Golosa anticipazione. Per la prima volta in vita mia scriverò una parolaccia. Ma spero che me lo perdonerete. Anche perché la prenderò in prestito da una persona che sta nei nostri cuori.
Dovete dunque sapere che ho una curiosità antica per ciò che i negozi espongono in vetrina e negli scaffali per catturare i passanti e soprattutto i turisti.
Mi capitò già da bambino di guardare con sorpresa alcune vetrine di Roma. Erano un po’ particolari. Allineate in via della Conciliazione, dove abitavano i miei nonni paterni, dai quali andavo un paio di settimane all’anno insieme con le mie sorelle.
Ora, come molti sapranno, via della Conciliazione è l’ampia e lunga via che porta dalla città laica a San Pietro. E quindi in quelle vetrine comparivano paramenti sacri, libri da messa, crocifissi; insomma cose “da preti” che a Milano mai avrei trovato sotto casa. Capii così che ero in una città particolare.
A Milano, crescendo, notai poi la diversità dei prodotti esibiti in vetrina in via Garibaldi, accanto a palazzi ancora sventrati dalla guerra, e dunque zona allora popolare, dove non per nulla furoreggiava un negozio che si chiamava “All’onestà”, o nei negozi di piazza San Babila.
Insomma mi interessa la quotidianità che nasce nel commercio.
Passato alla sociologia, ho preso a comprare oggetti da niente che in testa mia parlano dei popoli.
Medaglie a calamita da mettere sui frigo, statuine da mettere nel presepio, oggettini da depositare sulle librerie, dimenticando nella maggior parte dei casi dove li abbia comprati.
Così alle ennesime fotografie, ricevute da amici siciliani, di quelle particolari statuine che abbiamo esportato per il mondo per raccontare a miliardi di persone quanto siamo imbecilli (ma non è questa la parolaccia), sono trasalito. Volete sapere quali statuine? Ah, già, non l’ho detto. Sono i modellini in ceramica di quei tipi che per un po’ hanno appestato la vita ai siciliani, e non solo, e che sono stati per questo ringraziati facendone dei souvenir, “così simpatici”, “così carini”, “così spiritosi”, soprattutto spiritosi
Anzi, corrosivi come l’acido, che è una loro passione. Ma sì, sono i mafiosi, specie antropologica che ha umiliato ogni forma di homo sapiens.
Mi hanno dunque mandato, gli amici increduli, foto di questi souvenir allineati a decine, tra cui troneggia l’immagine del Padrino. E su di loro c’è anche una scritta: Sicily.
Proprio così, gentili telespettatori, questi signori che hanno ammazzato, squartato, rovinato la vita agli onesti, fatto emigrare centinaia di migliaia di giovani, sono diventati l’immagine della Sicilia.
E ve lo diciamo direttamente noi, negozianti siciliani. Perfino dalla aristocratica e costosa Lipari, visto che le foto da lì vengono, due diversi negozi, non ne bastava uno.
Ma è possibile che le forze dell’ordine vadano (due volte in un mattino!) dalla fornaia che espone il tricolore il 25 aprile e questo commercio ignobile sia del tutto libero?
C’è solo da boicottare le città che lo consentono. Facciamo una bella campagna di informazione.
E dunque bravo al sindaco di Agrigento che lo vieta. Io però vorrei chiedere ai negozianti, di Lipari e altrove, che smerciano questa ribalderia: ma voi che in Sicilia avete avuto addirittura degli eroi che contro la mafia sono caduti dando lezione al mondo, voi che avete pagato la mafia con l’ignoranza crassa che state sfoggiando, non vi vergognate di dire ai turisti che questa è la Sicilia?
C’era un grande siciliano, Peppino Impastato, che questa roba la chiamava (ecco la parolaccia da paradiso) “una montagna di merda”. E voi non vi vergognate a dire “noi, questo negozio, noi Lipari, noi Sicilia, siamo una montagna di merda”?
Si aspettano vittimismi. Ma il razzismo, contro i siciliani, cari negozianti e sindaci, è tutto vostro. Più di voi nessuno.
E ora gentile signorina, che cosa ci stavamo dicendo? “I colori del mare”. Ah già, grazie. “Prego”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 25/08/2025