Non so se sia in ballo il nobile principio dell’uno vale uno o quello, più triviale, dell’uno vale l’altro; fatto sta che mercoledì i senatori del M5s hanno inscenato, a turno, un grottesco remake di Essere John Malkovich, il film di Spike Jonze in cui un marionettista trova un passaggio segreto che lo conduce dentro la testa del famoso attore. Il rifacimento avrebbe potuto intitolarsi Essere Roberto Scarpinato. Per locandina, una folla dove tutti – senatrici comprese – hanno la barba e la chioma fluente di Roberto Scarpinato. Gli onorevoli pentastellati si sono dati il cambio sullo scranno di Roberto Scarpinato e hanno aperto i loro interventi con la stessa frase, “Siamo tutti Roberto Scarpinato”, impreziosita da qualche variante. Leggo, incredulo, il resoconto stenografico della seduta e trovo meraviglie come questa: “Signor Presidente, da oggi in poi siamo tutti Roberto Scarpinato e non solo Roberto Scarpinato, perché Roberto Scarpinato rappresenta la voce di un’intera comunità” – la comunità, s’intende, dei Roberti Scarpinati. Oppure: “Signor Presidente, siamo tutti Roberto Scarpinato. Forse dovrei dire non tutti”, perché qualcuno “non è Roberto Scarpinato, e dovrebbe solo vergognarsi di non essere Roberto Scarpinato”.
Non essendolo neppure io (è la mia tara ontologica), ci ho messo un po’ a capire cosa diavolo avevo appena letto. In breve, il Roberto Scarpinato collettivo protestava contro il ddl sul conflitto di interessi in Commissione antimafia, dove il senatore Roberto Scarpinato si trova a giudicare l’operato del magistrato Roberto Scarpinato rispetto al famoso dossier mafia-appalti. Incredibilmente, i senatori del Pd (che non sono Roberto Scarpinato, ma vorrebbero tanto esserlo) hanno applaudito. Peccato che gli altri, quelli privati del dono della robertoscarpinatitudine, non abbiano recitato una pièce rivale facendo il verso a uno slogan caro a Roberto Scarpinato (l’apocrifo sciasciano “Lo Stato non può processare sé stesso”). Avrebbero potuto esordire tutti così: “Lo Scarpinato non può giudicare sé stesso”. GUIDO VITIELLO