Il procuratore De Luca parla delle accuse ai colleghi di Falcone e Borsellino – CORRIERE DELLA SERA
Procuratore DE LUCA: mafia e appalti è la pista più solida e la pista nera é una perdita di tempo. – IL DUBBIO
PIGNATONE COMPRÒ CASE DAI BOSS E FECE ISOLARE FALCONE E BORSELLINO – LA VERITÀ
Stragi di mafia del 1992, il “campo largo” del complottismo – IL DUBBIO
Le mosse di PIGNATONE e dei suoi utili idioti. Cosí hanno affossato mafia e appalti. LA VERITA’
Le mosse di Pignatone e dei suoi «utili idioti». Così hanno affossato i dossier mafia-appalti
Interrogatori di non iscritti, omissis rivelati, inchieste a matrioska: il fascicolo di Caltanissetta inguaia il super pm.
Inchieste costruite come scatole cinesi, indagini che procedono a compartimenti stagni, atti mandati al macero, magistrati che mal si sopportano e carte che spuntano oggi, ma che nessuno aveva mai visto. C’è anche questo nel fascicolo della Procura di Caltanissetta che sta ricercando i moventi occulti della morte di Paolo Borsellino. E più si scava e più aumentano le ombre sulla condotta di Giuseppe Pignatone, un magistrato che ha sfiorato la beatificazione da vivo e che adesso è caduto in disgrazia. Attualmente è indagato con infamanti accuse di vicinanza alle cosche e dalle agiografie che lo aspergevano d’incenso si è passati agli atti giudiziari che, in fase preliminare, hanno sempre il sentore dello zolfo. LA VERITÀ 11.12.2025
L’accusa di De Luca: “L’inchiesta mafia e appalti concausa delle stragi del ‘92”
“𝗣𝗶𝘀𝘁𝗮 𝗻𝗲𝗿𝗮? 𝗡𝗶𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗽𝗿𝗼𝘃𝗲”: 𝗱𝗲𝘀𝘁𝗿𝗲 𝗶𝗻 𝗳𝗲𝘀𝘁𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗗𝗲 𝗟𝘂𝗰𝗮
𝑨𝑵𝑻𝑰𝑴𝑨𝑭𝑰𝑨 𝐼𝐿 𝐶𝐴𝑃𝑂 𝑃𝑀 𝐷𝐼 𝐶𝐴𝐿𝑇𝐴𝑁𝐼𝑆𝑆𝐸𝑇𝑇𝐴 𝑆𝐶𝑂𝑁𝐹𝐸𝑆𝑆𝐴 𝑆𝐶𝐴𝑅𝑃𝐼𝑁𝐴𝑇𝑂
Il procuratore De Luca in Antimafia: “Mafia e appalti concausa stragi ‘92. Pista nera non esiste”
«Abbiamo in corso filoni di indagine su tutte le principali ipotesi riguardanti le cause e i concorrenti esterni delle stragi del 1992», premette il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca iniziando la sua audizione davanti alla commissione parlamentare antimafia. Ma, al momento, le certezze riguardano il filone “mafia e appalti” che stava molto a cuore a Paolo Borsellino.
Il procuratore di Caltanissetta dice senza mezzi termini: «Riteniamo che la gestione delle indagini su mafia e appalti presso la procura di Pietro Giammanco sia stata la concausa della strage Borsellino e anche di quella Falcone». Mentre sulla “pista nera” il procuratore De Luca dice in modo netto: «Vale zero tagliato, non c’è alcun riscontro».
Sotto accusa c’è Giammanco, morto nel 2018. «Borsellino era isolato e sovraesposto», dice ancora De Luca, presente a Palazzo San Macuto con i colleghi Claudia Pasciuti e Davide Spina.
Il procuratore di Caltanissetta chiama in causa l’ex magistrato Gioacchino Natoli, attualmente indagato a Caltanissetta per favoreggiamento aggravato, per l’insabbiamento dell’inchiesta mafia e appalti. «Davanti al Csm, nell’estate 1992, ha mentito a proposito dei rapporti fra Giammanco e Borsellino.
Mentre altri colleghi, come Antonella Consiglio e Nino Napoli, hanno parlato del disagio di Borsellino». Sull’altro indagato dell’inchiesta di Caltanissetta, Giuseppe Pignatone, De Luca precisa: «Non abbiamo prova che ci furono elementi corruttivi sul conto di Pignatone e Giammanco.
Ma alcuni collaboratori li hanno chiamati in causa. “Chiacchiericcio” lo ha definito Pignatone nella sua difesa. E’ possibile che abbia ragione – dice De Luca – bisogna però verificare se i dottori Pignatone e Giammanco, all’epoca sostituto e procuratore capo, abbiano avuto comportamenti inopportuni, ovvero comportamenti che possano avere indotto i mafiosi a pensare che la procura di Palermo avesse un vertice malleabile». Per i magistrati di Caltanissetti questi “comportamenti inopportuni” potrebbero aver esposto Borsellino, ritenuto incorruttibile.
«Giammanco ostentava l’amicizia con l’onorevole Mario D’Aquisto, ritenuto vicino a Lima – dice il procuratore di Caltanissetta – era inoltre parente di un imprenditore di Bagheria poi condannato perchè vicino al capomafia Bernardo Provenzano».
A proposito di Pignatone, De Luca parla di «inopportunità di occuparsi delle indagini su Bonura, Piazza e Ferruzzi» perchè «cresciuto in un palazzo abitato dalla famiglia Piazza, in via Uditore».
Le indagini della procura di Caltanissetta si sono soffermate su un «grosso acquisto fatto dalla famiglia Pignatone negli anni Ottanta: 26 immobili in via Turr».
Un appartamento fu acquistato dalla moglie di Pignatone, «per un prezzo non congruo», accusa la procura di Caltanissetta. Pignatone, sentito dai pm nisseni, ha ammesso che «venti milioni furono pagati in contanti». De Luca dice: «Non diamo giudizi morali, ma si trattò di un’evasione fiscale nei confronti del capomandamento di Passo di Rigano Salvatore Buscemi, socio della Immobiliare Raffaello. Una situazione di inopportunità». Salvo Palazzolo
“A noi pare che questa situazione, che noi riteniamo di assoluta inopportunità, in cui hanno esercitato le loro funzioni, rispettivamente il procuratore Pietro Giammanco e il dottor Giuseppe Pignatone, abbia contribuito, e grandemente, a sovraesporre sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino”. Lo ha detto il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca proseguendo la sua audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia.
“Le riteniamo anche delle precondizioni – dice – e cioè qualunque sia poi la causale o la concausa a cui si voglia attribuire la maggiore credibilità, riteniamo che queste due precondizioni siano sussistenti, siano appunto delle precondizioni”. “Per completezza, riguardo all’isolamento devo dire, perché non voglio tralasciare elementi a difesa, che nella memoria del dottor Pignatone si sono indicati tutta una serie di interviste e tutta una serie di articoli, uno ad esempio di Paolo Borsellino che avrebbe affermato che l’isolamento non era stata la causa dell’omicidio di Giovanni Falcone”. “Al riguardo rileviamo, uno che è un fatto notorio che un magistrato prima lo si isola, lo solo espone e poi lo si uccide. Lo diceva anche Giovanni Falcone. E’ proprio un bersaglio ambulante un magistrato per viene emarginato isolato”. “Ovviamente non ci sogniamo minimamente di mettere in dubbio le parole di Paolo Borsellino, ma non avrei la minima legittimazione né professionale né morale per mettere in dubbio la parola di Paolo Borsellino, ci permettiamo di mettere in dubbio l’esito dell’articolo, perché come ha detto la dottoressa Sabatino in sede del’audizione del CSM, il dottore Borsellino era molto amareggiato contrariato dall’esito di alcune interviste che, per il modo come erano costruite e per le frasi che erano state estrapolate, falsavano il suo pensiero”. E aggiunge: “Il punto è come tutto riportato dai giornali”, dice. ADNKRONOS 9.12.2025
Via D’Amelio, il procuratore De Luca: “Nel 1992 non si è fatto quello che si doveva fare”.
Lo ha detto il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca nell’audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia
“Nel 1992 non si fatto quello che si doveva fare” nella inchiesta su mafia e appalti. Lo ha detto il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca nell’audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia. “Dopo la strage di Borsellino cambia l’Italia, perché ci sono state due stragi e perché c’è la forza propulsiva di Mani pulite che scompaginerà un intero sistema politico, cambia lo stesso gruppo imprenditoriale Ferruzzi, cambia il procuratore– continua – Ciò che era fattibile o, secondo la nostra ipotesi, voleva la dirigenza della Procura fino al luglio 1992 cambia decisamente già quando è stato sfiduciato Pietro Giammanco e a ancora di più quando è arrivato il Procuratore Caselli”. “Il Procuratore Caselli (arrivato nel gennaio 1993 ndr) dà un nuovo impulso a certe indagini, non ha alcun interesse politico personale a bloccare le indagini o a rallentare o insabbiare le indagini su mafia e appalti”.
“Prima di ricominciare le indagini sul cosiddetto filone ‘Mafia e appalti’ ho ritenuto opportuno informare il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo”.
Con queste parole il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Lucia ha iniziato l’audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia. “Noi abbiamo in corso filoni di indagine aperti su tutte le principali ipotesi riguardanti le cause o i concorrenti esterni delle stragi del 1992- dice – Oggi parlerò principalmente del cosiddetto filone mafia e appalti, perché abbiamo ottenuto i migliori risultati proprio in questo filone di indagine. Gli altri filoni sono ancora in corso in una fase in cui è necessario attendere l’esito di ulteriori accertamenti prima di potere delineare una ipotesi sufficientemente suffragata della Pubblica accusa”. E aggiunge: “L’arco cronologico di rilievo secondo l’ipotesi accusatoria che abbiamo formulato è quello in cui è stato procuratore Pietro Giammanco”.
“Riteniamo che vi siano molteplici e concreti indizi per affermare che la gestione del filone mafia e appalti presso la procura di Giammanco sia una delle concause della strage di via D’Amelio e vi sono elementi per ritenere che sia anche una delle concause della strage di Capaci”. A dirlo, durante l’audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia, è il Procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca, nell’ambito dell’inchiesta sulla strage Borsellino. E ha aggiunto, parlando delle “concause e finalità delle stragi”. “Non so se si può parlare di tre concause o, per meglio dire, di due precondizioni e una concausa- dice il magistrato- A parer nostro le precondizioni sono l’isolamento prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino nell’ambito della Procura di Palermo, la sovraesposizione prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino, presso la Procura di Palermo e non solo presso la Procura di Palermo, tre, vi sono gravi indizi riguardo anche le precondizioni e riteniamo che vi siano dei concreti indizi”. Poi de Luca aggiunge: “Prima precondizione: l’isolamento. Vi sono dei precisi indizi che emergono, fra le altre cose, sia dalle dichiarazioni rese a sommarie informazioni dall’attuale senatore Roberto Scarpinato all’ufficio, sia dal dall’esito di una intercettazione fra Gioacchino Natoli e il presidente Matteo Frasca, presidente della Corte d’appello di Palermo, sia dall’interrogatorio reso dal dottor Natoli- spiega – In buona sostanza, nel corso di un colloquio con il Presidente Matteo Frasca il dottor Natoli gli riferisce: ‘Roberto Scarpinato mi ha detto Giammanco di porcheria ne ha fatte, ma questa no’. Non abbiamo mai pensato che potesse arrivare’. Riteniamo che si riferisse alle ipotesi che noi formuliamo nei confronti del dottor Natoli. Ma parliamo evidentemente di altre ‘porcherie’, cioè fatti ovviamente non corretti”. ”Una posizione nel corso dell’interrogatorio il dottor Natoli, una volta avuto indicata quale fonte di prova queste affermazioni di Scarpinato, le ha confermate- dice ancora il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca in Commissione antimafia – Dice ‘sì effettivamente c’è stato l’isolamento di Falcone e di borsellino’. Questa posizione assunta dinanzi all’ufficio di Caltanissetta non era stata altrettanto netta da parte del senatore Scarpinato dinanzi al CSM, nel corso dell’audizione del luglio del 92. Anche se erano stati indicati dei fatti dai quali, per certi versi, si poteva desumere un atteggiamento non lineare del dottore Giammanco nei confronti prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino. Ma sono un’assoluta novità e, invece, rispetto alle dichiarazioni rese dal dottor Natoli dinanzi al CSM”.
Nell’estate del 1992, l’ex Presidente della Corte d’Appello di Palermo Gioacchino Natoli “ha mentito davanti al Csm” a proposito dei rapporti tra il giudice Paolo Borsellino e l’allora Procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco. E’ l’atto di accusa del Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca durante l’audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia, in corso a Palazzo San Macuto. La Procura nissena indaga su Natoli per favoreggiamento alla mafia e calunnia. Gli viene contestato di aver insabbiato un’indagine per aiutare mafiosi e imprenditori vicini a Cosa nostra. ”In particolare, il dottor Natoli dinanzi al CSM, a domanda del Presidente ha dichiarato: ‘Sui rapporti Giammanco- Falcone non posso dire nulla perché io arrivo alla procura di Palermo quattro mesi dopo che Falcone è andato via, quindi non ho alcuna conoscenza diretta del problema’. E indiretta? Gli chiede il presidente- prosegue il Procuratore capo di Caltanissetta De Luca -‘In diretta neppure perché, ripeto Falcone si era trasferito a Roma 15 si sentiva telefonicamente ci si vedeva di tanto in tanto a Palermo, ma ovviamente l’intensità del rapporto è più tale quando ci vedevamo tutti i giorni’. ‘Sui diari non sono in grado di dire tutti questi punti’. E dice che ‘non posso dare nessun contributo né diretto né indiretto’.
Bene nel corso dell’audizione giovani colleghi e segnatamente Antonella Consiglio, del relato Domenico Gozzo, marito della Consiglio che ha avuto raccontato da lei quanto ora riferirò e il collega Antonino Napoli, hanno dichiarato che nel corso di una riunione dei movimenti per la giustizia di cui fatto notorio, ma emerge da tutte le carte, il dottor Giacchino Natoli era uno dei leader indiscussi, il dottor Giovanni Falcone ha richiesta dei colleghi preoccupati dal fatto che stesse lasciando Palermo per andare al ministero ha dichiarato apertis Verbis, con molta chiarezza, ‘Non ci sono più le condizioni per lavorare a Palermo, non posso più lavorare a Palermo’. Antonino Napoli ha avuto anche con lui una conversazione privata sul punto dove Giovanni Falcone ha confermato questa sua linea che se andava perché non riusciva più a lavorare”. “Nel corso del suo interrogatorio il dottor Natoli ha confermato di essere presente a tale riunione- prosegue ancora De Luca – Quindi, vi sono degli indizi ben concreti per ritenere che il dottor Natoli dinanzi al CSM abbia mentito. Perché non so se l’avere sentito con le sue orecchie Falcone affermare queste cose sia indiretto o diretto, come conoscenza, ma certo la domanda era un omnicomprensiva, diretta o indiretta, quindi copriva qualunque interpretazione si potesse dare di questa fonte di conoscenza”. GRANDANGOLO 9.12.20250
ANSA 🟥 Pm De Luca, ‘inchiesta mafia-appalti concausa omicidi di Borsellino e Falcone‘
“L’ipotesi della pista nera per quanto riguarda le stragi di mafia del 1992, legata al terrorista Stefano delle Chiaie, vale zero tagliato”.
L’ha detto il procuratore di Caltanissetta, Salvatore De Luca, durante l’audizione in corso alla Commissione nazionale Antimafia, affermando che si stanno svolgendo ulteriori indagini.
”Quando abbiamo ricevuto gli atti da Palermo – ha aggiunto – pensavamo che si trattasse di una pista eccezionale, ma guardando le carte ci siamo resi conto che si trattava di zero tagliato”. La pista era stata prospettata dall’allora procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, ora senatore del M5s.
Affermare che a partire dal ’93 si è indagato sul boss Antonino Buscemi equivale ad affermare che prima non si è fatto nulla”, ha detto anche il procuratore De Luca.
Parlando del filone mafia-appalti, consegnato alla Procura di Palermo dal Ros dei carabinieri il 16 febbraio 1991, De Luca ha detto: “Non capisco lo scetticismo manifestato su questa pista, che ritengo una concausa sugli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”. Il magistrato individua due precondizioni (l’isolamento di Falcone e Borsellino) e una concausa (la vicenda mafia-appalti) come elementi che hanno portato alle stragi di Capaci e via D’Amelio.
De Luca sottolinea che l’ex magistrato Gioacchino Natoli, indagato a Caltanissetta per favoreggiamento aggravato (insieme all’ex collega Giuseppe Pignatone) nel corso dell’audizione al Csm, pochi giorni dopo la strage Borsellino, avrebbe mentito sui rapporti tra l’allora procuratore Pietro Giammanco e Borsellino: “Ha sostenuto di non avere informazioni né dirette né indirette”. Pur non avendo prove su “elementi corruttivi che riguardano Giammanco e Pignatone – ha aggiunto il procuratore – potrebbero aver avuto comportamenti inopportuni, tali da indurre i mafiosi a ritenere che la procura – con l’eccezione di Falcone e Borsellino, ritenuti incorruttibili e dunque possibile bersaglio della criminalità organizzata – fosse malleabile”.
L’ex procuratore Pietro Giammanco, a capo dell’ufficio di Palermo nel periodo delle stragi del ’92, “ostentava l’amicizia con Mario D’Acquisto (politico democristiano che fu anche presidente della Regione siciliana, ndr). E quando l’europarlamentare della Dc Salvo Lima fu ucciso, nel marzo del ’92, Giammanco sarebbe voluto andare al funerale e fu bloccato dai sostituti”. L’ha detto il procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca, durante l’audizione a Palazzo San Macuto in Commissione antimafia. “Su Giammanco – ha aggiunto – non vi sono episodi corruttivi”. De Luca ha riferito che l’ex procuratore “aveva un nipote a Bagheria, un imprenditore che è stato poi condannato perché vicino a Bernardo Provenzano e già nel 1985 era indicato dai carabinieri come un rampante con rapporti politici e mafiosi”.
Parlando di Pignatone, il procuratore di Caltanissetta ha detto che non era opportuno che si occupasse di un’indagine che vedeva coinvolto, tra gli altri, l’imprenditore Vincenzo Piazza, il quale occupava 8 dei 14 appartamenti del palazzo in cui Pignatone abitò dal ’63 al ’76.
La casa si trovava in via Uditore 7/C e al civico 13 vi abitava Francesco Bonura, altro boss coinvolto nell’indagine mafia-appalti, insieme al gruppo Ferruzzi di Ravenna”.
La famiglia Pignatone ha acquistato in via Turr, a Palermo, 26 appartamenti – ha continuato De Luca -. Un appartamento fu comprato dalla moglie di Pignatone, il quale ha ammesso che 20 milioni di lire furono pagati in contanti, praticamente un’evasione fiscale in una compravendita con la società immobiliare Raffaello che aveva Francesco Bonura tra i soci e il cognato di quest’ultimo, Salvatore Buscemi”.
Infine, De Luca ha detto che il rapporto del Ros conteneva un’ampia parte riguardante la società regionale Sirap, partecipata dall’Espi – un ente della Regione – che era stata presieduta da Francesco Pignatone, il padre del magistrato. L’audizione di De Luca è stata sospesa e verrà aggiornata.
Il procuratore demolisce Report, Fatto e Repubblica: “La pista nera su Capaci e Borsellino? Vale zero tagliato”
Il procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca demolisce Report e l’antimafia militante sul presunto ruolo di Delle Chiaie nelle stragi del ’92: lo dice il Gip, né prove né elementi concreti
«La pista nera sulle stragi del 1992 vale zero tagliato». Con una frase lapidaria in commissione Antimafia il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca mette una pietra tombale sulle ricostruzioni di Report, Fatto quotidiano, Repubblica, Domani e sull’antimafia militante che per anni ha inseguito i fantasmi. «Ci appare un po’ strano, un po’ singolare che si insista sulla pista di Stefano Delle Chiaie (morto nel 2019, ndr)», il terrorista nero a capo di Avanguardia nazionale che secondo alcune rivelazioni sarebbe stato in Sicilia nei giorni della maledetta estate delle stragi di Capaci e Via d’Amelio. «Mi pare una autentica perdita di tempo e già ne abbiamo perso abbastanza su questa pista, continuare a parlare di questa vicenda».
Le testimonianze del luogotenente Walter Giustini, del collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero e della sua compagna Maria Romeo sull’attentato del 23 maggio 1992 in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre poliziotti della scorta non sono considerate credibili dalla Procura nissena, così come le notizie di un incontro fra l’estremista nero e il boss mafioso palermitano Mariano Tullio Troia, nella primavera del 1992, con tanto di sopralluogo nel tunnel sotto l’autostrada dove poi fu piazzato l’esplosivo.
Eppure Report se l’è bevute come oro colato nonostante ci sia «un’archiviazione tranciante del Gip, un gip fra parentesi che non è certamente appiattito sulle nostre posizioni.
Diverse volte ci ha dato torto – dice ancora De Luca in Antimafia – certe volte abbiamo appellato, certe volte ha avuto ragione lui e certe volte però abbiamo avuto ragione noi».
Questo non significa che lo stragismo di destra storicamente in Italia non ci sia stato, ma «allo stato non ci sono prove né elementi concreti che sia collegato alle stragi del ’92», ha concluso De Luca. Felice Manti
Inchiesta Borsellino e stragi del 1992 tra mafia e appalti. Il procuratore De Luca: “Non si è fatto ciò che si doveva”
Iniziata l’audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia per le stragi del 1992 e l’inchiesta sulla morte di Paolo Borsellino. “Prima di ricominciare le indagini sul cosiddetto filone ‘Mafia e appalti’ ho ritenuto opportuno informare il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo”. Con queste parole il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca ha iniziato l’audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia. “Noi abbiamo in corso filoni di indagine aperti su tutte le principali ipotesi riguardanti le cause o i concorrenti esterni delle stragi del 1992- dice – Oggi parlerò principalmente del cosiddetto filone mafia e appalti, perché abbiamo ottenuto i migliori risultati proprio in questo filone di indagine. Gli altri filoni sono ancora in corso in una fase in cui è necessario attendere l’esito di ulteriori accertamenti prima di potere delineare una ipotesi sufficientemente suffragata della Pubblica accusa”. E aggiunge: “L’arco cronologico di rilievo secondo l’ipotesi accusatoria che abbiamo formulato è quello in cui è stato procuratore Pietro Giammanco”.
Borsellino, il procuratore De Luca: “Nel 1992 non si è fatto quello che si doveva”
“Nel 1992 non si fatto quello che si doveva fare” nella inchiesta su mafia e appalti. Lo ha detto il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca nell’audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia. “Dopo la strage di Borsellino cambia l’Italia, perché ci sono state due stragi e perché c’è la forza propulsiva di Mani pulite che scompaginerà un intero sistema politico, cambia lo stesso gruppo imprenditoriale Ferruzzi, cambia il procuratore- continua – Ciò che era fattibile o, secondo la nostra ipotesi, voleva la dirigenza della Procura fino al luglio 1992 cambia decisamente già quando è stato sfiduciato Pietro Giammanco e a ancora di più quando è arrivato il Procuratore Caselli”.
Il Procuratore Caselli (arrivato nel gennaio 1993 ndr) dà un nuovo impulso a certe indagini, non ha alcun interesse politico personale a bloccare le indagini o a rallentare o insabbiare le indagini su mafia e appalti”. E ancora: “Riteniamo che vi siano molteplici e concreti indizi per affermare che la gestione del filone mafia e appalti presso la procura di Giammanco sia una delle concause della strage di via D’Amelio e vi sono elementi per ritenere che sia anche una delle concause della strage di Capaci” – evidenzia nell’ambito dell’inchiesta sulla strage Borsellino. E ha aggiunto, parlando delle “concause e finalità delle stragi”.
“Non so se si può parlare di tre concause o, per meglio dire, di due precondizioni e una concausa- dice il magistrato- A parer nostro le precondizioni sono l’isolamento prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino nell’ambito della Procura di Palermo, la sovraesposizione prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino, presso la Procura di Palermo e non solo presso la Procura di Palermo, tre, vi sono gravi indizi riguardo anche le precondizioni e riteniamo che vi siano dei concreti indizi”.
Poi de Luca aggiunge: “Prima precondizione: l’isolamento. Vi sono dei precisi indizi che emergono, fra le altre cose, sia dalle dichiarazioni rese a sommarie informazioni dall’attuale senatore Roberto Scarpinato all’ufficio, sia dal dall’esito di una intercettazione fra Gioacchino Natoli e il presidente Matteo Frasca, presidente della Corte d’appello di Palermo, sia dall’interrogatorio reso dal dottor Natoli- spiega – In buona sostanza, nel corso di un colloquio con il Presidente Matteo Frasca il dottor Natoli gli riferisce: ‘Roberto Scarpinato mi ha detto Giammanco di porcheria ne ha fatte, ma questa no’. Non abbiamo mai pensato che potesse arrivare’. Riteniamo che si riferisse alle ipotesi che noi formuliamo nei confronti del dottor Natoli. Ma parliamo evidentemente di altre ‘porcherie’, cioè fatti ovviamente non corretti”.
Omicidio Borsellino: il procuratore De Luca in Antimafia: “Natoli ha mentito davanti al Csm”
Nell’estate del 1992, l’ex Presidente della Corte d’Appello di Palermo Gioacchino Natoli “ha mentito davanti al Csm” a proposito dei rapporti tra il giudice Paolo Borsellino e l’allora Procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco. E’ l’atto di accusa del Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca durante l’audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia, in corso a Palazzo San Macuto. La Procura nissena indaga su Natoli per favoreggiamento alla mafia e calunnia. Gli viene contestato di aver insabbiato un’indagine per aiutare mafiosi e imprenditori vicini a Cosa nostra.
“In particolare, il dottor Natoli dinanzi al CSM, a domanda del Presidente ha dichiarato: ‘Sui rapporti Giammanco- Falcone non posso dire nulla perché io arrivo alla procura di Palermo quattro mesi dopo che Falcone è andato via, quindi non ho alcuna conoscenza diretta del problema’. E indiretta? Gli chiede il presidente- prosegue il Procuratore capo di Caltanissetta De Luca -‘In diretta neppure perché, ripeto Falcone si era trasferito a Roma 15 si sentiva telefonicamente ci si vedeva di tanto in tanto a Palermo, ma ovviamente l’intensità del rapporto è più tale quando ci vedevamo tutti i giorni’. ‘Sui diari non sono in grado di dire tutti questi punti’. E dice che ‘non posso dare nessun contributo né diretto né indiretto’. Bene nel corso dell’audizione giovani colleghi e segnatamente Antonella Consiglio, del relato Domenico Gozzo, marito della Consiglio che ha avuto raccontato da lei quanto ora riferirò e il collega Antonino Napoli, hanno dichiarato che nel corso di una riunione dei movimenti per la giustizia di cui fatto notorio, ma emerge da tutte le carte, il dottor Giacchino Natoli era uno dei leader indiscussi, il dottor Giovanni Falcone ha richiesta dei colleghi preoccupati dal fatto che stesse lasciando Palermo per andare al ministero ha dichiarato apertis Verbis, con molta chiarezza, ‘Non ci sono più le condizioni per lavorare a Palermo, non posso più lavorare a Palermo’. Antonino Napoli ha avuto anche con lui una conversazione privata sul punto dove Giovanni Falcone ha confermato questa sua linea che se andava perché non riusciva più a lavorare”.
“Nel corso del suo interrogatorio il dottor Natoli ha confermato di essere presente a tale riunione- prosegue ancora De Luca – Quindi, vi sono degli indizi ben concreti per ritenere che il dottor Natoli dinanzi al CSM abbia mentito. Perché non so se l’avere sentito con le sue orecchie Falcone affermare queste cose sia indiretto o diretto, come conoscenza, ma certo la domanda era un omnicomprensiva, diretta o indiretta, quindi copriva qualunque interpretazione si potesse dare di questa fonte di conoscenza”.
Procuratore De Luca, “verificare se Pignatone e Giammanco ebbero comportamenti inopportuni”
“Non abbiamo prova che ci furono elementi corruttivi sul conto di Giuseppe Pignatone e Pietro Giammanco. Ma alcuni collaboratori li hanno chiamati in causa. Pignatone lo ha definito ‘Chiacchiericcio’. E’ possibile che abbia ragione, ma bisogna verificare se i dottori Pignatone e Giammanco, all’epoca sostituto e procuratore capo, abbiano avuto comportamenti inopportuni. Ovvero comportamenti che possano avere indotto i mafiosi a pensare che la procura di Palermo avesse un vertice malleabile”. A dirlo proseguendo la sua audizione in Commissione antimafia è il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca nell’ambito dell’inchiesta sulla strage Borsellino. Il magistrato Pignatone è indagato per la vicenda dell’entrata nel gruppo Ferruzzi di Raul Gardini da parte dei fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, imprenditori vicini a Totò Riina, e del boss Francesco Bonura. L’indagine venne archiviata nel 1992 dalla procura di Palermo e adesso il pool di Caltanissetta guidato da Salvatore De Luca sostiene che Pignatone, all’epoca sostituto, insieme al capo Pietro Giammanco (morto nel 2018), al collega Gioacchino Natoli e al il generale della guardia di finanza Stefano Screpanti abbiano in realtà deciso di coprire il tutto, stroncando sul nascere il filone mafia-appalti.
Inchiesta Paolo Borsellino e stragi del ’92. Gasparri: “Audizione storica”
“Stiamo assistendo a un’audizione storica – dichiara in questi istante il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, membro della Commissione Antimafia. E ancora, prosegue il senatore FI Gasparri: “Ci sono rivelazioni importantissime che dimostrano in maniera tranciante una serie di verità che più tardi commenteremo. Del resto l’audizione si sta svolgendo in modalità pubblica e tutti gli interessati possono ascoltare quello che viene detto su Pignatone, su Scarpinato e sulle fantomatiche piste nere. Le parole di De Luca dovranno essere motivo di approfondimento e di riflessione, soprattutto quando nelle prossime sedute passeremo alle domande”. Marco Cavallaro
Il procuratore di Caltanissetta in Antimafia: “L’inchiesta su Delle Chiaie e le stragi? Vale zero. Indaghiamo su un’altra pista nera”
La pista nera che ipotizza un ruolo di Stefano Delle Chiaie nelle stragi del 1992? “Giudiziariamente vale zero tagliato“. Salvatore De Luca fa una pausa, poi lo ripete ancora: “Zero tagliato“. È in quel preciso momento che a Chiara Colosimo sembra scappare un sorriso. Insieme alla presidente della commissione Antimafia, sorridono anche vari esponenti di destra, come Maurizio Gasparri che definisce l’audizione del procuratore di Caltanissetta come uno “scrigno di verità“. E pazienza se De Luca abbia anche puntualizzato come “siano ancora aperti filoni di indagine su tutte le principali ipotesi riguardanti le cause o i concorrenti esterni delle stragi del 1992”, compreso “un’ulteriore pista nera, chiamiamola così, che potrebbe dare dei risultati, ma la stiamo ancora approfondendo”. Va comunque detto che l’audizione del capo della procura nissena, competente per le indagini sulle stragi di Capaci e di via d’Amelio, rappresenta un punto a favore della maggioranza. De Luca, infatti, ha detto più volte di ritenere “la gestione del filone Mafia e appalti presso la procura di Palermo retta da Pietro Giammanco” come “una delle concause della stragi”. E ancora: “Allo stato noi non siamo in grado di escludere alcuna concausa. Quella sulla quale abbiamo trovato maggiori elementi e maggiori riscontri è Mafia e appalti”. Dichiarazioni che fanno esultare la destra, ma provocano anche polemica nei ranghi dell’opposizione. Ma andiamo con ordine.
“Mafia e appalti concausa delle stragi”
Il capo dell’ufficio inquirente nisseno è comparso a Palazzo San Macuto insieme a due suoi sostituti, Davide Spina e Claudia Pasciuti. Alle spalle degli auditi, custodita in una teca, c’è la valigetta di Paolo Borsellino, ancora bruciacchiata dall’esplosione del 19 luglio 1992. “È un onore per noi riferire qui”, ha detto De Luca, alla fine di un intervento lungo quasi tre ore. Un’audizione cominciata con una premessa: tutte le indagini di Caltanissetta sono state portate avanti in “piena sintonia con la Procura nazionale antimafia“. Che tipo di sintonia? “Prima di iniziare le indagini sul cosiddetto filone di Mafia e appalti, ho ritenuto d’informare il procuratore nazionale dottor Melillo, che è stato perfettamente d’accordo con noi”.
Secondo la destra, l’interesse di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per il dossier investigativo del Ros dei carabinieri è il movente segreto delle stragi. Una ricostruzione che sembra essere condivisa da De Luca. “Noi abbiamo in corso filoni di indagine aperti su tutte le principali ipotesi riguardanti le cause o i concorrenti esterni delle stragi del 1992 – ha premesso – Oggi parlerò principalmente del cosiddetto filone Mafia e appalti, perché abbiamo ottenuto i migliori risultati proprio in questo filone di indagine. Gli altri filoni sono ancora in corso in una fase in cui è necessario attendere l’esito di ulteriori accertamenti prima di potere delineare una ipotesi sufficientemente suffragata della pubblica accusa”, ha detto, puntualizzando che “l’arco cronologico di rilievo secondo l’ipotesi accusatoria che abbiamo formulato è quello in cui è stato procuratore Pietro Giammanco“.
“Nel 1992 non si è fatto quello che si doveva fare”
Secondo l’ipotesi accusatoria, la procura di Palermo insabbiò l’indagine su Cosa Nostra, l’imprenditoria e la politica. Una tesi che recentemente è stata smentita dall’ex procuratore Gian Carlo Caselli, proprio in commissione Antimafia.
“Relativamente alle concause delle stragi del 1992, a parer nostro le precondizioni sono l’isolamento prima diGiovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino nell’ambito della Procura di Palermo; la sovraesposizione prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino, presso la Procura di Palermo e non solo.
Poi riteniamo che vi siano molteplici e concreti indizi per affermare che la gestione del filone Mafia e appalti presso la procura retta da Giammanco sia una delle concause della strage di via D’Amelio, e vi sono elementi per ritenere che sia anche una delle concause della strage di Capaci”, ha detto De Luca. Aggiungendo: “Credo che alcuni manifestino scetticismo riguardo Mafia e appalti come concausa delle stragi. Sinceramente non capisco perché”. Chiaro riferimento a Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore dei 5 stelle, seduto tra i commissari presenti all’audizione.
De Luca ha spiegato che le indagini su Mafia e appalti partono solo dopo le stragi.
“Nel 1992 non si fatto quello che si doveva fare. Dopo la strage di Borsellino cambia l’Italia, perché ci sono state due stragi e perché c’è la forza propulsiva di Mani pulite che scompaginerà un intero sistema politico, cambia lo stesso gruppo imprenditoriale Ferruzzi, cambia il procuratore.
Ciò che era fattibile o, secondo la nostra ipotesi, voleva la dirigenza della Procura fino al luglio 1992 cambia decisamente già quando è stato sfiduciato Pietro Giammanco e a ancora di più quando è arrivato il procuratore Caselli, che dà un nuovo impulso a certe indagini, non ha alcun interesse politico personale a bloccare le indagini o a rallentare o insabbiare le indagini su Mafia e appalti”. Poi, però, De Luca critica la difesa operata da Caselli sull’intera gestione del dossier. “La relazione della Procura di Palermo depositata nel 1999 è estremamente lacunosa e manca di tutti quegli elementi che rendono problematica l’indagine da parte della procura di Palermo.
Il fatto che le cose si siano fatte dopo è un indice del fatto che prima non si erano fatte”. Il riferimento è per il dossier preparato proprio dalla procura di Caselli per spiegare come le indagini su Mafia e appalti fossero sempre state regolari.
“Pista nera su Delle Chiaie vale zero tagliato”
A proposito delle indagini sull’eversione di destra, De Luca ha detto di considerare “singolare che si insista su un certo filone legato alla pista nera. Mi riferisco alla pista di Stefano Delle Chiaie a seguito delle dichiarazioni rese da Maria Romeo e anche dal luogotenente Walter Giustini. Se qualcuno vuole approfondire, approfondiremo ma sinceramente mi sembra un’autentica perdita di tempo e già ne abbiamo perso abbastanza su questa pista. Dalle dichiarazioni di Romeo e Giustini e dalle presunte dichiarazioni del collaboratore Alberto Cicero, che non ci sono mai state, viene fuori una pista che giudiziariamente vale zero tagliato. Ripeto: zero tagliato. Non mi dilungo perché mi sembra di farvi perdere tempo. C’è un’archiviazione tranciante del gip – ha aggiunto De Luca – Un gip che fra parentesi non è certamente appiattito sulle nostre posizioni”. Romeo e Giustini sono sotto processo con l’accusa di aver depistato le indagini su via d’Amelio. “Questo filone– ha detto De Luca – ci era stato prospettato dall’attuale senatore Scarpinato, proprio gli ultimi giorni prima di andare in pensione. Appena abbiamo ricevuto gli atti, è successo tutto l’inverso di Mafia e appalti. Siamo partiti con l’idea che fosse una pista eccezionale. Ma guardando le carte ci siamo resi conto che si trattava di zero tagliato”.
“Pignatone e le case comprate dai mafiosi”
Gran parte dell’audizione è stata dedicata al ruolo di Giammanco, di Giuseppe Pignatone e di Gioacchino Natoli. I due ex magistrati (il primo è deceduto nel 2018) sono ancora sotto indagine da parte della procura di Caltanissetta per favoreggiamento. La questione riguarda l’archiviazione di un’indagine parallela a Mafia e appalti, nata su input della procura di Massa Carrara nel 1991 e archiviata a Palermo l’anno dopo: riguardava il ruolo dei fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, imprenditori mafiosi vicini a Totò Riina, divenuti soci del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini.
Secondo i pm guidati da De Luca, Pignatone e Natoli archiviarono con l’unico obiettivo di coprire i Buscemi e il loro socio Francesco Bonura.
“Non abbiamo prova che ci furono elementi corruttivi sul conto di Pignatone e Giammanco. Ma alcuni collaboratori li hanno chiamati in causa.
Pignatone lo ha definito chiacchiericcio. E’ possibile che abbia ragione, ma bisogna verificare se i dottori Pignatone e Giammanco, all’epoca sostituto e procuratore capo, abbiano avuto comportamenti inopportuni. Ovvero comportamenti che possano avere indotto i mafiosi a pensare che la procura di Palermo avesse un vertice malleabile”, ha detto il capo dell’ufficio inquirente siciliano.
Da una parte, ha ricordato De Luca, “Giammanco ostentava l’amicizia con Mario D’Acquisto (ex presidente della Regione ndr). E quando l’europarlamentare della Dc Salvo Lima fu ucciso, nel marzo del ’92, Giammanco sarebbe voluto andare al funerale e fu bloccato dai sostituti”.
Il magistrato ha riferito che l’ex procuratore “aveva un nipote a Bagheria, un imprenditore che è stato poi condannato perché vicino a Bernardo Provenzano e già nel 1985 era indicato dai carabinieri come un rampante collettore dei rapporti tra imprenditoria, politica e mafia”.
Riguardo Pignatone, invece, De Luca ha detto che “negli anni Ottanta la sua famiglia ha fatto un grossissimo acquisto in un immobile in via Turr venduto dalla Immobiliare Raffaello, cioè i Bonura, Buscemi e Vincenzo Piazza. Si tratta di circa 26 immobili che comprendono non solo appartamenti, ma anche garage a altro. Vi sono concreti indizi che Salvatore Buscemi, Vincenzo Piazza, Francesco Bonura siano anche iscritti alla massoneria. Sono tutti e tre saldamente intrecciati nel mondo imprenditoriale, tutti e tre condannati per mafia e legati da legami di parentela. Bonura abita anche vicino ai Piazza. Sono tutti e tre soci della Immobiliare Raffaello. Si tratta di una immobiliare in cui se si riuniscono i soci diventa una riunione di Cosa nostra: un capomandamento, un capofamiglia e un associato. Una riunione di questa società può comportare l’arresto in flagranza. Non è facile da trovare una società del genere”. De Luca ha anche ricordato l’esistenza di una intercettazione ambientale in cui “Bonura parlando con un’altra persona afferma che la signora Pignatone (madre dell’ex procuratore di Roma) lo prendeva sottobraccio, notando una certa confidenza. Che può derivare da una frequentazione che non sia solo occasionale”. De Luca ha anche aggiunto che “nella sua memoria difensiva Pignatone afferma di aver pagato 20 milioni in nero per l’acquisto della casa. Qui non si deve fare del mero moralismo, dobbiamo vedere in che situazione di inopportunità si va ficcare una persona. Il dottore Pignatone afferma, ed è l’ipotesi a lui più favorevole, di avere pagato 20 milioni o qualcosa di più in nero, al capo mandamento Salvatore Buscemi del mandamento Uditore, Boccadifalco, Passo di Rigano. Non è reato, perché siamo sotto soglia. Però è un illecito amministrativo”.
“Natoli ha mentito davanti al Csm”
Natoli, invece, secondo il procuratore di Caltanissetta “ha mentito davanti al Csm” a proposito dei rapporti tra Falcone e Giammanco. Il riferimento è alle audizioni dei magistrati della procura di Palermo nei giorni immediatamente successivi alla strage di via d’Amelio. “In particolare – ha ripercorso De Luca – il dottor Natoli dinanzi al Csm, a domanda del Presidente ha dichiarato: ‘Sui rapporti Giammanco-Falcone non posso dire nulla perché io arrivo alla procura di Palermo quattro mesi dopo che Falcone è andato via, quindi non ho alcuna conoscenza diretta del problema’. ‘E indiretta?’, gli chiede il presidente. ‘Indiretta neppure perché Falcone si era trasferito a Roma, ci si sentiva telefonicamente e ci si vedeva di tanto in tanto a Palermo, ma ovviamente l’intensità del rapporto è più tale quando ci vedevamo tutti i giorni. E dice: ‘Non posso dare nessun contributo né diretto né indiretto‘. Bene, nel corso dell’audizione giovani colleghi – segnatamente Antonella Consiglio, de relato Domenico Gozzo, marito della Consiglio che ha avuto raccontato da lei quanto ora riferirò e il collega Antonino Napoli – hanno dichiarato che nel corso di una riunione del Movimento per la giustizia – di cui il dottor Natoli era uno dei leader indiscussi – il dottor Giovanni Falcone, a richiesta dei colleghi preoccupati dal fatto che stesse lasciando Palermo per andare al ministero, ha dichiarato con molta chiarezza: non ci sono più le condizioni per lavorare a Palermo, non posso più lavorare a Palermo’. Antonino Napoli ha avuto anche con lui una conversazione privata sul punto in cui Falcone ha confermato questa sua linea che se ne andava perché non riusciva più a lavorare”. De Luca ha detto anche che “nel corso del suo interrogatorio il dottor Natoli ha confermato di essere presente a tale riunione. Quindi, vi sono degli indizi ben concreti per ritenere che il dottor Natoli dinanzi al Csm abbia mentito”.
“Borsellino non si fidava del suo capo”
A proposito dell’indagine sul dossier del Ros dei carabinieri, De Luca ha definito come “sopravvalutata” la rilevanza della riunione del 14 luglio 1992 alla procura di Palermo.
Il riferimento è al vertice dei magistrati, convocato il giorno successivo la richiesta di archiviazione di alcuni indagati di Mafia e appalti. Secondo il procuratore di Caltanissetta, “sembra corroborato da numerosi indizi che in quella sede non si parlò di richiesta di archiviazione del dossier su mafia e appalti”.
Eppure il magistrato Luigi Patronaggio , tra i presenti a quel vertice, ha raccontato alla commissione Antimafia di aver saputo della richiesta di archiviazione di Mafia e appalti proprio durante quella riunione in procura.
Secondo De Luca “nella riunione del 14 luglio non ci fu uno scontro tra Paolo Borsellino e la dirigenza. La strategia e la personalità di Borsellino escludevano che si arrivasse a uno scontro in quella sede. Borsellino aveva una mentalità di rispetto delle gerarchie negli ambiti ufficiali: per cui in sede privata, nella riservatezza di una stanza poteva anche scontrarsi con il procuratore Giammanco, ma davanti ai sostituti non lo avrebbe mai fatto. E questo ce lo dice Antonio Ingroia. Attenzione, Borsellino non aveva paura di Giammanco, Borsellino era un leone”. Per De Luca, però,”Paolo Borsellino nutriva una estrema diffidenza nei confronti di Giammanco, Natoli e Lo Forte”. Il fatto che il magistrato non si fidasse dei suoi colleghi e del suo capo, secondo il procuratore di Caltanissetta è confermato anche da un altro passaggio: “Dopo aver ascoltato il pentito Gaspare Mutolo, che gli rivelò le collusioni con la mafia di Bruno Contrada e del pm Domenico Signorino, Paolo Borsellino non ne parla con Lo Forte e Natoli e neanche con Giammanco, ma riferisce quanto aveva appreso dal collaboratore di giustizia a due colleghi non titolari dell’inchiesta, cioè Vittorio Teresi e Ignazio De Francisci“.
La destra esulta, i 5 stelle: “Requisitoria senza contradditorio”
L’audizione del procuratore di Caltanissetta ha ovviamente provocato reazioni politiche. I parlamentari di Fdi sottolineano come De Luca abbia “affermato in maniera chiara e inequivocabile che la cosiddetta pista nera, ovvero l’ipotesi giudiziaria di un coinvolgimento di Delle Chiaie nella strage di via d’Amelio, vale zero tagliato. È un’affermazione che merita rispetto e attenzione, perché proviene dall’autorità giudiziaria titolare delle indagini. Continuare a insistere su un filone che, secondo la Procura, non presenta concreti elementi probatori rischia di alimentare confusione e di allontanare la ricerca della verità”. Al partito di Giorgia Meloni, replicano i parlamentari del Pd, che ricordano come il procuratore abbia “affermato di non sentirsi di escludere altre piste, sulle quali sono ancora in corso indagini. Tra queste, ha espressamente citato anche una pista nera. Alla luce di questo, appare inquietante il comunicato del gruppo di Fratelli d’Italia, che esprime una sorta di soddisfazione per una – arbitraria – interpretazione del ruolo delle piste nere anche nelle stragi del 92-93, quasi con – inspiegabile – senso di sollievo”. I 5 stelle, invece, definiscono quella del procuratore nisseno come “una requisitoria senza contraddittorio con gli indagati e i loro avvocati, svolta in una sede politico-parlamentare anziché nella fisiologica sede giudiziaria. De Luca, a lungo invocato dalla maggioranza, non si è limitato a una sommaria esposizione degli elementi su cui sta portando avanti la sua indagine seguendo la pista mafia-appalti, ma ha esposto a lungo e senza secretazione dell’audizione una analisi di svariati elementi processuali di dettaglio, alcuni dei quali non sono nemmeno a conoscenza degli avvocati degli indagati, come le dichiarazioni testimoniali del dottore Lo Forte”. Il riferimento è alle indagini su Natoli e Pignatone. “Nella lunga audizione – continuano ancora i 5 stelle – sono state implicitamente mosse anche accuse di aver detto il falso a magistrati come Patronaggio, attuale procuratore generale di Cagliari, e Lo Forte. Il primo, in commissione Antimafia, dove è stato chiamato dalla maggioranza, ha detto che nella famosa riunione del 14 luglio 1992 si parlò della temporanea archiviazione di un filone di mafia-appalti, quello che tra gli altri riguardava Antonino Buscemi. Il secondo lo ha affermato sotto giuramento in pubblico dibattimento. Oggi si è anche detto che quella archiviazione parziale di mafia-appalti fu frutto di un mancato approfondimento della procura di Palermo che avrebbe dovuto e potuto sollecitare il Ros affinché integrasse il suo primo dossier che ometteva elementi importanti. Peccato che la richiesta di approfondimento sia stata avanzata dalla Procura di Palermo con un’ampia delega di indagine del 18 luglio 1991 e che la risposta del Ros sia arrivata solo il 5 settembre 1992, cioè dopo la Strage di via D’Amelio e dopo l’inevitabile parziale richiesta di archiviazione formulata il 13 luglio ’92”.
PAOLO BORSELLINO / ORA SPUNTA LA PISTA MAFIA-APPALTI!
In un sol giorno l’ennesima, clamorosa prova che la nostra Giustizia è ormai morta e sepolta da anni, oltre un trentennio, per la precisione dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Poche ore fa, infatti, si sono svolte due significative audizioni, una davanti alla Commissione Antimafia, l’altra davanti alla Commissione parlamentare(la seconda) d’inchiesta sull’omicidio di David Rossi, così lo abbiamo sempre definito.
Pensate che, appunto, a 33 anni dall’omicidio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (con un processo Borsellino arrivato al suo quater…) gli inquirenti brancolano ancora nel buio, indecisi su quale pista prendere, mentre i mandanti politici se la ridono, liberi come fringuelli. E pensate ancora che, a 12 anni abbondanti dal volo dal quarto piano di Palazzo Salimbeni, storica sede del Monte dei Paschi di Siena, gli inquirenti hanno fatto flop per 2 due volte, chiedendo l’archiviazione del caso, secondo loro un manifesto suicidio. E, ora, la Commissione parlamentare adombra il sospetto che ci sia stata una manina a spinger giù David Rossi, il responsabile delle comunicazioni Mps.
Ai confini della realtà. Ma ben dentro i confini di un Paese al quale è ormai stata scippata la parola Giustizia: calpestata, vilipesa, oltraggiata da continui buchi nell’acqua, con una sfilza di Misteri, di Buchi neri, e soprattutto di Depistaggi di Stato che continuano a farla da padroni.
Proprio come nel giallo della strage di via D’Amelio. Con una serie di Depistaggi a catena, tanto che gli ultimi inquirenti, quelli di Caltanissetta, sono stati costretti ad ammettere che siamo in presenza del più gigantesco depistaggio della nostra storia giudiziaria.
Veniamo alla fresca audizione, davanti all’Antimafia, del procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca.
Ha sottolineato che “l’ipotesi della pista nera nelle stragi del ’92, collegata al terrorista neofascista Stefano Delle Chiaie vale zero spaccato”. A suo parere, “gli atti ricevuti dalla Procura di Palermo mostrano l’inconsistenza investigativa di quella pista, originariamente prospettata dall’allora procuratore capo (e oggi senatore 5Stelle, ndr)Roberto Scarpinato”, e ancor oggi la pista più accreditata da ‘Report’.
Al contrario, afferma De Luca, “riteniamo che vi siano molteplici e concreti indizi che la gestione del filone Mafia-Appalti presso la procura di Giammanco sia una delle concause della strage di via D’Amelio e anche di Capaci”.
Ecco le sue parole: “Non comprendo lo scetticismo maturato negli anni su quella pista, che considero una concausa delle due stragi, insieme a due pre-condizioni: l’isolamento istituzionale di Falcone e Borsellino e la pressione esercitata dagli interessi per gli appalti pubblici”.
De Luca ha poi ricordato che l’ex magistrato Gioacchino Natoli, oggi indagato per favoreggiamento aggravato di Cosa nostra (così come l’ex procuratore di Palermo e poi di Roma, Giuseppe Pignatone, ndr) dalla procura di Caltanissetta, avrebbe – secondo le accuse – “fornito informazioni ritenute non veritiere al CSM pochi giorni prima della strage di via D’Amelio in merito ai rapporti interni all’ufficio giudiziario di Palermo”.
Dopo 33 anni siamo messi proprio bene.
La ‘Voce’ da anni e anni ha sempre indicato la pista ‘Mafia-Appalti’come l’unico vero movente per le due stragi. Come del resto ha denunciato, fin dal 1996, con una potente relazione di minoranza proprio all’Antimafia, Ferdinando Imposimato. Come hanno sempre urlato i figli di Borsellino, ossia Fiammetta, Lucia e Manfredi, nonché l’avvocato della famiglia (e marito di Lucia), Fabio Trizzino. Basta andare alla casella CERCA che si trova in alto a destra della nostra home page e digitare SALVATORE BORSELLINO per ritrovare decine e decine d’inchiesta.
Così come, fin dalla primavera 2013, abbiamo messo in rete una valanga di articoli sul volo taroccato da palazzo Salimbeni. Allo stesso modo, basta digitare DAVID ROSSI per leggerne a iosa.
E veniamo, allora, alla fresca audizione, davanti alla seconda Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Rossi, dove è stato sentito un vertice del RIS di Parma, il tenente colonnello Adolfo Gregori, e il medico legale Robbi Manghi.
Ha detto il primo: “Quando Rossi è precipitato, qualcuno lo teneva per il polso sinistro, sospeso dal balcone. Le lesioni e il distacco dell’orologio lo dimostrato”. Il presidente della Commissione, Gianluca Vinci, ha fornito una serie di dettagli. Ecco le sue parole: “La pista adesso è quella dell’omicidio o dell’omicidio come conseguenza di un altro reato. Sicuramente l’hanno tenuto appeso fuori dalla finestra e le lesioni sul polso sono state create”. La perizia mirava ad effettuare un nuovo sopralluogo nel vicoletto dove è caduto il corpo di Rossi; un nuovo accertamento sulla dinamica della caduta del corpo stesso, nonché per verificare la resistenza del cinturino dell’orologio e la causa delle lesioni al polso sinistro. Aggiunge Vinci: “L’esito della perizia è chiaro: le ferite al polso e la revisione delle immagini mostrano che l’orologio non era più al suo polso al momento della caduta, e questo esclude l’ipotesi del suicidio. Rossi entrò in banca senza lesioni e fu ritrovato con tre ferite nella zona del cinturino. Grazie all’analisi dei Ris si vede che la cassa dell’orologio cade prima e il cinturino a seguire: questo significa che Rossi ha toccato il suolo con il polso già lacerato, e non per effetto dell’impatto”. Sorgono spontanee alcune domande. Come mai, addirittura dopo 12 anni, una perizia che ‘scopre’ queste cose? A cosa sono servite – o meglio, cosa hanno occultato – le precedenti perizie? E soprattutto, cosa hanno fatto le due precedenti inchieste giudiziarie che si sono concluse con una folle archiviazione? Come mai nessuno, fino ad ora, ha pagato alcuno prezzo per i depistaggi, le non inchieste, le non perizie? La scena del crimine, come abbiamo tante volte sottolineato, parlava chiarissimo fin dal primo momento: lesioni al corpo di David, evidenti scene di trascinamento del corpo stesso, il biglietto lasciato e scritto sotto coercizione (così evidenziò una perizia calligrafica), la totale anomalia del volo incompatibile con il gesto del suicidio e tante altre cose ancora che anche ad un bambino sarebbero subito saltate all’occhio. Proprio come è successo in un caso per molti versi simile: il ‘suicidio’ di Marco Pantani, ammazzato il 14 febbraio 2004 dalla camorra nell’hotel ‘Le Rose’ di Rimini per il timore che potesse vuotare il sacco sul giro d’Italia taroccato del 1999. Anche in quel caso la scena del crimine parlava in modo evidente: fu ‘suicidato’ facendogli ingerire con la forza una pallina di coca. Semplice come bere un bicchier d’acqua. Ma i giudici ciechi di Forlì – oltretutto inesperti di camorra – non videro. Come non videro in Appello e poi in Cassazione. Un altro caso che prima o poi si riaprirà. Vediamoci fra vent’anni… 10 Dicembre 2025 di: PAOLO SPIGA – LA VOCE DELLE VOCI
Stragi di mafia del ’92, De Luca smonta la ‘pista nera’: “Mafia-Appalti concausa della morte di Falcone e Borsellino”
Salvatore De Luca, procuratore di Caltanissetta, a proposito della “pista nera” dietro la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ha la stessa considerazione che Ugo Fantozzi aveva del film “La Corazzata Potemkin”.De Luca, a differenza però di Fantozzi, è stato più educato, limitandosi ad affermare che tale teorema è “zero spaccato”. Il magistrato, sentito in audizione questa settimana in Commissione antimafia presieduta dalla meloniana Chiara Colosimo, ha dunque messo una pietra tombale su una narrazione ormai pluridecennale che vede nel fascista Stefano Delle Chiaje un protagonista degli attentati ai due magistrati.
Dietro la morte di Falcone e Borsellino, ha detto De Luca, ci sono una serie di concause, la principale è certamente il dossier “Mafia e appalti”su cui lavoravano in quegli anni i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale (Ros) comandati dall’allora colonnello Mario Mori. Per “pista nera”si intende il teorema secondo il quale la mafia in quel periodo avrebbe stretto accordi con l’eversione di destra e con appartenenti ai Servizi segreti deviati, tutti interessati a destabilizzare il Paese, frenando l’avanzata del Pci, per poi dare il via ad una svolta reazionaria con la sospensione delle garanzie costituzionali. Al centro di questo piano a dir poco fantasioso ci sarebbe stato, come detto, Delle Chiaje, fra i fondatori di Avanguardia nazionale, il movimento neo fascista poi sciolto nel 1976. Nei mesi scorsi la trasmissione di Rai3 diretta da Sigfrido Ranucci aveva rispolverato questo teorema suggestivo, arrivando a dare credibilità alle dichiarazioni di una donna, Maria Romeo, ex compagna di Alberto Lo Cicero, l’autista di Totò Riina. Secondo la testimonianza della donna, Lo Cicero avrebbe raccontato a Borsellino che Delle Chiaje aveva fatto un sopralluogo a Capaci, dove poi venne messo il tritolo per uccidere Giovanni Falcone. Affermazioni smentite dagli stessi magistrati in quanto, come era poi emerso, Lo Cicero non era stato mai un affiliato a Cosa Nostra ma si era spacciato per tale pur di ottenere lo status di collaboratore di giustizia con i relativi benefici. Per Report, invece, Lo Cicero sarebbe stato a conoscenza dell’intera fase esecutiva della strage tanto da aver individuato la presenza attiva di Delle Chiaje a Palermo nei giorni precedenti la strage con la super visione di Riina. In un’altra puntata di Report era anche comparso il verbale del pentito Gioacchino La Barbera, uno dei partecipanti alla fase operativa della strage di Capaci. Si trattava del “colloquio investigativo” con l’allora magistrato della Procura nazionale Gianfranco Donadio. La Barbera gli avrebbe riferito che degli “estranei” a Cosa nostra avevano supervisionato la preparazione dell’attentato.
Donadio, va ricordato, era stato denunciato dalle Procure di Catania e Caltanissetta per le modalità di conduzione delle indagini: dopo che i pentiti parlavano con lui, all’improvviso iniziavano a “ricordare” nuovi dettagli. De Luca ha invece puntato il dito su Pietro Giammanco, ex procuratore di Palermo andato in pensione alla fine del 1992, dopo la morte quindi di Falcone e Borsellino, ritenuto responsabile del loro “isolamento”all’interno del palazzo di giustizia. L’aspetto più inquietante di questa vicenda è certamente il fatto che nessuno abbia mai sentito l’esigenza di interrogare Giammanco, morto nel 2018 ad 87 anni, per farsi così raccontare cosa accadeva nel suo ufficio in quegli anni.
Ma l’audizione di De Luca, che proseguirà il mese prossimo, ha riservato altre sorprese.
Ad esempio su Roberto Scarpinato, ex pg di Palermo ed ora senatore del M5S, fra i sostenitori della “pista nera”. Scarpinato, dice De Luca, ha reso dichiarazioni “non convincenti” sulla richiesta di archiviazione di Antonino e Salvatore Buscemi, i fratelli vicini a Totò Riina. “Allora non c’era nulla”, si sarebbe giustificato Scarpinato, affermando che di tale archiviazione se ne era occupato Guido Lo Forte. Il quale però avrebbe risposto sul punto con un “non ricordo”. “Non ho elementi per smentire Scarpinato ma perché se ha firmato l’archiviazione, dato che non c’era nulla, per la misura di prevenzione, invece, a carico di Antonino Buscemi, chiese ai carabinieri di mandargli tutto quello che avevano?”, ha proseguito De Luca. Il procuratore di Caltanissetta ha infine avuto parole anche per Giuseppe Pignatone, ex procuratore di Roma ed ex presidente del tribunale pontificio voluto da Francesco. Pignatone, quando era pm a Palermo, aveva comprato una casa nel capoluogo siciliano proprio da Salvatore Buscemi e gli aveva dato 20 milioni di lire in nero. Non proprio il massimo per chi è chiamato a far rispettare le leggi.
l’attacco del M5S al Procuratore della Repubblica di Caltanisetta.
M5S – MOVIMENTO 5 STELLE * PARLAMENTO: «ANTIMAFIA, M5S: IN COMMISSIONE REQUISITORIA CON ATTI ANCORA SCONOSCIUTI AGLI INDAGATI»
SPECIALE AUDIZIONE

