Delitto Mattarella, il mistero delle targhe chiude la pista nera

 
 
Quando è stata resa nota l’ordinanza di custodia cautelare che documenta l’arresto dell’ex funzionario della Squadra Mobile Filippo Piritore per il presunto depistaggio, diverse testate giornalistiche hanno colto l’occasione per rivitalizzare la “pista nera” sull’omicidio Mattarella.
I titoli tornano a parlare di possibili connessioni tra la mafia e l’estrema destra, come se l’indagine specifica condotta dalla Procura di Palermo – che, come abbiamo fatto notare, presenta alcune crepe – rappresentasse una riapertura del caso verso quella direzione. Eppure, nella medesima ordinanza, gli stessi magistrati scrivono nero su bianco ciò che ritenevano fosse ancora controverso: i Nar non c’entrano nulla. Le prove scientifiche sono definitive. E il documento lo dimostra con metodica precisione, analizzando due targhe automobilistiche che raccontano tutt’altra storia.
Quarantacinque anni dopo l’assassinio di Piersanti Mattarella, i magistrati hanno trovato una chiave per smontare una delle ipotesi investigative più controverse: quella del coinvolgimento dei Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari. E questa chiave è nascosta nei dettagli tecnici di due targhe automobilistiche conservate nel palazzo di giustizia di Palermo.
Il 6 gennaio 1980 Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana, fu brutalmente assassinato in via della Libertà a Palermo mentre si recava a messa con la famiglia. I killer utilizzarono una Fiat 127 bianca con una targa contraffatta: PA 546623.
La targa del sospetto
Era proprio quel numero di targa a insospettire gli investigatori. Il 26 ottobre 1982, due anni e nove mesi dopo il delitto, durante una perquisizione in un appartamento di via Monte Asolone a Torino, gli agenti trovarono una targa intera con il numero PA 563091. A prima vista, il ritrovamento sembrò sorprendente: questa targa presentava una sequenza numerica che includeva i residui delle due targhe utilizzate dai killer per comporre quella usata nell’omicidio.
Ecco come funzionava: la targa originale della Fiat 127 era PA 536623, ma fu manomessa sostituendo il numero 53 con il 54. Quel 54 proveniva da un’altra targa rubata a Palermo, la PA 540916. Di conseguenza, gli spezzoni rimanenti (il 53 e lo 0916) si potevano ritrovare in una contraffazione assemblata. E in quell’appartamento di Torino, dove si nascondeva il latitante Fabrizio Zani, legato all’estrema destra, trovarono proprio PA 563091: una combinazione che poteva sembrare tutt’altro che casuale.
Non solo la targa intera, ma anche due pezzi distinti furono sequestrati: uno con la sigla PA e uno con PA 563091. Nella stanza c’era anche una confezione di pasta per modellare di marca DAS, il tipo di materiale utilizzato per assemblare frammenti di targhe falsificate. La coincidenza numerica era tale che i magistrati decisero di approfondire: quella targa era davvero autentica oppure era stata assemblata con i pezzi residui dello smontaggio della targa dell’omicidio? In realtà, nel 1989 erano stati catalogati e acquisiti al procedimento penale sul delitto Mattarella, ma tale connessione fu già categoricamente esclusa.
L’esame definitivo
Ma sette anni fa, la procura di Palermo guidata da Lo Voi decise di riaprire di nuovo la pista nera (che archiviarono). Nel 2020, il perito Carmelo Calzetta analizzò il reperto con estrema precisione. I risultati furono chiari e senza ambiguità: la targa PA 563091 ritrovata nel covo degli ex Nar era integra, costituita da un’unica, continua lastra di materiale plastico. Non presentava “punti di discontinuità, né lesioni, né fratture”. Non mostrava alcun “segno di alterazione e/ o contraffazione”.
La targa, in altre parole, non era stata assemblata da pezzi diversi incollati insieme. Era autentica, benché facilmente falsificabile, poiché le targhe automobilistiche di quel periodo (secondo il decreto del 7 giugno 1974) non avevano sofisticati sistemi di sicurezza. L’unico modo per riconoscere l’autenticità era verificare il sigillo della Repubblica Italiana e il logo dell’Istituto poligrafico dello Stato: entrambi presenti e compatibili con gli esemplari originali.
Ulteriore conferma arrivò dai database: il veicolo con targa PA 563091 era stato immatricolato il 3 marzo 1980, pochi mesi dopo l’omicidio Mattarella. Quindi, per una questione chiaramente temporale, non poteva avere nulla a che fare con la targa contraffatta per l’omicidio dell’ex presidente della Regione Siciliana. Apparteneva a una cittadina palermitana, Rosalia Lombardo, che aveva regolarmente denunciato il furto di entrambe le targhe della sua auto il 24 marzo 1982.
Il colpo definitivo: la pasta DAS
Ma c’era un ultimo tassello. Se la targa PA 563091 era autentica e non aveva nulla a che fare con l’omicidio Mattarella, che dire della Fiat 127 usata per fuggire? Era stata assemblata davvero con la pasta DAS trovata nel rifugio dei Nar a Torino? Il Gabinetto regionale di Polizia scientifica, nel gennaio 2022, analizzò i frammenti di targa effettivamente apposti sulla Fiat 127. Trovò residui di una sostanza marrone riconducibile a colla e frammenti di cartoncino grigio, posizionati dietro i pezzi di targa per realizzare il collage. Ma di DAS, nulla. Non fu rilevata “la presenza di agglomerati di sostanza solida potenzialmente riconducibili a DAS”.
Ciò che emerge dalle indagini tecniche è una conclusione che chiude definitivamente un capitolo storiografico del delitto Mattarella. La targa PA 563091 trovata a Torino, nel covo di estremisti di destra legati a figure come Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, non era il “pezzo mancante” di un puzzle di eversione nera. Era semplicemente una targa rubata, ordinaria, registrata anni dopo il delitto.
I Nar non sono stati esecutori dell’omicidio, che è anche una verità processuale già sigillata nel processo dei delitti eccellenti. I due killer rimangono ancora oggi ignoti, anche se ora la procura ha attenzionato Nino Madonia e Giuseppe Lucchese, mentre i mandanti sono stati già condannati in via definitiva: i componenti della commissione provinciale di Cosa nostra dell’epoca, da Salvatore Riina a Michele Greco a Francesco Madonia.
Con questa analisi, i magistrati di Palermo hanno trasformato un indizio che poteva sembrare suggestivo in una prova di innocenza. Le targhe raccontano una storia ordinaria di furti d’auto, usuale per commettere omicidi e altri fatti illeciti, non di cospirazione tra la mafia e l’estrema destra.
Nel mistero di Piersanti Mattarella rimangono ancora molte ombre, ma su questo particolare le tracce convergono verso una sola conclusione: i Nar non c’entrano.
Ciò che questa vicenda insegna è come la complessità della ricerca della verità possa essere oscurata dalle dinamiche della comunicazione contemporanea.
Il fascino dell’intrigo – un funzionario indagato per depistaggio, segreti sepolti per decenni – attira certamente più attenzione di una metodica analisi scientifica che chiude una porta. Forse per questo motivo le prove tecniche definitive rimangono confinate nelle pagine tecniche dell’ordinanza, mentre i titoli tornano a sussurrare di ‘ piste nere’ e riaperture. Il pubblico riceve un messaggio confuso: da una parte, evidenze scientifiche che escludono chiaramente l’estrema destra; dall’altra, titoli che riprendono piste chiaramente depistanti. Nel caos della comunicazione mediatica, la chiarezza scompare dietro il fascino dell’enigma irrisolto. IL DUBBIO Damiano Aliprandi 29.10.2025
 
 

OMICIDIO MATTARELLA