completamente in questo momento perché non credo sia opportuno».
Quando il dossier viene depositato nel 1991, a quel punto Falcone ne ha parlato pubblicamente in un convegno e ha rivelato che la questione è di carattere nazionale visto il coinvolgimento di alcune importanti aziende del nord. Ritornando all’audizione del 1990, Falcone precisa che tale condizionamento mafioso coinvolge «qualsiasi imprenditore che operi in determinate zone, sia esso persona fisica, che cooperativa o ente a partecipazione statale». Dopo l’audizione del 1990 i giornali locali ne parlano  
Dopo questa audizione, come testimonierà l’ex Ros Giuseppe De Donno nel processo Borsellino ter del 1998, escono le notizie sui giornali locali proprio su tutto quello che ha detto. «Era quello che volevo», disse Falcone a De Donno. Nel senso che Falcone avrebbe voluto anticipare la questione mafia appalti appositamente. In effetti diverse procure lo hanno in seguito contattato. Proprio per questo, quando il dossier viene depositato nel ’92, diverse procure ne hanno chiesto acquisizione. Compresa la procura di Marsala, in particolar modo da Paolo Borsellino.
Le ipotesi di Falcone sui delitti eccellenti Interessante il discorso dei delitti eccellenti. Falcone fa sua l’ipotesi del compianto giudice Rocco Chinnici.  «Si sarebbe trattato cioè, di omicidi “eccellenti” che sono in un certo modo apparentemente scaglionati nel tempo, ma che in realtà si inseriscono in vicende di dinamiche anche interne alla mafia». Non è un caso, spiega Falcone, che il periodo che va dal 1978 al 1982 «coincide conil massimo degli sconvolgimenti interni a Cosa Nostra».
Cosa significa?
L’omicidio Mattarella voluto dalla mafia Falcone fa l’esempio dell’omicidio Mattarella. Prende per ipotesi che gli esecutori siano stati proprio gli ex nar Valerio Fioravanti e Cavallini. Come mai la mafia avrebbe usato soggetti esterni?  Non c’entra nessun piano eversivo, nessun complotto.Come sempre, la spiegazione sarebbe quella più semplice. Una questione tutta interna alla mafia. «Il 1980 ha rappresentato il momento più acuto di quella crisi che sarebbe poi sfociata nella guerra di mafia: da un lato vi erano Bontade e Inzerillo (Badalamenti era stato già buttato fuori da Cosa Nostra) mentre dall’altro vi erano i corleonesi».  
Importante questo punto, perché nel momento della crisi «ognuno aveva paura di fare il primo passo». C’era una parte della mafia che voleva ucciderlo, l’altra era indifferente.
Ma allora perché una parte della mafia decise di eliminare Mattarella, ma senza avvisare gli altri? «Bisognava indicare le ragioni per cui si uccideva una persona, quale fatto in concreto si contesta a Mattarella, quale persona del mondo politico aveva chiesto di ammazzarlo!», risponde Falcone.
In sostanza, la mafia non può aver commissionato questo delitto a uomini di Cosa nostra, perché a causa dei precari equilibri interni di quel momento ciò avrebbe fatto esplodere duri contrasti. Quindi, quella parte di mafia che lo ha deciso, avrebbe preferito ricorrere a mani esterne per rimanere segreta l’origine del delitto.
Ricordiamo che Falcone non era solo innanzi alla commissione antimafia scesa a Palermo. Era presente l’allora presidente della Corte d’appello di Palermo Carmelo Conti, il procuratore generale della Repubblica di Palermo Vincenzo Pajno, l’allora procuratore della Repubblica di Palermo Pietro Giammanco e i due giudici istruttori Leonardo Guarnotta e Gioacchino Natoli.
Il verbale desecretato dal presidente dell’Antimafia Nicola Morra Ricordiamo che parliamo di un verbale appena desecretato grazie all’azione svolta da Nicola Morra, presidente della commissione nazionale antimafia. Dopo l’articolo de Il Dubbio, nel quale è stata riportata la richiesta da parte dell’associazione “I Cittadini contro le mafie e la corruzione”, il presidente Morra ha raccolto l’invito e subito, dimostrando correttezza e coerenza, si è attivato in tal senso. «Ritengo questa richiesta assolutamente meritevole della massima condivisione – aveva detto Morra durante la seduta – e ne ho dunque disposto l’immediato inserimento all’ordine del giorno di questa Commissione per la procedura di desecretazione». Detto, fatto.


Falcone, verbale segreto/ “Mafia gestisce appalti

 

Falcone, reso noto il verbale segreto relativo all’audizione davanti alla commissione antimafia: dal rapporto tra mafia e appalti ai delitti eccellenti

Il 22 giugno 1990, Giovanni Falcone fu sentito dalla commissione Antimafia nazionale, appositamente recatasi a Palermo per ascoltare lui e altri colleghi della procura palermitana. Ora, grazie all’azione di Nicola Morra, presidente della commissione nazionale antimafia, quel verbale è stato desecretato ed il contenuto svelato da Il Dubbio. Tra i principali temi affrontati, si citano l’omicidio Mattarella e quello sul rapporto mafia-appalti. “Allo stato, purtroppo o per fortuna (le cose accadono tutte in una volta), stanno venendo a maturazione in questo momento i risultati di indagini svolte in almeno un biennio dai carabinieri di Palermo, con encomiabile professionalità, e sta venendo fuori un quadro della situazione che non esiterei a definire preoccupante”, aveva sostenuto Falcone all’epoca.

Nel corso delle indagini il magistrato era sempre informato dai Ros al punto da fornire qualche anticipazione alla commissione. E proprio alla Commissione Antimafia aveva detto: “Possiamo ritenere abbastanza fondato che c’è almeno nella Sicilia occidentale una centrale unica di natura sicuramente mafiosa che dirige e l’assegnazione degli appalti e soprattutto l’esecuzione degli appalti medesimi, con inevitabili coinvolgimenti delle amministrazioni locali sia a livello di strutture burocratiche sia a livello di alcuni amministratori”. E quando gli viene chiesto a chi farebbe capo tutta la gestione, Falcone senza indugio avanza il nome di “Salvatore Riina”. E’ la mafia, a suo dire


FALCONE, VERBALE DESECRETATO: MAFIA E APPALTI

Sentito sempre dalla commissione antimafia, a Giovanni Falcone viene spesso domandato nel corso dell’audizione cosa intende per “centrale unica”. In merito il magistrato chiarisce che si trattava di qualcosa di molto complesso: “c’è un vertice che dirige e coordina le assegnazioni e le esecuzioni, cioè tutta la materia”. Quindi spiegò che il comitato d’affari è regionale, in quanto la mafia è territoriale ma che le aggiudicazioni sono anche altrove. Nel corso dell’audizione, Falcone chiarisce che il condizionamento mafioso coinvolge “qualsiasi imprenditore che operi in determinate zone, sia esso persona fisica, che cooperativa o ente a partecipazione statale”. Le sue dichiarazioni rese nel corso di quella audizione emersero poi sui giornali locali: “Era quello che volevo”, avrebbe commentato Falcone all’ex Ros Giuseppe De Donno.

 

 

 

🟥 MAFIA e APPALTI e l’eliminazione del dottor Borsellino