Quando la MAFIA diventa un BRAND

 

BRAND=Marchio di un prodotto o di una linea di prodotti.


 

30.9.2023 Quando la mafia è un ballo


4.9.2023 La Regione Sicilia vieta la vendita sulle navi di gadget che richiamano la mafia

«Mai più gadget che possano ledere l’immagine della Sicilia a bordo delle navi da e per la Sicilia». Lo dice l’assessore regionale alle Infrastrutture e alla mobilità, Alessandro Aricò, in merito alla polemica sorta per i souvenir di stampo mafioso in vendita sui traghetti tra Messina e Villa San Giovanni, lanciata sui social dal cantautore Mario Incudine.
«Seppure la tratta dello Stretto non è svolta nell’ambito di un contratto con la Regione Siciliana, siamo comunque intervenuti immediatamente presso Caronte & Tourist per chiederne la rimozione. Ringraziamo i vertici della società – aggiunge Aricò – per aver agito con altrettanta tempestività presso i terzi che hanno in affitto gli shop sulle loro navi».
«Come governo Schifani inoltre – aggiunge l’assessore – abbiamo fortemente voluto sostenere questa posizione, includendo nei nuovi contratti che seguiranno alla procedura negoziata per l’affidamento dei servizi di collegamento con le isole siciliane, un comma con cui si vieta la vendita a bordo delle navi di qualsivoglia oggetto che possa mortificare il riscatto della Sicilia rispetto a stereotipi che fanno ormai parte del suo passato e che i siciliani fortemente rigettano».


Souvenir sulla mafia in Sicilia, La Vardera (Antimafia) scrive all’assessore Aricò: “Messaggi lesivi per questa regione”

Il vicepresidente della Commissione Antimafia Ismaele La Vardera si appella all’assessore alle Infrastrutture e alla Mobilità della Regione Siciliana, Alessandro Aricò. Non è passato inosservato il video diffuso dall’artista Mario Incudine su un traghetto che ritraeva dei gadget lesivi dell’immagine della Sicilia che idealizzavano questa come la terra di boss: “a mafiusa”, “u mafiusu”, “il tagliere del padrino”, “sexy mafiosi”.

 

L’appello di La Vardera

«Gentile assessore», scrive La Vardera, «Le chiedo con urgenza di chiedere chiarimenti alle ditte che operano in quel collegamento, invitandole a sospendere immediatamente la vendita dei suddetti oggetti, e altresì di valutare di intraprendere tutte le azioni legali del caso perché ritengo che l’immagine della nostra Sicilia sia stata lesa, considerando il grandissimo flusso turistico che ogni giorno passa da quei mezzi».


Mario Incudine contro i souvenir mafiosi in vendita, “Dovremmo vergognarci di tutto questo”

 

 

VIDEO

 

Il cantante siciliano Mario Incudine  ha denunciato, attraverso un post pubblicato sui propri social, la vendita di souvenir che richiamano alla mafia. A bordo di un traghetto, indignato, l’artista ha espresso il suo pensiero. “Noi siciliani tutti dovremmo vergognarci. Un modello prodotto in anni di retaggi, di contro cultura, dannoso quanto obsoleto, che commercia l’immagine tradita di un’Isola che tenta d’affrancarsi”. L’appello poi tutti quanti, società civile e istituzioni, anche al sindaco di Messina Basile, di fermare tutto questo”.

La denuncia di Incudine

“Guardate questo, come souvenir della Sicilia magliette e taglieri con l’immagine de Il Padrino, ‘u mafiusu e a mafiusa’ e la novità: il guanto da cucina con la scritta ‘sexy mafiosi’. Io come siciliano mi vergogno di tutto questo, indignatevi pure voi. Non è possibile… Che schifo!”, ha detto ancora Incudine.

La Vardera: “Fare cessare questo schifo”

Dopo la vicenda sollevata dall’artista siciliano,  il deputato regionale di “Sud chiama nord”, Ismaele La Vardera, ha mandato una richiesta formale all’assessore regionale alle Infrastruttura e alla mobilità, Alessandro Aricò. “È necessario intervenire immediatamente – dice La Vardera – non si può continuare a vendere quei gadget. Oltre a dare un’idea sbagliata ai turisti, fomentano una cultura mafiosa. Io non ci sto e neanche questo governo dovrebbe permetterlo. Per questo motivo ho fatto una richiesta ufficiale all’assessore Aricò perché intervenga e metta un punto definitivo a questo schifo”. BLOG SICILIA


4.9.2023 “Palermo è una città con problemi di Mafia”, così lo stereotipo corre sul web. E’ quanto si legge in un sito che compara servizi di autonoleggio

 

Gli stereotipi sono duri a morire, soprattutto quelli che riguardano il meridione e la Sicilia.
Nonostante la nostra Terra sia tra le mete preferite dai turisti italiani e stranieri, c’è ancora chi pensa che l’antica Trinacria sia un’isola dove imperano soltanto malaffare e sopraffazione.
Un posto insomma bello da visitare, ma nel quale sarebbe meglio non vivere. Un luogo quasi abbandonato a se stesso, dove gli abitanti non fanno nulla per cambiare, dove tutto è estremamente difficile.
E se ormai non fanno più notizia, perché diffusissimi, i souvenir che raffigurano il mafioso con tanto di baffi, coppola e lupara in mano, o quelli che ritraggono il famoso Marlon Brando nel “Il Padrino”, ai tempi di internet e del mondo globalizzato la discriminazione corre anche online.
Quante volte, viaggiando in Italia o all’estero, e dando notizie sulla nostra provenienza, ci siamo sentiti dire, con tono perentorio, che “in Sicilia c’è la mafia”?. A tutti i siciliani sarà capitato almeno una volta nella vita, nonostante la nostra voglia di riscatto.
Ebbene, c’è un sito internet nel quale viene scritto che “Palermo è una città con problemi di Mafia”.
Ad imbattersi in questa espressione, e a denunciare la diffusione dell’ennesimo stereotipo contro la Sicilia, è il blog Rosalio.
Il sito in questione è quello olandese di EasyTerra, dove vengono comparati servizi di autonoleggio e Palermo viene descritta come una città dalla storia millenaria, certo, perché questo è vero, ma dove accade di tutto, una specie di jungla dove non c’è alcun rispetto delle regole e ognuno fa quello che gli pare.
Si legge su Rosalio che “la pagina è piena di bizzarrie, come: «Palermo è un posto molto trafficato con molte macchine che suonano il clacson a meno di 10 centimetri di distanza»”.
Non è purtroppo la prima volta che siti internet di diversi paesi descrivono la Sicilia in questo modo, e nulla ci porta a ritenere che non accadrà nuovamente.
Ma quando noi siciliani verremo veramente descritti per quello che siamo? Cioè per un popolo che si è sempre rimboccato le maniche e che vuole davvero cambiare? Quando non verremo più ‘classificati’ solo in base a pregiudizinegativi? La mafia in Sicilia c’è, non sarebbe intellettualmente onesto negarlo. Ma già da tempo si respira aria di cambiamento, voglia di affrancamento. I siciliani, tutti, nutriamo la speranza in un futuro migliore e ci auguriamo che venga presto il giorno in cui non saremo più solo ricordati e citati per la mafia.
In un’ordinanza il sindaco di Cinisi Giangiacomo Palazzolo ha deciso di vietare sul territorio comunale la vendita di oggettistica, come ad esempio souvenir, che richiamino in qualche modo alla mafia. Parliamo quindi di oggetti come quelli che ritraggono il padrino, armi, coppole o roba simile.
Il provvedimento è stato così giustificato dal primo cittadino: “Deve essere continuamente e fortemente contrastato ogni tipo di atteggiamento, anche di mera indifferenza, di favore nei confronti della mafia, – si legge nell’ordinanza – promuovendo iniziative culturali, sociali ed amministrative idonee ad eliminarne alla radice la capacità lesiva del fenomeno mafioso”.

Il tributo di Cinisi nella lotta alla mafia

In particolare Palazzolo ricorda che Cinisi è stata segnata dal tragico fenomeno mafioso, con l’omicidio di Peppino Impastato nel 1978, il militante di Democrazia proletaria ucciso perché aveva osato denigrare e denunciare pubblicamente il boss del paese Tano Badalamenti. “Ogni anno a Cinisi – evidenzia il primo cittadino – si riscontrano migliaia di presenze di visitatori, provenienti da tutto il mondo, e molti di loro si recano nel territorio al fine di rendere omaggio alla straordinaria storia di Peppino Impastato, eroe antimafia che ha contribuito in modo determinate, non solo al cambiamento culturale di Cinisi, ma dell’intero Territorio nazionale”.

Le sanzioni prevedono multe sino a 500 euro

I commercianti che violeranno tale disposizione rischiano una multa da 100 a 500 euro. Nello specifico il divieto è quello di “vendere qualsiasi tipo
di oggetto, souvenir, gadget che inneggi o semplicemente richiami anche ‘in termini positivi’, in qualunque modo e forma, alla mafia ed alla criminalità organizzata in genere”. All’interno della stessa ordinanza Palazzolo motiva questo divieto con il fatto che tali oggetti “mortificano la comunità cinisense, da anni impegnata nella diffusione della cultura della legalità e nel contrasto alla mafia. Ancora oggi persiste il rischio concreto che la subcultura mafiosa possa trovare nuova linfa in atti, comportamenti ed atteggiamenti tendenti a creare le condizioni sociali per una rivitalizzazione del fenomeno mafioso”. BLOG SICILIA

 



SAN PAOLO – BRASILE

 


Spot in Facebook…

multi brand online shopping

 

 


In vendita on Line


PAGINA FACEBOOK

 


L’aperitivo «il Padrino» a pochi metri dalla lapide delle vittime di mafia


Coldiretti: l’inquietante boom prodotti mafia style all’estero

 

Dal whiskey “Cosa nostra” in bottiglia a forma di mitra a tamburo al caffè mafiozzo venduto in Bulgaria. I danni d’immagine per il made in Italy e denucia di Coldiretti e Filiera Italia

Dalla Scozia arriva il whiskey “Cosa Nostra” in una bottiglia a forma del caratteristico mitra con caricatore a tamburo degli anni di Al Capone e Lucky Luciano – spiega la Coldiretti -, mentre in Portogallo si beve vino Talha Mafia “Pistol” con tanto di macchia di sangue stilizzata sulla confezione bag in box da 3 litri. In Germania si produce il Mafia Coffee Rub Don Marco’s, un condimento per la carne arrosto, come il PorkMafia Texas Gold che non viene però dagli Usa bensì dalla Finlandia.

In Bulgaria si beve il caffè “Mafiozzo” – denuncia Coldiretti – stile italiano, invece gli snack “Chilli Mafia” si possono comprare in Gran Bretagna, mentre in Germania si trovano le spezie “Palermo Mafia shooting”, a Bruxelles c’è la salsa “SauceMaffia” per condire le patatine e la “SauceMaffioso”, mentre in America, nel Missouri, si vende la salsa “Wicked Cosa Nostra”. In terra tedesca – continua Coldiretti – si beve anche il “Fernet Mafiosi”, con tanto di disegno di un padrino, mentre sul collarino della bottiglia è addirittura raffigurata una pistola, sotto la scritta “Stop!”.
Ma c’è anche il vino Syrah “Il Padrino” prodotto nella Santa Maria Valley California da Paul Late “For those who dare to feel” (per quelli che osano sentirsi). Su internet – continua la Coldiretti – è poi possibile acquistare il libro di ricette “The mafia cookbook” o comprare caramelle sul portale www.candymafia.com. Una galleria degli orrori che colpisce il vero Made in Italy realizzato grazie all’impegno di centinaia di migliaia di imprenditori onesti che tutti i giorni lavorano per offrire prodotti di altissima qualità.
Al gravissimo danno di immagine del Mafia Marketing si aggiunge la beffa dello sfruttamento economico del Made in Italy in una situazione in cui la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari italiani solo nell’agroalimentare ha ormai superato i 120 miliardi di euro, quasi il doppio delle esportazioni, e che costa all’Italia trecentomila posti di lavoro, secondo una analisi della Coldiretti.
Si tratta di danni economici e di immagine soprattutto nei mercati emergenti dove – rileva la Coldiretti – spesso il falso è più diffuso del vero e condiziona quindi negativamente le aspettative dei consumatori. “Lo sfruttamento di nomi che richiamano la mafia è un business che provoca un pesante danno di immagine al Made in Italy sfruttando – conclude Ettore Prandini Presidente della Coldiretti – gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose, banalizzando fin quasi a normalizzarlo, un fenomeno che ha portato dolore e lutti lungo tutto il Paese”.

Mafia marketing: dal whisky "Cosa nostra" al vino "Pistol" fino alle candy mafia

 

In mostra lo scandalo del Mafia Marketing

Scatta la rivolta di imprese, cittadini e Istituzioni contro lo scandalo mondiale del mafia marketing che per la prima volta verrà messo in mostra con un’inquietante “collezione” dei più vergognosi prodotti agroalimentari venduti nel mondo con nomi che richiamano gli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più odiose, sfruttati per fare un business senza scrupoli sul dolore delle vittime e a danno dell’immagine del Paese.
L’appuntamento è per domani venerdì 2 dicembre dalle ore 9,00 al Villaggio Coldiretti di Palermo, da Piazza del Teatro Politeama a Piazza Castelnuovo, dove accorreranno migliaia di agricoltori, assieme al presidente di Coldiretti Ettore Prandini e alla delegata di giovani Coldiretti Veronica Barbati. Un atto di denuncia rispetto a un fenomeno che getta discredito sull’immagine del Paese, diffondendo inaccettabili stereotipi, contro il quale prende il via una mobilitazione nazionale guidata dai giovani imprenditori che saranno presenti in piazza per difendere la reputazione dell’Italia ed il loro futuro.
Per l’occasione insieme alla prima mostra sui prodotti del mafia marketing nel mondo verrà diffuso lo studio Coldiretti “La mafia del piatto, dai ristoranti al supermercato” con un focus sulla ristorazione che in tutti i continenti sfrutta termini come mafia, cosa nostra, camorra come elementi di richiamo per fare affari propagandando una immagine distorta dell’italianità.
L’iniziativa si svolge nell’ambito del villaggio Coldiretti nel centro di Palermo dove nei tre giorni di manifestazione si alterneranno esponenti istituzionali, rappresentanti della società civile e studiosi che discuteranno su esclusivi studi e ricerche elaborate per l’occasione dalla Coldiretti. Ma il Villaggio di Palermo è anche un’occasione per toccare con mano la centralità e i primati dell’agricoltura italiana messi a rischio da guerra e rincari energetici e vivere un giorno da contadino tra le aziende agricole ed i loro prodotti, a tavola con gli agrichef, in sella agli asini e tra gli altri animali, nelle fattorie didattiche e negli agriasili dove i bambini possono imparare a impastare il pane o a fare l’orto.   2.12.2022 COLDIRETTI 

 

 

 

La denuncia della Coldiretti a Palermo: “Tutto questo danneggia il vero Made in Italia portato avanti da migliaia di imprenditori onesti”

Dal whisky “Cosa nostra” con tanto di bottiglia a forma di mitra al vino Talha Mafia fino al caffè Mafiozzo ma anche il condimento sale e pepe Two Pig Mafia è allarme “mafia style” per l’agroalimentare italiano con milioni di euro di giro d’affari generati dall’uso di nomi legati alla criminalità. A denunciarlo sono Coldiretti e Filiera Italia che insieme a imprese, cittadini e istituzioni scendono in piazza a Palermo dove è stata esposta per la prima volta un’inquietante “collezione” dei più scandalosi prodotti agroalimentari venduti nel mondo con nomi che richiamano gli episodi, i personaggi e le forme di malavita organizzata più odiose, sfruttati per fare un business senza scrupoli sul dolore delle vittime e a danno dell’immagine del Paese.
Dalla Scozia arriva il whisky “Cosa Nostra” in una bottiglia a forma del caratteristico mitra con caricatore a tamburo degli anni di Al Capone e Lucky Luciano – spiega la Coldiretti -, mentre in Portogallo si beve vino Talha Mafia “Pistol” con tanto di macchia di sangue stilizzata sulla confezione bag in box da 3 litri. 
In Germania si produce il Mafia Coffee Rub Don Marco’s, un condimento per la carne arrosto, come il PorkMafia Texas Gold che non viene però dagli Usa bensì dalla Finlandia.
In Bulgaria si beve il caffè “Mafiozzo” – denuncia Coldiretti – stile italiano, invece gli snack “Chilli Mafia” si possono comprare in Gran Bretagna, mentre in Germania si trovano le spezie “Palermo Mafia shooting”, a Bruxelles c’è la salsa “SauceMaffia” per condire le patatine e la “SauceMaffioso”, mentre in America, nel Missouri, si vende la salsa “Wicked Cosa Nostra”.

In terra tedesca – continua Coldiretti – si beve anche il “Fernet Mafiosi“, con tanto di disegno di un padrino, mentre sul collarino della bottiglia è addirittura raffigurata una pistola, sotto la scritta “Stop!”.
Ma c’è anche il vino Syrah “Il Padrino” prodotto nella Santa Maria Valley California da Paul Late “For those who dare to feel” (per quelli che osano sentirsi).
Su internet – continua la Coldiretti – è poi possibile acquistare il libro di ricette “The mafia cookbook” o comprare caramelle sul portale www.candymafia.com.
Una galleria degli orrori che colpisce il vero Made in Italy realizzato grazie all’impegno di centinaia di migliaia di imprenditori onesti che tutti i giorni lavorano per offrire prodotti di altissima qualità come al Villaggio della Coldiretti di Palermo dove nel weekend è possibile toccare con mano i primati dell’agroalimentare nazionale tra le aziende agricole, le imprese di eccellenza di filiera Italia e i cuochi contadini.
Al gravissimo danno di immagine del Mafia Marketing si aggiunge la beffa dello sfruttamento economico del Made in Italy in una situazione in cui la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari italiani solo nell’agroalimentare ha ormai superato i 120 miliardi di euro, quasi il doppio delle esportazioni, e che costa all’Italia trecentomila posti di lavoro, secondo una analisi della Coldiretti. Si tratta di danni economici e di immagine soprattutto nei mercati emergenti dove – rileva la Coldiretti – spesso il falso è più diffuso del vero e condiziona quindi negativamente le aspettative dei consumatori.
“Lo sfruttamento di nomi che richiamano la mafia è un business che provoca un pesante danno di immagine al Made in Italy sfruttando – conclude Ettore Prandini Presidente della COLDIRETTI – gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose, banalizzando fin quasi a normalizzarlo, un fenomeno che ha portato dolore e lutti lungo tutto il Paese”.


Da “Baciamo le mani” a “Cosa nostra”: almeno 300 ristoranti hanno un nome che ricorda la mafia

baciamo le mani

 

Sono quasi trecento i ristoranti che nel mondo si richiamano nel nome alla mafia, da “Baciamo le mani” a “Cosa nostra” fino agli improbabili Felafel Mafia, Nasi goreng Mafia e Karaoke Bar Mafia, sfruttando a tavola gli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più dolorose e odiose e danneggiando l’immagine del nostro Paese. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti condotta sulla banca dati del sito web Tripadvisor dove sono recensiti i locali di tutto il mondo, presentata al Villaggio contadino di Palermo, da piazza del teatro Politeama a piazza Castelnuovo con la protesta dei giovani agricoltori della Coldiretti e l’allestimento della prima mostra dei prodotti mafia style scovati in tutto il globo. In Spagna è possibile mangiare da “El padrino”, da “La dolce vita del padrino” e da “Baciamo le mani” – spiega la Coldiretti in una nota -, e anche nella martoriata Ucraina c’è una catena di locali “Mafia” dove servono pizza e altri piatti della cucina internazionale e persino un “Karaoke bar mafia”. Il richiamo a Cosa nostra è, infatti, assolutamente trasversale a culture e piatti di tutto il mondo e se negli Stati Uniti troviamo i locali “Felafel mafia” e “Sushi mafia”, in Germania ci sono i “Burger mafia”, in Indonesia “Nasi goreng mafia”, in Egitto “Mafia pizza” e in Brasile “Al Capone Pizza di Mafia”. In Austria c’è anche il ristorante “Mafiosi”, in Finlandia si mangia da “Don Corleone” e in Francia da “Cosa nostra”. E non mancano divagazione sul tema, se è vero che in Russia c’è un ristorante chiamato “Camorra”.
Nella classifica dei Paesi con più locali ispirati al “mafia sounding” si piazza la Spagna con 63 ristoranti, grazie soprattutto alla catena “La Mafia se sienta a la mesa” diffusa in tutto il territorio nazionale che fa mangiare i clienti sotto i murales dei gangsters più sanguinari da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano, fino ad Al Capone, mentre al secondo – rileva Coldiretti – si piazza l’Ucraina (38 tra ristoranti, bar e pizzerie) davanti al Brasile (28). Seguono Indonesia (23), Russia (19), India (16), Giappone (15), Polonia (11), Usa (8), Portogallo e Australia che chiudono la top ten con a pari merito con 5 casi. Ma attività che richiamano Cosa Nostra si trovano ormai dappertutto, dalla Germania alla Thailandia, dal Messico alla Corea del Sud, da Panama alla Moldavia, fino a Giordania, Malesia, Sri Lanka, Taiwan, Vietnam e Canada, solo per citarne alcuni. Un fenomeno odioso che – sottolinea Coldiretti – nasce in molti casi dall’ignoranza o dalla scarsa sensibilità verso il dolore provocato dalla criminalità organizzata al quale andrebbe posta fine una volta per tutte. Nel caso della catena di ristoranti spagnola “La mafia se sienta a la mesa” l’Unione europea, su richiesta dell’Italia, ha addirittura annullato la concessione del marchio in quanto contrario all’ordine pubblico e al buon costume, anche se i locali sono ancora aperti in tutto la Spagna. “L’Unione europea deve fermare l’utilizzo commerciale di marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose e rischiano di penalizzare l’immagine dell’intero agroalimentare tricolore in un momento in cui le esportazioni hanno raggiunto il record storico contribuendo alla ripresa del Sistema Paese”, ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.​

 

MAFIA E ALIMENTAZIONE


 

Food: Il brand Mafia è un business milionario nel mondo con grave danno al Made in Italy agroalimentare

Un’inquietante “collezione” dei più scandalosi prodotti agroalimentari venduti nel mondo con nomi che richiamano gli episodi, i personaggi e le forme di malavita organizzata che appartengono allo stereotipo più vieto di antiitalianità: a Palermo Coldiretti e Filiera Italia hanno messo in mostra il business del malaffare.  
Quello che colpisce che spesso questi prodotti ispirati a mafia e malaffare arrivano da paesi europei o a noi vicini.
Si va dal whisky “Cosa nostra” con tanto di bottiglia a forma di mitra che si vende in Scozia al vino portoghese Talha Mafia “Pistol” con tanto di macchia di sangue stilizzata sulla confezione bag in box da 3 litri.
Si prosegue con il caffè Mafiozzo prodotto in Bulgaria e il Mafia Coffee Rub Don Marco’s prodotto in Germania, ma anche il condimento sale e pepe Two Pig Mafia e un condimento per la carne arrosto, come il PorkMafia Texas Gold che non viene però dagli Usa bensì dalla Finlandia.

L’allarme “mafia style” per l’agroalimentare italiano riguarda un giro d’affari per milioni di euro

L’allarme “mafia style” per l’agroalimentare italiano lanciato da Coldiretti e Filiera Italia riguarda un giro d’affari per milioni di euro di giro d’affari generati dall’uso di nomi legati alla criminalità organizzata.
Una galleria degli orrori che colpisce il vero Made in Italy realizzato grazie all’impegno di centinaia di migliaia di imprenditori onesti che lavorano per offrire prodotti di altissima qualità. Se ne è parlato al Villaggio della Coldiretti di Palermo dove nel weekend è possibile toccare con mano i primati dell’agroalimentare nazionale tra le aziende agricole, le imprese di eccellenza di filiera Italia e i cuochi contadini. La galleria degli orrori prosegue con gli snack “Chilli Mafiache si possono comprare in Gran Bretagna. E se in Germania si trovano le spezie “Palermo Mafia shooting”, a Bruxelles c’è la salsa “SauceMaffia” per condire le patatine e la “SauceMaffioso”, mentre in America, nel Missouri, si vende la salsa “Wicked Cosa Nostra”.
In terra tedesca si beve anche ilFernet Mafiosi”, con tanto di disegno di un padrino, mentre sul collarino della bottiglia è addirittura raffigurata una pistola, sotto la scritta “Stop!”.

L’Italian Sounding ha superato i 120 miliardi di euro, e costa all’Italia, trecentomila posti di lavoro
Ma c’è anche il vino Syrah “Il Padrino” prodotto nella Santa Maria Valley California da Paul Late “For those who dare to feel” (per quelli che osano sentirsi). Su internet è poi possibile acquistare il libro di ricette “The mafia cookbook” o comprare caramelle sul portale www.candymafia.com.

Al gravissimo danno di immagine del Mafia Marketing – osserva con preoccupazione la Coldiretti – si aggiunge la beffa dello sfruttamento economico del Made in Italy in una situazione in cui la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari italiani solo nell’agroalimentare ha ormai superato i 120 miliardi di euro, quasi il doppio delle esportazioni, e che costa all’Italia, secondo una analisi dell’Organizzazione, trecentomila posti di lavoro.
Non ci sono solo i prodotti ma anche i ristoranti che si richiamano alla mafia, oltre 300 nel mondo
Ma non sono solo i prodotti a danneggiare il buon nome dell’Italia.  Ci si mettono anche i ristoratori all’estero, e purtroppo va detto che non di rado sono italiani, che cercano così di attirare l’attenzione del pubblico
Sono quasi trecento i ristoranti che nel mondo si richiamano nel nome alla mafia, da “Baciamo le mani” a “Cosa Nostra” fino agli improbabili Felafel Mafia, Nasi goreng Mafia e Karaoke Bar Mafia È quanto emerge da una analisi della Coldiretti condotta sulla banca dati del sito web Tripadvisor.
In Spagna è possibile mangiare da “El padrino”, da “La dolce vita del padrino” e da “Baciamo le mani” – spiega la Coldiretti -, e anche nella martoriata

Ucraina c’è una catena di locali “Mafia” dove servono pizza e altri piatti della cucina internazionale e persino un “Karaoke bar mafia”.
Negli  Stati Uniti troviamo i locali “Felafel mafia” e “Sushi mafia”
in Germania ci sono i “Burger mafia”,
in Indonesia “Nasi goreng mafia”,
in Egitto “Mafia pizza” e
in Brasile “Al Capone Pizza di Mafia”.
In Austria c’è anche il ristorante “Mafiosi”,
in Finlandia si mangia da “Don Corleone
in Francia da “Cosa nostra”.
in Russia c’è un ristorante chiamato “Camorra”.
Nella classifica dei Paesi con più locali ispirati al “mafia sounding” si piazza la Spagna con 63 ristoranti, grazie soprattutto alla catena “La Mafia se sienta a la mesa”
diffusa in tutto il territorio nazionale che fa mangiare i clienti sotto i murales dei gangsters più sanguinari da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano, fino ad Al Capone, mentre al secondo si piazza l’Ucraina (38 tra ristoranti, bar e pizzerie) davanti al Brasile (28).  Seguono Indonesia (23), Russia (19), India (16), Giappone (15), Polonia (11), Usa (8), Portogallo e Australia che chiudono la top ten con a pari merito con 5 casi.

Ma attività che richiamano Cosa Nostra si trovano ormai dappertutto, dalla Germania alla Thailandia, dal Messico alla Corea del Sud, da Panama alla Moldavia, fino a Giordania, Malesia, Sri Lanka, Taiwan, Vietnam e Canada, solo per citarne alcuni.
Nel caso della catena di ristoranti spagnola “La mafia se sienta a la mesa” l’Unione Europea, su richiesta dell’Italia, ha addirittura annullato la concessione del marchio in quanto contrario all’ordine pubblico e al buon costume, anche se i locali sono ancora aperti in tutto la Spagna.
“L’Unione Europea – afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. – deve fermare l’utilizzo commerciale di marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose e rischiano di penalizzare l’immagine dell’intero agroalimentare tricolore in un momento in cui le esportazioni hanno raggiunto il record storico contribuendo alla ripresa del Sistema Paese”. di Rita Cavalli FIRST

 

Mafia Brand: banalizzare un fenomeno criminale lo rende più pericoloso

Se siete italiani e avete varcato i confini nazionali almeno una volta sapete di cosa sto parlando: “Italiani? Bella vita! Mare, pizza, mafia!”. Questo stereotipo che ci perseguita è stato alimentato da un’immagine grottescamente distorta del fenomeno mafioso, tanto da poter pensare che lo si possa vedere come una banale forma di folclore tutta italiana. Nulla di più sbagliato. Nessuna persona dotata di un minimo senso del pudore scherzerebbe su eventi tragici come l’11 settembre o la strage del Bataclan. Eppure sulla mafia si scherza eccome! Non si tratta solo di humour nero ma di qualcosa di molto peggio: si tratta di banalizzare un fenomeno estremamente pericoloso.
Ci dobbiamo quindi chiedere cosa abbia di fatto addolcito questa percezione delle organizzazioni di stampo mafioso.
Una risposta esaustiva richiederebbe un lungo approfondimento sulla strategia comunicativa delle organizzazioni criminali, sulla loro rappresentazione cinematografica e sullo spazio che viene dedicato loro dai media.
C’è però un altro aspetto che non è per forza riconducibile alle organizzazioni criminali, ovvero il brand “Mafia”.  Non si tratta di una singola impresa che ha brevettato un marchio per produrre beni di consumo e servizi, ma di svariate attività che sono ricorse a questi brutti luoghi comuni per fare business.
Significativo in questo senso il recente caso di una pizzeria di Francoforte sul Meno che ha fatto parlare di sé per aver scelto il nome Falcone e Borsellino.
Sarebbe stato un bel tributo ai due magistrati se non fosse che l’insegna era circondata da disegni di fori di proiettile.
Ai muri del locale era inoltre appesa non solo la fotografia dei due magistrati uccisi da Cosa nostra, a cui sono dedicate pure due pizze sul menù, ma anche quella del protagonista de Il Padrino, Vito Corleone. Maria Falcone, sorella del primo dei due giudici assassinati, ha richiesto alla magistratura tedesca di impedire al proprietario del locale di utilizzare il nome “Falcone” nell’intestazione della pizzeria. Tuttavia il suo ricorso è stato respinto perché, secondo il tribunale, a quasi trent’anni dalla morte del giudice “il tema della lotta alla mafia non è più così sentito tra i cittadini”. Se di solito l’odore di pizza fa venire l’acquolina in bocca, in questo caso è difficile conservare l’appetito. Per fortuna alla fine il buonsenso ha avuto la meglio e il ristoratore ha rinunciato al nome specificando in una lettera inviata all’ambasciata italiana a Berlino che “in nessun momento è stata nostra intenzione banalizzare la mafia, offendere i due magistrati […] e le vittime innocenti della mafia”.
Casi analoghi si sono verificati anche in Spagna, Austria, Argentina e ancora in Germania. Se avete buona memoria forse vi ricorderete del ristorante spagnolo La Mafia se sienta a la mesa, ovvero La Mafia si siede a tavola, fondato nel 2001 e trasformato in franchising con l’apertura della società La Mafia Franchises S.L.. Due denominazioni che non lasciano troppo spazio all’immaginazione. All’interno dei ristoranti è possibile mangiare piatti tipici della cucina mediterranea circondati da fotografie tratte da Il Padrino e pannelli che riportano i nomi scritti a caratteri cubitali dei più importanti boss italoamericani mischiati a quelli dei personaggi cinematografici. A seguito di una battaglia dell’allora presidente della commissione antimafia Rosy Bindi il brand ha ricevuto un duro colpo con l’annullamento del marchio da parte della Divisione Cancellazioni dell’Ufficio Marchi e Disegni dell’Unione europea.
La commissione dell’EUIPO ha poi confermato che il marchio contestato era contrario all’ordine pubblico, respingendo il ricorso del marzo del 2018. Il marchio rimane quindi “invalido per tutti i beni e servizi in contestazione”.
Una vittoria della pubblica decenza? Non proprio. Basta andare sul sito della catena per rendersi conto che i ristoranti non hanno cambiato nome e che stanno festeggiando i vent’anni di attività.
Nel 2013 ha fatto parlare di sé il Pub Don Panino di Vienna che offriva sandwich dedicati a padrini ed eroi antimafia. Un esempio di cattivo gusto che raggiungeva il suo apice con il panino dedicato a Peppino Impastato, giornalista antimafioso assassinato su ordine del boss Tano Badalamenti nel 1978. Sul menù la descrizione del panino era raccapricciante: “Siciliano dalla bocca larga, fu cotto in una bomba come un pollo nel barbecue”.
Stesso scenario a Buenos Aires dove il ristorante Arte de Mafia prevede tutt’oggi un menù a base di cliché come il “Petto di pollo dei picciotti”, i “Gamberetti della Famiglia Genovese” e la “Picada de Vito Corleone”.
Anche qui appese alle pareti non mancano fotografie tratte da Il Padrino, la locandina di Quei Bravi ragazzi e i dieci comandamenti della mafia, ovvero una lista di luoghi comuni su rispetto, onore e famiglia tradotti in un italiano maccheronico.
Il locale è tutt’ora in attività, valutato 4 su 5 su TripAdvisor.
Nel quartiere St. Pauli di Amburgo la Trattoria Palermo serve delle autentiche pizze italiane. Anche se il locale non accetta prenotazioni, è possibile telefonare per richiedere informazioni.
Gli interlocutori sono in grado di rispondere in tedesco, italiano e dialetto siciliano. Tutto bello? Beh, quasi.
Nel menù della trattoria alla modica cifra di dieci euro è possibile ordinare la “Pizza Mafia”.
Qualcosa di simile succede anche a Milano dove la pasticceria e rosticceria siciliana Cose Nostre ha scelto un nome quantomeno evocativo.
Il Mafia Brand è comprato e venduto dunque anche in Italia.
In Sicilia ad esempio non è raro scorgere nei negozi per turisti magliette, grembiuli e calamite raffiguranti Vito Corleone o uno stereotipato mafioso con coppola e lupara.
Il Mafia Brand ha attecchito anche nell’abbigliamento.
Nel 2013 il marchio Pakkiano aveva inserito nel suo catalogo una t-shirt con il volto del boss della mala del Brenta, Felice Maniero, accostata alla scritta “Fasso Rapine”.
I capi di abbigliamento sono stati ritirati dal mercato dallo stesso produttore, raggiunto dalle critiche dei cittadini veneti e da un’azione legale promossa dall’allora sindaco di Campolongo Maggiore (VE) Alessandro Campalto.
Se in passato l’Italia ha tristemente esportato crimine organizzato, oggi ci ritroviamo nella situazione paradossale in cui un’azienda della provincia di Parma importa dal Brasile e distribuisce nello Stivale il Mafia Brand.
Infatti lo scorso dicembre è scoppiato il caso del marchio di abbigliamento dall’inequivocabile nome La Bella Mafia. C’è da chiedersi in che modo possa definirsi “bella” un’organizzazione criminale che ha compiuto atti di terrorismo, ucciso migliaia di persone e avvelenato l’economia di intere nazioni. 
I simboli del crimine organizzato come brand hanno valicato i confini continentali. Sul web non è difficile imbattersi in siti che vendono magliette e felpe raffiguranti la faccia del sanguinario narcotrafficante colombiano Pablo Escobar, la cui figura è tornata alla ribalta a seguito del successo della serie tv Narcos. Sarebbe più corretto parlare di Narco Brand, ma curiosamente il figlio di Escobar nella sua autobiografia parla del padre come di un mafioso.
Tra i capi di abbigliamento che hanno utilizzato il volto di Escobar ci sono anche le maglie del marchio De Puta Madre fondato dall’ex narcotrafficante colombiano di Cali, Ilan Fernàndez.
Poco importa se Escobar ha causato la morte di centinaia di persone, il senso degli affari non impedisce di mettere in commercio una maglietta con la scritta a caratteri cubitali “Colombia, Narcotraffico”. Ironia della sorte anche Fernàndez è stato vittima di un crimine: le sue magliette sono state contraffatte e lui stesso se ne è lamentato.
Evidentemente anche il Narco Brand vende, tant’è che Emma Coronel Aispuro, moglie del narcotrafficante Joaquín Guzmán, alias El Chapo, da anni sta lavorando per avviare un’attività al fine di lanciare indumenti con il marchio commerciale Chapo. Nel 2016 ha ottenuto l’autorizzazione da parte dell’Istituto messicano per la proprietà industriale a utilizzare il soprannome del signore della droga per etichettare prodotti commerciali e nell’aprile del 2019 El Chapo ha firmato dalla sua cella di Manhattan un contratto che le conferisce i diritti sul suo nome tramite la società JGL LLC. In questa occasione il signore della droga non è stato né il più veloce né il più innovativo: nei mercatini messicani le magliette e i cappellini con la sua faccia sono in commercio già da qualche anno. STAMPO ANTIMAFIOSO 2021 di Amedeo Paparoni


“MAFIA”, BRAND DAI RICAVI MILIONARI. “FERMARE USO COMMERCIALE DI UN MARCHIO INFAME”

 

Un business milionario che si estende dai ristoranti ai prodotti, dal caffè “Mafiozzo” stile italiano dalla Bulgaria agli snack “Chilli Mafia” della Gran Bretagna, dalle spezie “Palermo Mafia shooting” della Germania fino alla salsa “SauceMaffia” per condire le patatine e quella “SauceMaffioso” per la pasta scovate a Bruxelles nella Capitale d’Europa.
È quanto afferma la Coldiretti che, nel commentare positivamente la sentenza della Corte Ue che accoglie la richiesta dell’Italia di invalidare il marchio alla catena di ristoranti spagnoli “La Mafia” (“La Mafia se sienta ala mesa”), denuncia i troppi casi in cui si fa affari sfruttando a tavola gli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più dolorose e odiose, a danno dei veri prodotti agroalimentari Made in Italy.
Un oltraggio considerato insopportabile da due italiani su tre (65%) che non tollerano il luogo comune diffuso all’estero che porta gli stranieri ad assimilare l’Italia alla mafia, secondo l’indagine Coldiretti/ixè. Il caso spagnolo – denuncia la Coldiretti – non è purtroppo isolato poiché in tutto il mondo dal Messico a Sharm El Sheik, dal Minnesota alla Macedonia si trovano ristoranti e pizzerie “Cosa Nostra” mentre a Phuket in Thailandia c’è addirittura un servizio take-away. Ma nei diversi continenti ci sono anche i locali Ai Mafiosi”, “Bella Mafia” e “Mafia Pizza”.
E su internet – continua la Coldiretti – è possibile acquistare il libro di ricette “The mafia cookbook”, comprare caramelle sul portale www.candymafia.com o ricevere i consigli di mamamafiosa (www.mamamafiosa.com) con sottofondo musicale a tema.
“Va fermato l’utilizzo commerciale di tutti quei marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose, banalizzando fin quasi a normalizzarlo, un fenomeno che ha portato dolore e lutti lungo tutto lo Stivale – ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – Il business è stato oggetto di uno specifico approfondimento anche nell’ambito dell’Osservatorio Agromafie promosso dalla Coldiretti che ha raccolto esempi concreti di oltraggio in diversi continenti”.

 

 

La MAFIA in tavola…

RISTORANTI : “La mafia” come marchio?

Il sogno di Parigi svanisce per la figlia di Totò Riina, chiude il ristorante

Il sogno parigino della figlia di Riina è durato poco. Lucia Riina, 40 anni, si era trasferita nella Ville Lumiere una dei quattro figli del boss corleonese stragista Totò, morto nel 2017 in carcere dove era finito dopo 24 anni di latitanza.
La più giovane dei rampolli Riina era sbarcata a Parigi nell’autunno 2018 aprendo il bistrot “Corleone by Lucia Riina” dove alle pareti aveva appeso le sue opere pittoriche. A gennaio 2019 dopo che la notizia si era diffusa e i media avevano fatto servizi provocando reazioni anche del sindaco di Corleone cui non era piaciuto il nome della cittadina nell’insegna, e suscitando anche l’aggressività del marito di Lucia, Vincenzo Bellomo, che ha inseguito operatori televisivi lanciandogli contro oggetti, la coppia aveva deciso di togliere il nome pesante dal ristorante.
“Non ho cercato di provocare né di offendere nessuno – aveva detto Lucia – volevo soltanto valorizzare la mia identità di artista-pittrice. E anche mettere in risalto la cucina siciliana. Affinché non ci sia nessun malinteso, vi annuncio che ho deciso di ritirare il mio nome dall’insegna del ristorante e dalle pubblicità, anche se mi dispiace che la mia identità di pittrice e di donna venga negata”.
Ma nel luglio 2019 Lucia con marito e figlia ha deciso di salutare rue Daru e tornare a Corleone. Nel paese dei boss che hanno gestito Cosa nostra per un quarantennio però la donna da qualche tempo non si vede. C’è chi dice si sia trasferita scegliendo una meta lontana. Nessuno in paese parla apertamente ma qualcuno sussurra che i Bellomo siano andati in Canada.

La figlia di Totò Riina annuncia: “Toglierò mio nome da ristorante a Parigi” e risponde a chi la accusa “Mia vita trasparente”

Pascal Fratellini, ultimo discendente della famiglia di un celebre trio di artisti circensi originari di Firenze che fece fortuna in Francia, socio dei Bellomo nel locale parigino, dice che Lucia ha lasciato Parigi nell’estate 2019 “non avevano legami, non parlavano bene il francese, e forse mancavano loro i familiari”.
“Andare a trovare lo zio – aggiunge – o il fratello che sono in carcere era molto difficile. Per loro i legami sono importanti.
Quando stavano in Francia la madre chiamava tutti i giorni per avere notizie: ‘Cosa succede a Parigi?’” Il bistrot parigino non ha riaperto dopo il lockdown. Fratellini spera di riaprire a breve anche se “il ristorante è solo una parte della mia attività, il mio principale business sono i locali notturni che scontano però la crisi in modo più forte”.  Blog Sicilia 6.9.2020


I ristoranti e i prodotti stranieri con nomi che si ispirano alla mafia

Dalle pizzerie “Cosa Nostra” al caffè bulgaro “Mafiozzo”, sono decine e decine e c’è chi ritiene che danneggino l’immagine dell’Italia

In tutto il mondo ci sono almeno 300 ristoranti che si richiamano alla mafia nel nome, secondo una stima che ha fatto Coldiretti, la principale associazione italiana di produttori agricoli, attraverso la banca dati del sito di consigli di viaggio Tripadvisor. E ci sono anche centinaia di prodotti alimentari, dal vino al caffè agli snack, con marchi che si ispirano alla criminalità organizzata italiana. A volte questo fenomeno viene chiamato “mafia marketing”, e qualcuno chiede che sia maggiormente stigmatizzato e sanzionato, ritenendo che danneggi l’immagine dell’Italia all’estero rafforzando luoghi comuni offensivi.
È un fenomeno che esiste da molto tempo: ristoranti che si chiamano “Baciamo Le Mani” o “Cosa Nostra” ci sono ovunque, e spesso l’immagine richiamata nell’insegna o nel logo del ristorante o della pizzeria è lo stereotipo del mafioso con la coppola o il gangster italo-americano degli anni Venti con il mitra in mano. D’altra parte anche in Italia è pieno di ristoranti che si chiamano “Il padrino” e che evocano, più che altro, la figura di Marlon Brando nel film di Francis Ford Coppola del 1972. È una forma di marketing che a volte funziona e a volte no: un bistrot aperto a Parigi dalla figlia di Totò Riina, “Corleone by Lucia Riina”, ha chiuso nel 2020.
Rientra in un altro ordine di problemi invece il fatto che molti ristoranti in Italia siano utilizzati dalla criminalità organizzata come strumento di riciclaggio del denaro. Secondo un’analisi sempre di Coldiretti, i locali a rischio di infiltrazione mafiosa sarebbero 15mila. È difficile però che le organizzazioni criminali scelgano nomi come “Cosa Nostra” o “Mafia” per i propri locali.
Secondo Coldiretti, il fenomeno del marketing che si richiama alla mafia va combattuto e se possibile bloccato. Per il presidente Ettore Prandini l’Unione Europea «deve fermare l’utilizzo commerciale di marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose e rischiano di penalizzare l’immagine dell’intero agroalimentare tricolore».
Alcune iniziative c’erano già state in passato. Nel 2019 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva detto che la catena di ristoranti spagnola “La mafia se sienta a la mesa” non doveva utilizzare quel nome perché «banalizza l’organizzazione criminale italiana». I proprietari si erano difesi sostenendo che il logo conteneva una rosa, non un’arma, e che quindi non c’era nessun richiamo alla violenza. I ristoranti della catena si chiamano ancora così, in tutta la Spagna.
Secondo Coldiretti è proprio la Spagna il paese con la maggiore concentrazione di ristoranti che si richiamano nel nome alla mafia: ce ne sarebbero 63. Seguono Ucraina (38) e Brasile (28). Ma pizzerie, bar, ristoranti di questo genere ci sono dappertutto: India, Stati Uniti, Giappone, Australia, Germania, Canada, e poi Giordania, Sri Lanka, Vietnam, Malesia, Moldavia.

 

 

 

Un ristorante chiamato “Mafia”, accanto a un altro di nome “Casta”, a Tiraspol, in Transnistria, regione separatista moldava (Stefano Vizio/Il Post)

I nomi non sono molti fantasiosi. In Spagna ci sono anche “El Padrino” e “La Dolce Vita del Padrino”. In Ucraina c’è il “Karaoke Bar Mafia” e la catena di locali “Mafia”. In Germania ci sono i “Burger Mafia” e in Brasile gli “Al Capone Pizza di Mafia”. Negli Stati Uniti c’è “Sushi Mafia”, mentre in Finlandia un locale si chiama “Don Corleone”. In Russia un ristorante si chiama “Camorra”.
C’è poi l’altro fenomeno denunciato sempre da Coldiretti: è quello dei prodotti alimentari che, come i ristoranti, hanno nomi che si richiamano alla mafia. Gli esempi sono tanti: c’è per esempio un whisky scozzese, contenuto in una bottiglia a forma di mitra, che si chiama Cosa Nostra. In Germania c’è il Fernet Mafiosi, sul quale è disegnata una pistola. In California viene prodotto il vino Il Padrino e in Inghilterra ci sono gli snack Chilli Mafia. In Portogallo c’è un cartone da tre litri di vino rosso che si chiama Talha Mafia Pistol, e ha una macchia di sangue stilizzata sull’etichetta.
In Bulgaria invece è in vendita il caffè Mafiozzo. C’è poi tutto il capitolo delle salse: un condimento per la carne prodotto in Germania si chiama Mafia Coffee Rub Don Marco’s mentre in Finlandia una salsa ha il nome di Pork Mafia Texas Gold. In Belgio esistono le salse Sauce Maffia e Sauce Maffioso; negli Stati Uniti è in vendita la Wicked Cosa Nostra. C’è poi un portale in cui si vendono caramelle che si chiama candymafia.com e un libro di ricette con il titolo The Mafia Cookbook. Tutto questo comporta, secondo Coldiretti, un danno di immagine piuttosto grave che si aggiunge a quello complessivo della contraffazione e falsificazione dei prodotti alimentari italiani.


Se al ristorante la Mafia diventa marketing

Pizza, spaghetti, mafia. L’Italia degli stereotipi, delle frasi fatte, del folklore più nero dello humor, che a volte si traduce in pietre della storia del costume, ma che molto spesso “stroppia”. Come ogni cosa che è decisamente in eccesso. E se tutti – chi più chi meno – ricordiamo le scene al ristorante de Il Padrino, è su altri ristoranti che si è focalizzata la lente della Coldiretti e del 6° Rapporto sulle Agromafie e sui crimini nell’Agroalimentare, che lancia un vero allarme “Mafia Style“, stimando in milioni di euro il giro di affari di imprese che strizzano l’occhio agli cliché della criminalità organizzata. 
 Un passo oltre l’Italian Sounding, infatti, c’è il mafia sounding, che si è scoperto essere un vero e proprio calderone sommerso – ma non troppo – di attività che utilizzano nomi e rimandi alla mafia come vere e proprie strategie di marketing. Il ristorante Riina di Parigi, gestito dalla figlia dell’ex “capo dei capi” di Cosa Nostra, è solo l’ultimo di una lunga serie di casi similari, salito agli onori della cronaca per lo scandalo legato alla figura, ancora troppo contemporanea, del boss e dei suoi crimini.
Ma il caso va oltre la memoria della famiglia corleonese e ha i contorni di un deciso problema di costume e percezione. Uno dei casi più eclatanti degli ultimi anni è quello della catena di ristoranti spagnoli “La mafia se sienta a la mesa“; da Valencia a Madrid portano a tavola una cucina di stile italiano, lasciando che i clienti si siedano in un piccolo circo, dove alle pareti invece di folkloristiche scene che ripropongono – come in altre parti del mondo – scene di vita quotidiana del nostro Paese, ci sono murales che raffigurano i più sanguinari e famigerati boss mafiosi della storia recente. Da Lucky Luciano ad Al Capone, con un nutrito repertorio nel mezzo. 
E se in Nuova Zelanda l’infelite uscita di una catena di fast food che ha messo in commercio il “Pablo Escoburger“, ha fatto indignare i social, in questo caso – diffuso – dei ristoranti Mafia Style, non si registra nessun tipo di reazione. Secondo Coldiretti, che insieme ad Eurispes ha stilato il Rapporto, “si trovano ristoranti e pizzerie “cosa nostra” dal Messico all’Egitto”, con casi anche in Nazioni lontanissime come il “Minnesota” o la Thailandia; una sorta di plebiscito del marketing che avvolge i cinque continenti quasi senza soluzione di continuità. Trovare un ristorante “Bella Mafia” è decisamente semplice, ma la tendenza sta uscendo dalla porta dei ristoranti per entrare sugli scaffali di supermercati e botteghe, anche in Paesi che vengono canonicamente considerati più civili e meno suggestionabili.
Come la Norvegia, dove è recentemente stato mandato in onda uno spot che pubblicizza i Cannoli Siciliani, eccellenza agroalimentare molto amata, ma qui lanciata al grido di “mafiakaker eller cannoli“, ossia “il dolce della mafia“. Un esempio per tutti, quello del Paese scandinavo, che è però in ottima compagnia con il “caffè mafiozzo”– che, come denuncia coldiretti, pare essere comune in Bulgaria -, la “saucemaffia“, salsa per fast food reperibile a Bruxelles, ilSyrah “Padrino” prodotto in California o il Fernet Mafiosi, un liquore in vendita sul mercato tedesco, la cui bottiglia è vestita ad hoc, “con tanto di disegno di un padrino, mentre sul collarino della bottiglia è addirittura raffigurata una pistola”.  
E se il portale, che vende caramelle sfuse per bambini, CandyMafia, può quasi sembrare una boutade, il sito di consigli culinari MamMafiosa diventa in realtà inquietante, con la possibilità di selezionare una musica a tema da cui farsi accompagnare mentre si legge la biografia di Angelina Torricelli, proprietaria del blog che racconta della sua vita da ignara moglie di boss e di come abbia scoperto la reale occupazione del marito solo il giorno in cui è stato ucciso. Un business milionario, quindi, con ramificazioni tentacolari, dalle caramelle al liquore, fino ai libri di cucina – esempio su tutti “The Mafia CookBook” – che “banalizza, attraverso gli stereotipi, un periodo doloroso e recente della storia italiana” apportando, anche se fra frizzi, lazzi e battute che sembran divertenti, un danno “notevole al made in Italy”, forse anche più subdolo e profondo di quello dei prodotti falsi. LA REPUBBLICA 29.2.2019


Da “Baciamo le mani” a “Cosa nostra”: almeno 300 ristoranti hanno un nome che ricorda la mafia

Sono quasi trecento i ristoranti che nel mondo si richiamano nel nome alla mafia, da “Baciamo le mani” a “Cosa nostra” fino agli improbabili Felafel Mafia, Nasi goreng Mafia e Karaoke Bar Mafia, sfruttando a tavola gli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più dolorose e odiose e danneggiando l’immagine del nostro Paese. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti condotta sulla banca dati del sito web Tripadvisor dove sono recensiti i locali di tutto il mondo, presentata al Villaggio contadino di Palermo, da piazza del teatro Politeama a piazza Castelnuovo con la protesta dei giovani agricoltori della Coldiretti e l’allestimento della prima mostra dei prodotti mafia style scovati in tutto il globo. In Spagna è possibile mangiare da “El padrino”, da “La dolce vita del padrino” e da “Baciamo le mani” – spiega la Coldiretti in una nota -, e anche nella martoriata Ucraina c’è una catena di locali “Mafia” dove servono pizza e altri piatti della cucina internazionale e persino un “Karaoke bar mafia”. Il richiamo a Cosa nostra è, infatti, assolutamente trasversale a culture e piatti di tutto il mondo e se negli Stati Uniti troviamo i locali “Felafel mafia” e “Sushi mafia”, in Germania ci sono i “Burger mafia”, in Indonesia “Nasi goreng mafia”, in Egitto “Mafia pizza” e in Brasile “Al Capone Pizza di Mafia”. In Austria c’è anche il ristorante “Mafiosi”, in Finlandia si mangia da “Don Corleone” e in Francia da “Cosa nostra”. E non mancano divagazione sul tema, se è vero che in Russia c’è un ristorante chiamato “Camorra”.
Nella classifica dei Paesi con più locali ispirati al “mafia sounding” si piazza la Spagna con 63 ristoranti, grazie soprattutto alla catena “La Mafia se sienta a la mesa” diffusa in tutto il territorio nazionale che fa mangiare i clienti sotto i murales dei gangsters più sanguinari da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano, fino ad Al Capone, mentre al secondo – rileva Coldiretti – si piazza l’Ucraina (38 tra ristoranti, bar e pizzerie) davanti al Brasile (28). Seguono Indonesia (23), Russia (19), India (16), Giappone (15), Polonia (11), Usa (8), Portogallo e Australia che chiudono la top ten con a pari merito con 5 casi. Ma attività che richiamano Cosa Nostra si trovano ormai dappertutto, dalla Germania alla Thailandia, dal Messico alla Corea del Sud, da Panama alla Moldavia, fino a Giordania, Malesia, Sri Lanka, Taiwan, Vietnam e Canada, solo per citarne alcuni. Un fenomeno odioso che – sottolinea Coldiretti – nasce in molti casi dall’ignoranza o dalla scarsa sensibilità verso il dolore provocato dalla criminalità organizzata al quale andrebbe posta fine una volta per tutte. Nel caso della catena di ristoranti spagnola “La mafia se sienta a la mesa” l’Unione europea, su richiesta dell’Italia, ha addirittura annullato la concessione del marchio in quanto contrario all’ordine pubblico e al buon costume, anche se i locali sono ancora aperti in tutto la Spagna. “L’Unione europea deve fermare l’utilizzo commerciale di marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose e rischiano di penalizzare l’immagine dell’intero agroalimentare tricolore in un momento in cui le esportazioni hanno raggiunto il record storico contribuendo alla ripresa del Sistema Paese”, ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini. Redazione Agenzia Nova

No all’insegna “Falcone e Borsellino” per la pizzeria, ristoratore tedesco perde in appello

 

A dare notizia della sentenza emessa in Germania è la presidente della Fondazione Falcone, sorella del giudice ucciso dalla mafia. “Ristabilito il senso del rispetto. Ci sono argomenti su cui non si può scherzare”

L’insegna del ristorante di Francoforte ormai chiuso

Nella sua pizzeria a Francoforte, non potrà utilizzare la denominazione “Falcone”, né da sola né come parte di un insegna, né tantomeno sul menu o nel materiale pubblicitario. Così hanno deciso i giudici di appello tedeschi accogliendo il ricorso presentato dalla sorella del giudice ucciso dalla mafia e ribaltando la sentenza di primo grado che aveva dato ragione a Costantin Ulbrich. A darne notizia è la presidente della Fondazione Falcone: “E’ una sentenza che ristabilisce il senso del rispetto. Ci sono nomi e argomenti sui quali non è possibile ironizzare, scherzare e tantomeno – commenta Maria Falcone – speculare a fini commerciali”.
La vicenda risale a circa due anni fa, quando Ulbrich aprì un’attività chiamata “Falcone e Borsellino”. Su una delle pareti del ristorante erano state accostate una foto dei giudici uccisi dalla mafia e quella di don Vito Corleone del famoso film “Il padrino”. Dopo aver scoperto il fatto, Maria Falcone aveva presentato ricorso per inibire al commerciante l’uso del nome ma in primo grado l’istanza era stata respinta perché, aveva scritto il tribunale, “Falcone ha operato principalmente in Italia e in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria”.
Oggi invece il ricorso è stato accolto dai giudici che hanno inoltre riconosciuto come “Maria Falcone – si legge nella nota inviata dalla Fondazione – abbia una legittima pretesa al diritto alla richiesta di risarcimento in base al diritto al nome e al diritto alla personalità post mortem. ‘La violazione del diritto alla personalità post mortem del giudice Falcone da parte di atti commerciali discutibili perché contrastano con la sua vita e il suo lavoro è fondamentalmente da approvare’”, scrivono infine i giudici. Nel caso in cui il ristoratore – che dopo una pioggia di critiche aveva comunque cambiato nome all’attività – non rispettasse la sentenza, rischierebbe un’ammenda fino a 250 mila euro e una condanna fino a 6 mesi. 15 luglio 2022 PALERMO TODAY 


Falcone e Padrino insieme in foto, tribunale tedesco: «Qui la mafia non è sentita»

Giovanni Falcone assieme al Padrino in foto, per il tribunale tedesco, non ha bisogno di tutele. Succede proprio in questi giorni in Germania, dopo che un ristoratore ha appeso la foto di Falcone e Borsellino accanto a quella delPadrino. Immediatoricorso ma il tribunale tedesco lo ha respinto. Maria Falcone, la sorella del giudice: «Non ci fermeremo qui».
Un ristoratore di Francofortesceglie per il suo nuovo ristorante il nome Falcone e Borsellino. Nell’allestimento degli interni l’uomo, per una motivazione artistica, decidedi affiancare alla foto dei giudici anti mafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino proprio all’immagine di Vito Corleone, il Padrino. La sorella, Maria Falcone, è dal 1992 un’attivista italiana, fondatrice della Fondazione Falconee dopo aver scoperto il tutto decide di fare ricorso. L’associazione tra il padrino e Falcone viene considerata come una violazione della memoria dei due magistrati antimafia. Ma le cose non sono andate come dovevano perché il tribunale tedescoafferma che il giudice ha operato prettamente in Italia e quindi non sono cause che alla Germania interessano.

La dichiarazione del tribunale tedesco dopo aver esaminato la richiesta di violazione della memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: «In Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria».

 

Falcone e Borsellino Ristorante Germania

 

Falcone e il Padrino nella stessa stanza: «Faremo ricorso»

I muri del locale, oltre alle foto dei Magistrati e a quelle del Padrino, presentano una serie di buchi a simboleggiare fori di proiettile. Una scelta discutibile per il fatto che sono due tipi di personaggi completamente diversi e non dovrebbero mai essere considerati come simili. Nel ricorso, la professoressa Maria Falcone richiede al tribunale tedesco di vietare al ristoratore del locale, Constantin Ulbrich, di utilizzare il nome Falcone. Giovedì 3 dicembre Il tribunale ha affermato: «Il ricorso è respinto perché sono passati quasi 30 anni dalla morte di Falcone e il tema della lotta alla mafia non è più così sentito tra i cittadini. Inoltre il giudice ha operato principalmente in Italia e in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria».


Perché alcuni ristoranti, anche in Italia, continuano a utilizzare nomi “mafiosi”?

Cose Nostre, Il Padrino, Salsa Mafia… Nei ristoranti in Italia e all’estero la criminalità organizzata viene spesso usata a scopo di marketing.

“In Spagna la catena di ristoranti ‘La Mafia Si Siede a Tavola’ non ha mai cambiato nome nonostante una sentenza UE”

Di recente abbiamo scritto un articolo sulla suscettibilità degli italiani quando si parla di cibo. Da bolognese poi posso confermarvi che i miei concittadini sono particolarmente patriottici e quando si parla di tortellini non accettano niente di diverso da un “in brodo” o un “alla panna”. Ma credo che quando si parla di Tortellini in salsa mafia, serviti nel ristorante tedesco 11A, non serva essere di Bologna per chiedersi se un piatto così accettabile o meno.
Purtroppo non è una novità vedere nomi di piatti, o addirittura insegne di ristoranti, che richiamano al mondo della criminalità organizzata. Si va da un più innocuo — perché comunque generico, per chi non avesse approfondito la storia della mafia, e afferibile a una sfera semantica di ‘tradizione’ legata al cibo — locale Cosa Nostra a un più diretto Manzo Mafioso nel menu, da un ristorante Il Padrino, solitamente legato a un’immagine di Marlon Brando, a un meno cinematografico Corleone E cosa dire del celebre Wagyu Mafia in Giappone? Accade prevalentemente all’estero, ma abbiamo scoperto qualche caso anche nel nostro paese.

Sicuramente uno straniero fa più fatica a capire la portata della sofferenza e dei problemi che la criminalità crea ancora in Italia.

L’associazione Coldiretti aveva lanciato l’allarme già cinque anni fa con una “mobilitazione nazionale di migliaia di agricoltori a difesa del Made in Italy, dove sono stati mostrati gli esempi più scandalosi di prodotti agroalimentari, venduti in Italia, in Europa e nel mondo, con nomi che richiamano gli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più dolorose e odiose, che vengono sfruttate per fare business a danno dei veri prodotti agroalimentari Made in Italy.” Dei prodotti citati alcuni, come il sugo americano Wicked Cosa Nostra o il sito di cucina mamamafiosa, sono scomparsi, ma altri, come il libro Cooking The Mafia, sono ancora regolarmente in commercio. Mentre in Germania mafia pie è il termine spesso utilizzato per la pizza (negli Stati Uniti esiste la Memphis Mafia Piema si riferisce al gruppo di accoliti di Elvis).
All’estero esistono associazioni che si occupano proprio di aumentare la consapevolezza del fenomeno della criminalità organizzata che probabilmente alla maggior parte dei consumatori sembra lontano temporalmente, abbastanza innocuo e fondamentalmente macchiettistico, l’uomo baffuto con la coppola e la lupara in mano. O il gangster degli anni Venti a New York: negli Stati Uniti è piuttosto comune imbattersi in articoli come questo, che suggeriscono i ristoranti frequentati dai boss mafiosi, dove mangiavano o dove addirittura sono morti. La tendenza a utilizzare stilemi ‘malavitosi’ a scopo di marketing sembra troppo radicata per esaurirsi.
Perfino la figlia del tristemente noto boss mafioso Totò Riina ha aperto un ristorante a Parigi chiamato Corleone by Lucia Riina. Possiamo supporre che l’abbia chiamato così in onore del proprio paese d’origine ma, utilizzando nell’insegna anche il proprio cognome, è difficile non pensare a una voluta provocazione a scopo di marketing. Ho provato a contattarli, nonostante ormai da mesi dalla loro pagina Facebook — dove peraltro il nome Lucia Riina appare sfacciatamente — condividessero solo immagini a tema religioso, ma non ho ricevuto risposta. Ho poi scoper
E appunto questa consapevolezza a volte sembra mancare anche in Italia. A Milano c’è la rosticceria Cose Nostre, vicino Messina la pizzeria Il Padrino. Anche in questo caso ho contattato entrambi i locali senza ottenere risposta. Nel nostro paese, a differenza di ciò che accade nel resto d’Europa o negli Stati Uniti, non sembra esserci un richiamo diretto all’immaginario mafioso al di là del nome: niente coppole, uomini baffuti, fucili o croci o addirittura immagini di criminali del passato. Però il nome rimane lì. E inevitabilmente ci spinge a chiederci: perché? È provocazione voluta, semplice ingenuità, ignoranza della portata del fenomeno criminalità organizzata?
Ne abbiamo parlato con l’account Italians Mad at Food che spesso condivide foto ricevute dai propri follower di ristoranti che all’estero utilizzano nomi della criminalità organizzata. Proprio vedendo le loro stories abbiamo pensato a questo pezzo e abbiamo pensato di approfondire il tema.
I ragazzi di Italians Mad at Food hanno avuto modo di confrontarsi con centinaia di follower sull’argomento e di saggiare così l’opinione su cosa pensano gli italiani del fenomeno: “Alcuni ovviamente ci fanno una risata, questo essere stereotipati come ‘pizza mafia mandolino’ lo considerano ormai come un qualcosa su cui passare oltre e scherzarci su,” ci raccontano. “Altri invece prendono la cosa molto seriamente, soprattutto, ma non solo, da chi vive in Meridione.”
Sicuramente uno straniero fa più fatica a capire la portata della sofferenza e dei problemi che la criminalità crea ancora in Italia. All’estero arriva solo eco di film come Scarface, o serie come I Sopranos, dove la mafia ha dopotutto un suo certo fascino o tutt’al più fa ridere. Scorrendo le discussioni lanciate sul loro account troviamo a chi sostiene che “In Italia nessuno si azzarderebbe a servire piatti tedeschi alludendo al nazismo, perché sarebbe appunto offensivo e razzista” e chi replica che sì, “è sbagliato e offensivo, ma puoi onestamente dire che la mafia abbia ucciso 10 milioni di persone in un genocidio mirato?”.
Ma abbastanza sorprendentemente (per me) l’opinione prevalente tra gli italiani sembra quella di un ragazzo che dice “Mi fa solo sorridere. Noi li chiamiamo crucchi o mangia crauti, chi se ne frega se loro fanno riferimento a quello che in fondo è uno dei nostro export di maggior successo.”

“Le associazioni malavitose controllano circa 5mila locali solo nel nostro paese”

A questo punto la domanda è d’obbligo: al di là delle opinioni personali, si può fare? Difficile capirlo. Nel 2019 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sancito che il franchising spagnolo La Mafia se sienta a la mesa (la mafia si siede a tavola) non poteva utilizzare il marchio perché “banalizza l’organizzazione criminale italiana” ed è “contrario all’ordine pubblico”. Loro si erano sempre difesi ad esempio sostenendo che l’uso di una rosa, e non una pistola, nel logo dimostrava come la loro non fosse un’apologia della violenza ma un’operazione meramente commerciale. In quell’occasione il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Angelino Alfano aveva esultato. Peccato che le decine di ristoranti del franchising abbiano ancora lo stesso nome. Se nemmeno una sentenza dell’Unione Europea sembra aver cambiato nulla, possiamo davvero aspettarci un cambio di sensibilità da parte di ristoratori e consumatori?

VICE.COM 26.5.2021
 
 

 

“In Spagna la catena di ristoranti ‘La Mafia Si Siede a Tavola’ non ha mai cambiato nome nonostante una sentenza UE”

 


21/10/2016  L’Ue blocca la catena di ristoranti “La mafia” in Spagna, buona notizia, ma potrebbe non bastare. A meno che non siano i clienti a dire “no grazie”. Basterebbe chiedersi come sarebbe mangiare in una catena chiamata “l’Eta”.

L’Ufficio Marchi e Disegni – Divisione Cancellazioni -dell’Unione europea ha deciso di annullare il contrassegno numero 5510921 accogliendo il ricorso dell’Italia per l’invalidità del marchio alla catena di ristoranti spagnoli “La Mafia” (“La Mafia se sienta a la mesa” “La mafia siede a tavola”, ndr.), che però ha presentato ricorso. Inizia ora una lunga battaglia alla quale si oppone un gruppo di quasi 40 ristoranti in tutta la Spagna con più di 400 dipendenti, che ha costruito la propria immagine proprio sulle storie criminali italiane».
Lo annuncia così la Coldiretti ed è una risposta nuova a una storia antica: stavolta è una catena di ristoranti, altre volte erano menu con insalate che si chiamano cosa nostra, e amenità simili. La notizia buona è che, finalmente, l’Ue si è svegliata, dato che fin qui si usava trincerarsi dietro il fatto che nessuno di quelli di cui sopra violava le norme sui marchi dei singoli Stati. Stessa scusa per la catena di pessimo gusto spagnola, che sottolineava tra l’altro che l’ambasciatore italiano non «dovrebbe essere considerato nell’ambito di quel pubblico – la famiglia media spagnola che vuole mangiare italiano – perché, in qualità di rappresentante dell’Italia,  può offendersi facilmente e di conseguenza di lui non si dovrebbe tenere conto». 
Ecco a questo proposito sarebbe proprio interessante sapere come vedrebbero i sudditi di Re Filippo VI l’idea di aprire in Italia una catena di ristoranti spagnoli chiamandoli L’Eta (l’organizzazione terroristica basca che ha causato in Spagna poco meno di 900 morti), mettendoci come sottotitolo l’Eta si siede a tavola e facendo sedere famigliole italiane a condividere allegramente paella e pulpo a la gallega, sotto la gigantografia di Artapalo (nome di battaglia del capo militare arrestato nel 1992).
Chissà se troverebbero altrettanto suscettibile e di parte il punto di vista dell’ambasciatore spagnolo in Italia nel caso. L’Ue ha deciso che: «Il marchio deve essere dichiarato invalido per tutti i beni e servizi in contestazione», accogliendo le ragioni dell’Italia, perché: «L’accostamento del termine “mafia” manipola l’immagine estremamente positiva della cucina italiana. Il sottotitolo “se sienta a la mesa” , siede a tavola, è un tentativo di volere attribuire un carattere di benignità al nome di una delle organizzazioni più pericolose mai esistite in Italia». E ancora perché: «Le organizzazioni criminali di tipo mafioso sono una chiara e presente minaccia per tutta l’Unione europea perché non sono attive solo in Italia ma anche in altri Stati membri: la Spagna è uno dei Paesi preferiti da molte di loro».  
Il problema è che la cancellazione di un marchio è un successo – ammesso che il ricorso in appello confermi – che da solo può fare poco, se non cambia la cultura. La notizia cattiva, infatti, è che delle 294 recensioni al locale di Siviglia su Tripadvisor, delle quali moltissime in lingua italiana, poche notano il cattivo gusto del nome e solo una non è disposta a passarci sopra per valutare la qualità del cibo come se niente fosse. Si intitola “Vergognoso il nome” ed è stata pubblicata l’8 giugno 2013. Vi si legge:  «E’ di oggi 8 giugno 2013 la notizia che a Vienna qualcuno faceva affari con panini che esaltavano la mafia. Sono solo passato davanti a questo ristorante di Siviglia, in Plaza Duque, e ho avuto la stessa sensazione che qualcuno vuole guadagnare facendosi forte di un nome che significa delitti e orrori, uccisioni di uomini coraggiosi, magistrati, giornalisti, donne e bambini, eroici preti, militari carabinieri, poliziotti… E’ da rifiutare, La Mafia a tavola, anche se con Marlon Brando».
Se i primi a dire “no grazie” e a cambiare ristorante non sono gli italiani in Spagna, non per spirito di corpo, ma per naturale repulsione per quello che un marchio simile può rappresentare, sarà difficile che altri si pongano il problema. Ma così non se ne esce. Tolto un marchio se ne fa un altro.

 

MAFIA: l’utilizzo del marchio è vietato dalla Comunità europea

Il Tribunale dell’Unione europea (Nona Sezione, sentenza 15 marzo 2018, causa T-1/17) ha respinto definitivamente la domanda di registrazione di un marchio da parte di una società spagnola (la Honorable Hermandad, poi La Mafia Franchises) volto a promuovere una catena di ristoranti: tale marchio, su fondo nero, recava la grande scritta «la mafia» e, più in piccolo «se sienta a la mesa»(cioè “si mette a tavola”) e l’immagine di una rosa rossa.
Secondo la società il marchio rappresentava soltanto una forma di parodia dei film della saga Il Padrino con riferimento, in particolare, ai valori della famiglia e del corporativismo che tali film mettono in scena.
Nel vietare l’utilizzo di tale marchio in tutto il territorio europeo, il Tribunale sottolinea che esso risulta in insanabile contrasto con i valori del rispetto della dignità umana e della libertà di cui al trattato europeo e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed è perciò contrario all’ordine pubblico e al buon costume.
Il marchio tende infatti ad occultare il ruolo delle organizzazioni criminali nel traffico illecito di droghe ed armi, nel riciclaggio di denaro e nella corruzione e l’opera di contrasto portata avanti dallo Stato italiano e dagli altri Paesi europei può essere considerata una forma di sostegno o a profitto delle associazioni mafiose. La stessa rosa rossa raffigurata nel marchio potrebbe essere percepita da un’ampia parte del pubblico di riferimento come simbolo dell’amore o della concordia, in contrasto con la violenza che caratterizza le azioni della Mafia; e la frase “si siede a tavola” può favorire l’associazione della Mafia alle idee di convivialità e di svago veicolate dalla condivisione di un pasto contribuendo così alla banalizzazione delle attività illecite di tale organizzazione criminale.
La decisione del Tribunale (che fa seguito alla decisione dell’EUIPO – Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale – è frutto dell’iniziativa del Governo italiano volto a modificare il precedente orientamento in materia degli organismi comunitari. AVVISO PUBBLICO 15 aprile 2018


“La mafia si siede a tavola” non può essere un marchio europeo della ristorazione. Il Tribunale dell’Ue dà ragione all’Italia: è contrario all’ordine pubblico

 

L’Italia ha ottenuto dal Tribunale dell’Unione europea l’annullamento del marchio La Mafia se sienta a la mesa(La Mafia si siede a tavola) come marchio dell’Ue riconosciuto dall’ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo).
Secondo il Tribunale dell’Ue, il marchio “rinvia ad un’organizzazione criminale, trasmette un’immagine complessivamente positiva di tale organizzazione e banalizza i gravi attacchi sferrati da detta organizzazione ai valori fondamentali dell’Unione.
Tale marchio è pertanto di natura tale da scioccare o offendere non solo le vittime di detta organizzazione criminale e le loro famiglie, ma anche chiunque, nel territorio dell’Unione, si trovi di fronte il marchio e abbia un normale grado di sensibilità e tolleranza, motivo per cui deve essere dichiarato nullo”.
La registrazionede La Mafia se sienta a la mesa come marchio dell’Ue, in particolare per i servizi di ristorazione, era stato richiesto nel 2006 all’Euipo dalla società spagnola La Honorable Hermandad, alla quale è poi succeduta La Mafia Franchises. Nel 2015 l’Italia aveva chiesto all’Euipo di dichiarare nullo il marchio, perché contrario all’ordine pubblico e al buon costume. La domanda era stata accolta, perché secondo l’Ufficio Ue per la proprietà intellettuale il marchio promuove palesemente l’organizzazione criminale e l’insieme degli elementi verbali trasmette un messaggio di convivialità e banalizzazione.
La Mafia Franchises ha fatto ricorso al Tribunale dell’Ue, sostenendo che l’obiettivo del marchio è quello di evocare la saga cinematografica Il Padrino e non di scioccare o di offendere.
Il Tribunale ha però confermato la decisione dell’Euipo, ritenendo che “la notorietà acquisita dal marchio della società spagnola nonché la sua idea di ristoranti a tema legati ai film della saga Il Padrino sono privi di pertinenza al fine di valutare se il marchio sia contrario all’ordine pubblico” e non hanno alcuna incidenza sulla percezione negativa di tale marchio da parte del pubblico
Il Tribunalesottolinea che l’elemento verbale “la mafia” – percepito in modo profondamente negativo in Italia, a causa dei gravi attacchi perpetrati nei confronti della sicurezza dello Stato – domina il marchio della società spagnola ed “è globalmente inteso come facente riferimento ad un’organizzazione criminale che, in particolare, ha fatto ricorso all’intimidazione, alla violenza fisica e all’omicidio per svolgere le sue attività, che comprendono il traffico illecito di droghe e di armi, il riciclaggio di denaro e la corruzione”. Secondo il Tribunale, “simili attività criminali violano i valori stessi sui quali si fonda l’Unione, in particolare, i valori del rispetto della dignità umana e della libertà, che sono indivisibili e costituiscono il patrimonio spirituale e morale dell’Unione”.


La Mafia se sienta a la mesa: La UE annulla il marchio della catena di ristoranti spagnoli

Tutti gli italiani residenti in Spagna conoscono la catena di ristoranti spagnoli denominata “La Mafia se sienta a la mesa” che tradotto significa “La Mafia si siede a tavola”.
Da ieri, 15 marzo 2018, il marchio spagnolo ‘La Mafia se sienta a la mesa’, usato per i servizi di ristorazione, è “contrario all’ordine pubblico”: lo ha stabilito il Tribunale dell’Unione Europea in una sentenza che accoglie la richiesta dell’Italia di annullare tale marchio.
Dal 2015, dopo la denuncia realizzata da un servizio giornalistico di Repubblica Tv nel 2014, e le innumerevoli lamentele degli italiani residenti in Spagna, rilanciate anche dal Com.It.Es di Madrid ai nostri rappresentanti in parlamento eletti in Europa, le istituzioni italiane attraverso la Commissione Antimafia preseduta allora dall’On. Rosy Bindi e dal MAECI, hanno protestato con forza sia con il governo spagnolo (senza successo), che con le autorità europee denunciando l’uso di questa marca arrivando presentare un ricorso presso il  Tribunale Europeo.
La Corte di giustizia Ue, che ha sede a Lussemburgo, ha dato ragione all’Italia, la quale ottiene la dichiarazione di nullità della registrazione di tale marchio come marchio dell’Unione europea. Il marchio “La Mafia se sienta a la mesa” (la Mafia si siede a tavola) è “contrario all’ordine pubblico”, banalizza un’attività criminosa e rischia di pubblicizzare positivamente ciò che è contrario ai valori dell’Unione europea.
Per i giudici di Lussemburgo, il nome, unito alla rosa rossa che compare nel simbolo, “può dare un’immagine complessivamente positiva delle azioni della mafia e banalizzare la percezione delle attività criminali di tale organizzazione”.
La società spagnola La Honorable Hermandad (alla quale è succeduta La Mafia Franchises) aveva chiesto nel 2006 all’EUIPO di registrare ‘La Mafia se sienta a la mesa’. L’Italia nel 2015 aveva chiesto e ottenuto l’annullamento della registrazione, avendo l’EUIPO confermato che il logo “promuoveva palesemente l’organizzazione criminale”. Non soddisfatta, la Mafia Franchises ha adito il Tribunale dell’Ue per chiedere l’annullamento della decisione.
Con la sentenza, il Tribunale respinge il suo ricorso e conferma la decisione dell’EUIPO. Il marchio “trasmette un’immagine complessivamente positiva” della mafia e “banalizza i gravi attacchi sferrati ai valori fondamentali dell’Unione”, spiega il Tribunale.

LA SODDISFAZIONE DELL’AMBASCIATA A MADRID

Anche l’Ambasciata d’Italia a Madrid ha accolto “con soddisfazione” la notizia dell’annullamento del marchio “La Mafia se sienta a la mesa” da parte del Tribunaledell’Unione Europea di Lussemburgo.L’Ambasciatore d’Italia a Madrid Stefano Sannino, in particolare, ha sottolineato come si tratti di “una decisione che premia e conferma pienamente la linea portata avanti dal Governo italiano sin dal 2015, prima in sede EUIPO e poi davanti al Tribunale di giustizia dell’UE”.