Secondo BOLZONI parlare di mafia e appalti é un nuovo depistaggio

 

 

 

 

«Si fa un gran parlare del dossier “Mafia e appalti”scriveva Bolzoni il 17 agosto 2022un’inchiesta che per qualcuno sarebbe la vera causa dell’uccisione di Paolo Borsellino. Ipotesi molto azzardata e, negli ultimi tempi, anche molto di moda».

A distanza di 1143 giorni Attilio Bolzoni torna a criticare, qualificandolo una sorta di depistaggio, l’attenzione che viene rivolta al dossier mafia e appalti da coloro che lo considerano una possibile concausa dell’accelerazione dell’uccisione di Paolo Borsellino:

🟧 3.10.2025 Mafia a Appalti, la pista che porta fuori pista (fonte: suo profilo FB)
🟧 4.10.2025 Si parla del dossier Mafia-Appalti per non parlare delle stragi (fonte: AD)


In proposito, riproponiamo la replica dell’avvocato Trizzino e gli articoli generati dal suo pezzo del 18 agosto 2022

A Bolzoni ha replicato l’avvocato Fabio Trizzino,  legale dei figli di Paolo Borsellino, con un post pubblicato sul suo profilo FB:

“Attilio Bolzoni anziché scrivere le solite corbellerie e citarmi, se vuole può anche consultarmi così da smontare molte delle sue tesi minimaliste su mafia appalti.
Ma del resto da uno che difese, giornalisticamente parlando, Scarantino non può pretendersi altro che il perseverare nelle proprie tesi di difensore ad oltranza del teoria della Minaccia a corpo politico et cetera.
Nessun mea culpa ho sentito da lui in questi anni. Così come NON L’HO MAI VISTO A CALTANISSETTA NEL AL QUATER NE’ TANTOMENO AL PROCESSO DEPISTAGGIO.


18.8.2022  No Bolzoni, sul dossier “mafia-appalti” non hai ragione

Oggi 18 agosto è uscito sul quotidiano “Il Domani” a firma di Attilio Bolzoni, un articolo dal titolo “Quel dossier su mafia appalti che non dà risposte sulle stragi. Stupisce, ma fino a un certo punto, la presa di posizione del giornalista relativamente a questa tematica. Si tratta di un giornalista che, nel 2009, ha ricevuto il premio “È giornalismo” perché, dicono le motivazioni, “da più di trent’anni racconta la Sicilia e la mafia” e che, dal 1979 al 2004, ha vissuto a Palermo, scrivendo per “L’ORA” prima e per “la Repubblica” poi.

«Si fa un gran parlare del dossier “Mafia e appalti” – scrive Bolzoni – un’inchiesta che per qualcuno sarebbe la vera causa dell’uccisione di Paolo Borsellino. Ipotesi molto azzardata e, negli ultimi tempi, anche molto di moda». In realtà parlare del dossier “mafia-appalti” non è mai stato di moda e lo dimostra il fatto che i giornalisti che hanno, nel tempo, continuato a parlarne si contano nelle dita di una mano e, forse, quel “di moda” andrebbe sostituito con “fastidioso”.

«Ma ormai sulle stragi – continua Bolzoni – si può dire tutto e il contrario di tutto, tanto oltre la mafia non si scopre mai niente. Ci si muove al buio, a volte si abbocca al primo amo che viene calato. O, come nel caso del dossier “Mafia e appalti“, ricalato nel grande magma investigativo intorno alle bombe del 1992. 
È vecchio di trenta e passa anni, quasi mille pagine dove gli interessi dei boss si confondevano con quelli dei colossi italiani dell’edilizia, nomi sapientemente divulgati e nomi accuratamente occultati. “Un rapporto indiziario intorno al quale si può cominciare a lavorare”, confidò a noi giornalisti il giudice Giovanni Falcone che lo considerava “un buon punto di partenza”.
Di partenza, non di arrivo
». E sulla citazione delle parole di Giovanni Falcone dobbiamo convenire ricordando però che il «punto di partenza» fu invalidato e che, cosa che Bolzoni omette, il 13 luglio 1992, sei giorni prima della strage di via d’Amelio, nonostante il forte e acclarato interesse di Paolo Borsellino per lo sviluppo delle indagini, fu presentata dai sostituti procuratori della Repubblica Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, titolari del fascicolo, con il visto dell’allora Procuratore della Repubblica Pietro Giammanco, un’argomentata richiesta di archiviazione, richiesta di archiviazione che sarà accolta dal Gip il 14 agosto.

Non possiamo pensare che a un giornalista capace, informato e attento come Bolzoni questo avvenimento sia sfuggito anche perché, ripetiamo, in quegli anni era a Palermo e sicuramente non può dimenticare che la stampa accusò la Procura di voler insabbiare questa indagine ma, forse, lui non era tra i giornalisti che sollevarono il problema e, forse, non era nemmeno tra i giornalisti che ricevettero, sembra dalla Procura stessa, una copia del dossier del quale citarono i c.d. virgolettati nei loro articoli.
E quando Bolzoni scrive che «se la pista dei soldi, più di altre, è quella da seguire per capire chi voleva i massacri del 1992 non ci si può certo fermare al dossier del Ros.
Innanzitutto perché Falcone e Borsellino non erano tanto concentrati sulla spartizione dei lavori pubblici in Sicilia (con il patto fra le cosche e le grandi aziende del Nord, comprese le coop rosse emiliano romagnole), quanto all’infiltrazione dei capitali di Cosa nostra nell’economia italiana. Il dossier “Mafia e appalti” era solo uno dei passaggi, i due giudici guardavano oltre: avevano capito che Totò Riina – attraverso i fratelli Buscemi della famiglia mafiosa palermitana di Boccadifalco – era socio nella Calcestruzzi spa con Raul Gardini, uno dei più famosi capitani d’industria italiani
» dimentica, forse perché non l’ha letto con attenzione o forse perché così ha deciso, che proprio a pagina 67 del dossier “mafia-appalti” si legge che «Buscemi Antonino, nato a Palermo il 28.07.1946, indiziato “M”, è inoltre inserito a vario titolo nelle seguenti società:
 LA.SER. s.r.l. (titolare);
 CALCESTRUZZI PALERMO s.p.a. (amm.unico); FINSAVI s.r.l. (socio fondatore e azionista).
Particolarmente interessante risultava il fatto che metà del capitale sociale della FINSAVI s.r.l. era sottoscritto dal colosso imprenditoriale rappresentato dalla CALCESTRUZZI s.p.a. di Ravenna, la presidenza della quale e` ricoperta da un personaggio di portata nazionale quale Raoul Gardini.
Il rappresentante in Sicilia di quest’ultima società edilizia risulta essere tale ing. BINI Giovanni, lo stesso che piuttosto frequentemente intrattiene con il Siino rapporti telefonici.
E` importante sottolineare che, alla data del 20.12.1982, la Calcestruzzi s.p.a. controllava 36.380 azioni della C.I.S.A. di Udine. Con verbale di assemblea del 26 gennaio 1987, veniva deliberato di fondere la società nella C.I.S.A. Internazionale s.p.a. con sede in Udine, capitale sociale di lire 2.580.000.000 interamente versato.
La fusione si effettuava con il concambio di 264.600 azioni della socia “Calcestruzzi s.p.a.” da nominali L.10.000 della CISA Internazionale s.p.a., che ha aveva già adottato la relativa delibera per il conseguente aumento del capitale sociale per L.813.590.000. Il coefficiente di concambio veniva determinato in riferimento alle azioni della socia “Calcestruzzi s.p.a.”, pari al 44,10% del capitale sociale in quanto le restanti erano già possedute dalla incorporante, e calcolato sulla base dei patrimoni netti contabili delle due società. In relazione all’avvenuta fusione le azioni della società incorporata si intendevano annullate ed alla “Calcestruzzi s.p.a.” con sede in Ravenna, veniva attribuito l’intero aumento del capitale sociale di L.813.590.000, oltre le 264.600 azioni da lire L.5000 cadauna pari a L.l.323.000.000 del capitale sociale complessivo di L.3.393.590.000.
Non è un caso che dopo pochi mesi da questi cambiamenti societari, la C.I.S.A.- Udine si associ con la Farinella Cataldo per la realizzazione di alcuni appalti in Sicilia. Farinella Cataldo è parte della stessa organizzazione a cui fanno riferimento Siino Angelo e Buscemi Antonino
» e che, quindi, proprio il dossier “mafia-appalti” è stato il “la” investigativo per Falcone e Borsellino e che, quando scrive che non furono «gli appalti e i sub appalti delle dighe e delle strade, dei viadotti e delle opere “chiavi in mano” che mafiosi e ditte del nord si dividevano in Sicilia» parte del quadro investigativo di Falcone sembra sposare la tesi di uno dei magistrati che lo archiviarono che ha definito il dossier, anche di recente, “robetta”, “cosa da quattro colletti bianchi siciliani” o ancora una “minestra risciacquata” e dimentica che proprio Falcone lo conosceva così bene che, durante un convegno pubblico, lanciò un appello esclamando che «la mafia è entrata in Borsa», per dire che società quotate in Borsa erano state attratte nell’alveo delle relazioni con “Cosa nostra” e si riferiva, senza dubbio, alla quotazione in Borsa del gruppo Ferruzzi-Gardini avvenuta da poco tempo.
A riprova che Falcone era non solo fortemente interessato al dossier ma che lo stava collegando con le indagini milanesi che sfociarono nella c.d. Tangentopoli.
Il riscontro si ha attraverso la testimonianza che Antonio Di Pietro, uno dei pm di “Mani Pulite” rese al processo “Borsellino ter” in cui disse che durante le indagini sulle imprese si rese conto che cominciavano ad emergere nomi che rientravano anche nell’informativa dei Ros. Di Pietro durante il processo nominò ad esempio la Ferruzzi Spa, ossia quella di Gardini e la Rizzani-De Eccher, tutte imprese del nord indicate nel dossier “mafia-appalti”. Non solo. Di Pietro dichiarò di averne parlato con Giovanni Falcone e disse che «quella era l’essenza della mia inchiesta, cioè la scoperta che le imprese nazionali, dovunque andavano, si associavano con imprese locali, si realizzavano questi appalti e producevano delle dazioni di denaro al sistema dei partiti e ai pubblici ufficiali. Ne parlai dapprima con Falcone e poi anche con Borsellino» e, dato importante, «anche quando Falcone era ancora vivo».

In chiusura Bolzoni scrive che «a Caltanissetta hanno ripescato tutto. I carabinieri del Ros, ormai non più “traditori“ in quanto assolti nel processo d’appello, andranno a riproporre le loro argomentazioni. Sempre le stesse dal 1991. Vedremo cosa faranno i magistrati delle stragi. Quelli che hanno già avuto fra i piedi il falso pentito Vincenzo Scarantino, quelli che sono stati costretti a indagare per mesi e mesi su quel pagliaccio di testimone che era Massimo Ciancimino.
Dopo trent’anni, speriamo che non si perda altro tempo
» ma dimentica di sottolineare che, per fortuna, i magistrati che all’epoca avvalorarono le parole di Scarantino traformandole in arringa conclusiva, ossia Tinebra, Di Matteo, Palma e Petralia, non sono più applicati alla procura di Caltanissetta e che il vento della verità, iniziato con il dottor Lari e proseguito con la dottoressa Sava pm rispettivamente del “Borsellino ter” e del Borsellino quater”, non ha ancora smesso di soffiare e ci auguriamo, proprio per il raggiungimento della verità, non smetta. Roberto Greco GLI STATI GENERALI


18.8.2022 Il dossier mafia-appalti va di moda? Magari fosse così…

La replica | Il quotidiano Il Domani minimizza “Mafia e appalti”, che rivelò persino il “link” Riina-Gardini

Su Il Domani, Attilio Bolzoni, firma tra le più autorevoli nel campo della giustizia, spiega ai propri lettori che ora va di moda collegare la questione del dossier “Mafia appalti” alle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Sfugge, a dire il vero, che sia diventato davvero di moda, visto che la maggior parte dei grandi giornali, e le inchieste tv in prima serata, non hanno mai neppure citato il dossier, e continuano a sposare le tesi più disparate, tanto da rispolverare improbabili pentiti. Di fatto, Bolzoni minimizza il dossier “Mafia appalti” e sposa la solita teoria della doppia informativa. Ed è quest’ultima, in realtà, che va di moda, ogni volta ad esempio che l’avvocato della famiglia Borsellino, Fabio Trizzino, – in completa solitudine – indica di guardare al dossier. Si cita questa teoria (ovvero che i Ros avrebbero nascosto i nomi dei politici) totalmente sfatata dall’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta a firma della compianta Gilda Loforti. Da un passaggio dell’articolo si ha però l’impressione che Bolzoni potrebbe non conoscere a fondo il contenuto esplosivo del dossier dei Ros redatto sotto la supervisione di Giovanni Falcone. Ecco cosa scrive: «Il dossier Mafia e appalti era solo uno dei passaggi, i due giudici guardavano oltre: avevano capito che Totò Riina – attraverso i fratelli Buscemi della famiglia mafiosa palermitana di Boccadifalco – era socio nella Calcestruzzi spa con Raul Gardini, uno dei più famosi capitani d’industria italiani». Ma Falcone e Borsellino indubbiamente guardavano in quella direzione, perché questo connubio tra Riina e il grande colosso guidato da Gardini è stato citato per la prima volta proprio dal dossier stesso. Altro che informativa inutile e poco incisiva. Ma è solo una delle tante, consuete sottovalutazioni di quel dossier.


19.8.2022 MAFIA E APPALTI / IL VERO MOVENTE DELLE STRAGI CHE L’ANTIMAFIA DI PALAZZO VUOLE RE-INSABBIARE

Andrea Cinquegrani LA VOCE DELLE VOCI

Si riapre miracolosamente uno spiraglio per far luce, dopo 30 anni, sulla strage di via D’Ameli C’è la possibilità, una buona volta, di indagare sul serio sulla vera pista alla quale stavano lavorando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?  SEGUE


18.8.2022 VESPAIO GIUSTIZIA Gian J. Morici La Valle dei Templi  

Continua a  far discutere il tema giustizia, o per meglio dire quello della magistratura che pare poco abbia a che fare con la parola “giustizia”.    SEGUE

 

 

 

Quella trattativa Stato-mafia “a fin di bene” per salvare l’Italia


È stato il processo che ha violentemente diviso l’antimafia giudiziaria e non solo quella. Un processo che ha sfiorato alte cariche dello stato e persino un presidente della Repubblica, che ha portato sul banco degli imputati ministri, alti ufficiali dei carabinieri e capimafia tutti insieme. La sentenza di primo grado, nell’aprile del 2018, è stata clamorosamente di condanna per il boss Leoluca Bagarella per il medico di Cosa Nostra Antonino Cinà, per il colonnello Giuseppe De Donno e per i generali Mario Mori e Antonino Subranni, per il senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. La sentenza di appello è stata clamorosamente di assoluzione per tutti. Tranne che per i mafiosi. E, ancora prima, assolto anche l’ex ministro Calogero Mannino – che aveva scelto il rito abbreviato – dall’accusa di avere partecipato alla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Di più: di essere stato lui stesso l’origine del patto perché terrorizzato, diventato bersaglio di Cosa Nostra dopo l’omicidio di Salvo Lima, l’uomo di Giulio Andreotti in Sicilia. Assolto «per non aver commesso il fatto». In questa lunga serie del Blog Mafie pubblichiamo ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado (presidente Angelo Pellino, giudice a latere Vittorio Anania), quasi tremila pagine che demoliscono alcuni passaggi chiave della sentenza della Corte d’Assise ma confermano che quella trattativa ci fu. Fu fatta non per favorire la mafia ma per «evitare altre stragi» e salvare l’Italia. È una sentenza dove lo stato assolve sé stesso e che parla di «palesi aporie o forzature» nel primo grado, che sottolinea come nell’estate del ‘92 Cosa Nostra non giocasse in difesa ma in attacco: «L’obiettivo finale era costringere lo stato, a forza di bombe, a prendere atto che inasprire le misure repressive contro la mafia sarebbe servito solo a provocare ritorsioni sempre più violente da parte di Cosa Nostra». Gli approcci di alti ufficiali dei carabinieri con l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino vengono definite “un’improvvida iniziativa“, la strage di via d’Amelio non fu un fattore di accelerazione dell’uccisione di Paolo Borsellino ma nelle motivazioni viene rilanciata piuttosto la pista del dossier “mafia-appalti. Ipotesi molto azzardata e priva di un qualunque riscontro: questa comunque la convinzione dei giudici. Un verdetto che capovolge il precedente e che ha aperto altre polemiche all’interno della magistratura, filosofie giudiziarie differenti che si scontrano ormai da quel lontano 1992. A trentanni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio, di sicuro c’è solo che Falcone e Borsellino sono saltati in aria e non si conoscono i “mandanti altri” che ne hanno ordinato la morte.

FABIO TRIZZINO: il movente mafia appalti ipotesi azzardata e priva di riscontri? Non so se ridere o piangere!Immaginate di avere due archiviazioni anomale del giugno 1992, dopo Capaci, e nel luglio/ 1992 con i funerali del Giudice Borsellino ancora da fare! 

Immaginate poi un collaboratore come SIINO che riferisce le parole di Pino Lipari sul fatto che con l’approdo di Borsellino dal gennaio 1992 è finita la pace per quel santo cristiano di Giammanco!
Immaginate che entrambe le archiviazioni salvano Buscemi Antonino!
Immaginate ancora che quest’ultimo era in affari per conto di Riina con Raul Gardini! Immaginate che Lipera racconta a Catania nel Giugno 1992 di come era stato gestito quel dossier a Palermo!
Immaginate ciò che emerge dai verbali del Csm del 1992!
Immaginate la telefonata di Giammanco del 19 luglio 1992 e tanto altro ancora caro Attilio Bolzoni, come ad esempio che tutto è consacrato in sentenze definitive come il Borsellino ter e quater!
FABIO TRIZZINO
Legale di parte civile di Fiammetta, Lucia e Manfredi Borsellino 
30 settembre 2022

 

Strage di Via D’Amelio – SALVATORE BORSELLINO: depistaggio istituzionale di Procura e Commissione Antimafia